Visto al Teatro La Pergola di Firenze
Promessi sposi in cerca d’autore
A 35 anni dal debutto, ritorna in scena “I Promessi sposi alla prova”, la sperimentale rielaborazione teatrale del classico di Manzoni scritta da Giovanni Testori per Franco Parenti. A garantire la qualità di questa ripresa ci pensano la regia di Andrée Ruth Shammah, a lungo collaboratrice dei padri di questo dramma, e un cast che unisce attori di lungo corso e giovani promesse
Perché leggere i Promessi sposi? Cosa può dirci al giorno d’oggi il classico più nazionalpopolare della nostra letteratura? È da queste due domande semplici eppure decisive che trae spunto il testo teatrale di Giovanni Testori, messo in scena per la prima a Milano nel lontano 1984 e capitanato da Franco Parenti. Convinta – a ben ragione – dell’attualità di quelle stesse domande ancora a tre decenni di distanza, la regista di allora Andrée Ruth Shammah ha sentito la necessità di riallestire quello spettacolo per tornare a interrogare il massimo capolavoro italiano – e il senso stesso del fare teatro – alla luce della contemporaneità. Come lei ha affermato, infatti, «Testori ha accolto, tradito o tradotto le parole di Manzoni in una nuova forma che rende contemporanee e facilmente comunicabili verità antiche di cui abbiamo nuovamente bisogno». E proprio nella convinzione che gli snodi problematici sollevati dalla pièce in quell’occasione sono validi in tutto e per tutto ancora oggi, la regista ha deciso di riproporre quello spettacolo tale e quale, senza modifiche sostanziali nel testo e con un allestimento il più possibile fedele a quello di allora.
Rivisitazione del grande classico manzoniano in chiave meta-teatrale, in questo dramma un gruppo di attori incontra un maestro, che ama in maniera quasi maniacale i Promessi sposi e che decide di mettere in scena tutta l’opera insieme ai suoi allievi. Lo spettacolo che ne scaturisce è quindi costituito dal susseguirsi delle scene con cui i diversi attori, guidati dal regista, provano, l’uno dopo l’altro, tutti gli episodi del romanzo. La vicenda non è però così banale come potrebbe sembrare perché, come esprime efficacemente il titolo, i personaggi non si limitano a “provare” il testo ma al tempo stesso lo “mettono alla prova”. Mentre ripassano le battute e decidono insieme al maestro la configurazione delle scene, gli attori chiamati a impersonare i protagonisti del romanzo pongono domande al testo e lo riscrivono in base alla loro identità. Teatro di parola nel senso più pieno del termine, il dramma viene quindi ad essere un susseguirsi di riflessioni meta-testuali, da parte del maestro e degli attori, sul senso dei Promessi sposi. Alla creazione dell’autore si contrappone la personale rilettura dei suoi nuovi interpreti. In tre ore totali, in cui non viene sacrificata la rielaborazione di nessun episodio anche minore dell’opera, a essere messo alla prova è anche il pubblico, che è messo di fronte a un volto del tutto nuovo di un romanzo apparentemente familiare ed è sfidato a sostenere la molteplicità inesauribile di discorsi che esso può produrre.
l progetto della Scammah è coraggioso, e ambisce al tempo stesso a restituire al grande pubblico il dramma di Testori, a lungo dimenticato, e riaprire la riflessione iniziata in quell’occasione sul senso del romanzo e del teatro. Nessuno poteva tentare questa impresa se non lei, che trentaquattro anni fa collaborò attivamente a quel debutto e che ha all’attivo ben otto regie di drammi testoriani. Tuttavia, lo sforzo della regista sembra essere indirizzato piuttosto a tributare un omaggio alla coppia Testori-Parenti che ad aggiornare la pièce alla sensibilità contemporanea. Allo spettacolo sembra infatti mancare una proficua riflessione sullo iato esistente tra l’epoca della sua prima messinscena e il giorno d’oggi. Merito, però, indiscusso della direttrice del Teatro Parenti è stato l’aver arruolato nel cast una compagnia di sette attori altamente selezionata, in grado di restituire il senso originario dell’opera e insieme ridargli nuova freschezza. Oltre a grandi interpreti teatrali, come Luca Lazzareschi, nel ruolo del maestro, e Laura Marinoni, in quello della Monaca di Monza, la regista ha deciso di puntare su volti emergenti del teatro italiano. Sono Filippo Lai, che ha restituito al pubblico un Renzo frizzante e impetuoso, Sebastiano Spada, formidabile nel far assumere a Don Rodrigo diverse sfumature nel corso della vicenda, e Nina Pons, al suo primo debutto assoluto e che ha interpretato Lucia con sicurezza e convinzione. I tre giovani attori – messi alla prova più di tutti, verrebbe da dire – hanno dimostrato professionalità e talento nel misurarsi con questo testo complesso e a loro è andato il meritato plauso sia della regista sia del pubblico in sala. In questo dramma, corale come lo è il romanzo, tutti gli attori principali sono costantemente in scena, e le prove si articolano in uno sforzo collettivo per trovare una sintesi tra le intenzioni del maestro e i diversi punti di vista degli attori. Dall’interagire delle loro opinioni emergono interpretazioni inedite di molti aspetti tradizionalmente dati per scontati nell’opera. Renzo e Lucia, nella rilettura della compagnia, confessano di provare l’uno per l’altra un amore non tanto spirituale come quello imposto loro dallo scrittore cattolico, ma pervaso da fiammanti bruciori tutt’altro che beghini.
L’innovazione forse più potente è però quella che riguarda la Monaca di Monza, figura non a caso molto amata da Testori, che già nel 1967 aveva scritto un testo teatrale a lei dedicato. Con l’ingresso di questa figura, il meccanismo meta-teatrale che presiede al dramma fa cortocircuito: l’attrice, infatti, si è talmente immedesimata nel personaggio da restarne imprigionata e si presenta in scena per rivendicare la sua vera identità al posto di quella cucita su di lei dalla finzione manzoniana. Grande assente per tutta la prima parte dello spettacolo, la Monaca appare all’improvviso da una botola, fuoriuscendo metaforicamente dalla prigione in cui è stata rinchiusa la sua individualità. Di fronte all’incredulità del resto degli attori, la donna, sofferente ma sicura (una Laura Marinoni in stato di grazia), passa in rassegna gli episodi salienti della sua storia, dal suo amore adolescenziale per il paggio all’incontro fatale con il conte Egidio, contrapponendo in tutti questi casi la sua verità di donna al racconto di cui è stata resa personaggio.
La genialità della riscrittura di Testori sta anche in alcuni interrogativi illuminanti che, nel confrontarsi con il testo da rappresentare, il maestro e gli attori lanciano al romanzo, a se stessi e al pubblico. Fra Cristoforo conosceva le malefatte della Monaca di Monza quando consigliò a Lucia e sua madre di rifugiarsi proprio da lei? Lucia, decisa ad incontrare a tu per tu l’Innominato suo carceriere, era forse perversamente attratta da questo uomo trasgressivo e immorale? I personaggi apparentemente più catafratti del romanzo hanno forse un doppio fondo inquietante che loro stessi cercano di celare? Sono queste alcune delle domande nuove – e fatalmente irrisolte – che vengono poste al romanzo, e che finiscono per scalfire quella sua immagine pacifica di classico già noto e un po’ noioso che ingiustamente lo ammanta nella concezione dei più. I Promessi sposi sono stati messi alla prova vincendo, a due secoli di distanza, la prova del tempo.
Ph. Noemi Ardesi