Anna Camaiti Hostert
Cartolina americana

Il Vietnam di Trump

Il fallimento del summit con il dittatore coreano ha offuscato la gravità della deposizione di Michael Cohen che - dati alla mano - ha accusato il presidente Trump di una serie di gravi scorrettezze e illegalità

La contemporaneità di due eventi politici importanti sminuisce l’importanza di uno di questi. O qualche volta anche di tutti e due. Lo sanno bene i politici che, quando vogliono deviare l’attenzione da un evento scabroso, ne creano un altro. Un film divertente del 1997 di Barry Levinson, Sesso e potere (Wag the Dog), illustrò proprio questa tesi. Un presidente degli Stati Uniti per deviare l’attenzione da problemi interni, uno scandalo che coinvolgeva una minorenne, si inventò una guerra. Come non pensare a Clinton che, dovendo in quegli anni affrontare lo scandalo Lewinsky e l’ombra del voto di impeachment, nel 1998 fece bombardare l’Iraq? E fu accusato per questo di deviare l’attenzione dai suoi guai di politica interna. Anche Ronald Reagan e prima di lui Richard Nixon hanno dovuto affrontare difficoltà in casa che ostacolarono i loro piani di politica estera.

Questo sembra anche il caso di Trump in missione in Asia e della deposizione di Michael Cohen il suo ex avvocato che sta vomitando tutta la verità sul suo capo. E dice proprio tutto. Dopo essersi scrollato di dosso le critiche dei repubblicani della House of Rappresentative, Michael Cohen, si è dichiarato colpevole di avere mentito al Congresso e di avere violato le leggi finanziarie che regolano la campagna elettorale presidenziale. Ha inoltre dichiarato, sotto giuramento, che Trump sapeva in anticipo che Wikileaks era in possesso di mail che avrebbero potuto danneggiare la campagna presidenziale di Hillary Clinton del 2016. E, seppure ha detto di non aver prove certe della colpevolezza di Trump a proposito del suo coinvolgimento con la Russia di Putin, ha affermato che il presidente lo pregò di mentire sui suoi progetti immobiliari con quel paese. Affermazioni che, oltre agli epiteti di “razzista”, “imbroglione” e “bugiardo”, danneggiano la reputazione di Trump in generale e gettano un’ombra negativa anche su quel summit ad Hanoi in Vietnam dal quale Trump sperava di portare a casa un trionfo. L’incontro tra il presidente americano e il leader coreano Kim Jong-un aveva infatti come scopo principale il disarmo nucleare del paese asiatico. Sarebbe stata una vittoria diplomatica che avrebbe infuso nuova linfa vitale alla ormai danneggiata immagine di Trump in questo momento così delicato della sua presidenza. Il summit in realtà si è concluso con un niente di fatto a causa del rifiuto di Trump a eliminare le sanzioni contro la Corea. Ma l’incontro sarebbe potuto anche servire a distrarre l’attenzione dai guai a casa.

La comparsa di Cohen di fronte alla Commissione del Congresso a Washington infatti è stata posposta per diverse ragioni, tra cui le minacce alla famiglia dell’avvocato da parte dei sostenitori di Trump e un’operazione alla spalla dell’ex legale del presidente. Il figlio di Trump, Donald Jr, ha accusato i democratici di avere architettato questa mossa per interferire di proposito con la missione del padre in Asia.

Da parte sua, Trump ha risposto attaccando il suo ex collaboratore accusandolo di essere un bugiardo e di mentire per avere una riduzione della pena. Cohen è infatