Visto al Teatro Argentina di Roma
Mozart si è fatto in quattro
Doppio appuntamento con Mozart e la Filarmonica Romana. Passione e perizia, chiarezza espositiva e pulizia esecutiva: guida il pubblico la voce esperta di critico e divulgatore di Sandro Cappelletto, accompagna il viaggio nella produzione da camera dell’enfant prodige il Quartetto Guadagnini
Esatti e divertenti, di composta eleganza neoclassica e di travagliate sonorità già romantiche. Sin dai primi quartetti giovanili, Mozart dimostra una profonda maestria nel maneggiare questa forma di scrittura cameristica ancora in fase di definizione a livello europeo. Sin dalla primissima prova di scrittura per quattro archi, Mozart dimostra di possedere, quindicenne, «gravità di riflessione e vivacità di ritmo». Queste le parole dell’analisi di Sandro Cappelletto che il 24 e il 28 febbraio al Teatro Argentina di Roma ha accompagnato il Quartetto Guadagnini e il pubblico alla scoperta della produzione mozartiana con l’esecuzione di 7 dei 23 quartetti del genio salisburghese.
Non è la prima volta che Sandro Cappelletto, giornalista e critico musicale, penna della “Stampa” e voce di Rai Radio3, da spettatore attivo diventa attore e sale sul palcoscenico per raccontare la musica cui ha dedicato studio, carriera, cuore. Sulle nostre pagine abbiamo già seguito l’esperimento rossiniano di concerto-racconto. Con uguale grazia e professionalità, competenza e chiarezza espositiva Cappelletto, non a caso autore per Il Saggiatore di I Quartetti per archi di Mozart (2016), si fa voce narrante del concerto il due parti Mozart in the Quartet, simpatica allusione alla serie tv Mozart in the Jungle. Accanto a Cappelletto il Quartetto Guadagnini, quattro giovanissimi musicisti: gli storici membri dell’ensemble, ovvero il primo violino Fabrizio Zoffoli e la violoncellista Alessandra Cefaliello, insieme al secondo violino Cristina Papini e alla viola Matteo Rocchi. Sicuri, trascinanti, passionali i primi due, più timidi gli altri, Zoffoli, in particolare, ha il carisma del leader e la pulizia dell’interprete esperto, mentre Cefaliello ha l’energia coinvolgente dell’artista. L’insieme restituisce con pienezza le sfumature della scrittura mozartiana, ora briosa ora riflessiva, ora esuberante ora quieta ma sempre completa e ricca.
Nel Quartetto n. 1 (K. 80), datato 1770, Mozart dà anticipazione di idee che svilupperà in seguito, come l’idea folgorante di velocità del secondo movimento che già preannuncia soluzioni dapontiane. Nel Quartetto n. 2 (K. 155), invece, propone un concerto per strumento solo in piccolo, dove il primo violino, quasi ribelle, si staglia rispetto agli altri tre archi. Nel Quartetto n. 3 (K. 156) scrive un Adagio di impressionante intimismo, come se si assistesse alla rivelazione di un segreto indicibile, come se Mozart riuscisse a fermare il tempo; è, infatti, alla viola che viene affidata l’accelerazione più intensa e più inquieta. Il K. 155 e 156 confluiranno nei quartetti pubblicati nel 1785 e dedicati ad Haydn, a testimonianza della grande stima e considerazione del giovane compositore tanto verso il più anziano mentore quanto verso i prodotti del suo estro, definiti nella dedica «i miei sei figli». È con rinnovato affetto paterno che compone il Quartetto n. 15 (K. 421) tra il 14 e il 17 giugno1783, ovvero data di nascita del suo primogenito. Massimo Mila parla di «raptus espressionistico» a proposito del primo movimento e Cappelletto va oltre ritrovando negli avvenimenti biografici un indizio per spiegare l’alternanza di turbolenza e distensione, l’impressione di urla e spinta che contraddistinguono il Quartetto K. 421: Mozart avrebbe raccontato in musica come nasce un bambino. È il momento del parto. Pur essendo, insieme al K. 167, l’unico quartetto in tonalità minore, Mozart non rinuncia al divertimento nemmeno in questo caso e il ritmo alla siciliana con cui si apre e chiude il quarto movimento in tempo di minuetto è eseguito in pizzicato, creando l’effetto di una parodia, piuttosto che di una semplice giostra o di una ninna nanna.
«Io vi dico di fronte a Dio, da uomo sincero, che vostro figlio è il più grande compositore che io conosca di nome e di persona. Ha gusto e possiede al sommo grado l’arte del comporre»: queste le parole pronunciate da Haydn a casa Mozart al termine della prima esecuzione del Quartetto n. 19 (K. 465). I contrasti cromatici, di una modernità e audacia sbalorditive, dominano le prime battute; valsero al quartetto l’appellativo “delle dissonanze” e ai primi editori della partitura il dubbio che si trattasse di errori da emendare. Il Quartetto n. 20 (K. 499), invece, è detto Hoffmeister dal nome dell’editore che commissiona il brano al compositore per venire incontro alle sue frequenti richieste di denaro. Composto a brevissima distanza dalle Nozze di Figaro, in questa composizione il linguaggio mozartiano appare in tutta la sua maturità e nei ritmi giocosi e brillanti del secondo e quarto movimento sembrano riecheggiare diverse atmosfere già composte della “folle giornata” dapontiana. L’ultimo brano proposto dall’ensemble Guadagnini è anche l’ultimo del genio mozartiano, il Quartetto n. 23 (K. 590). La storia vuole che fosse una commissione del 1790 dell’allora re di Prussia, Federico Guglielmo II. Cappelletto, però, ipotizza che quella commissione fu piuttosto un pretesto di Mozart per persuadere la moglie Constanze a lasciarlo partire. Che si trattasse di una non altrimenti documentata commissione reale o che fosse una clamorosa menzogna architettata da Mozart in persona, non lo sapremo mai. Quel che è certo è che dal punto di vista musicale il n. 23 si distanzia nettamente dai precedenti, costituendo l’apice della scrittura da camera mozartiana e in certo modo anche il suo testamento. Il pezzo è infatti caratterizzato da un suono dal colore livido e da toni malinconici e irrequieti, che sembrano mimare la contraddittorietà di una vita ancora pulsante, ma che si sta lentamente avvicinando alla fine. Nella partitura emergono soprattutto le due voci estreme, il violino primo e il violoncello, suggerendo gli opposti di vita/morte, luce/buio, ascensione/discesa tra i quali si dibatte drammaticamente l’ultima fase della produzione mozartiana. L’ultimo movimento esplode in una caotica instabilità che preannuncia sorprendentemente molte delle soluzioni poi portate avanti da Beethoven.
Perché i quartetti? Sono quattro strumenti, eppure per potenzialità dei singoli e in combinazione, si rivelano una sorta di laboratorio orchestrale in miniatura. Destinati all’esecuzione da camera, e non ai vasti organici di sinfonie e opere, non raccolgono aspettative e attese del grande e capriccioso pubblico consentendo così maggiore libertà espressiva. Sono come spazi del pensiero e della creatività, zone liminari in cui è possibile scoprire gli indizi del nuovo e del genio. L’antologia proposta dalla Filarmonica Romana nel dittico Mozart in the Quartet ha dimostrato come i quartetti siano composizioni meditate e introspettive, frutto di un lavoro di cesello da parte del suo autore e strumento privilegiato per lo studio di possibili armonie e sonorità. Sono una chiave per entrare nel laboratorio più segreto di un autore, per vederlo all’opera mentre è guidato più da personali sperimentazioni armoniche che dalle aspettative delle platee. Le due serate in compagnia del Quartetto Guadagnini e di Sandro Cappelletto si sono rivelate un appuntamento musicale di altissima qualità, che hanno permesso agli ascoltatori di approfondire un genere di musica da camera molto diffuso nei secoli precedenti ma che oggi sembra accendere meno gli entusiasmi del pubblico rispetto ai più blasonati concerti e sinfonie. Alla prosa rigorosa ed espressiva di Sandro Cappelletto va il merito di aver guidato efficacemente gli ascoltatori nell’esplorazione di questo territorio affascinante e meno battuto; all’estro e alla bravura del Quartetto Guadagnini quello di aver ridato voce ai quartetti di Mozart.
Ph. Claudio Rampini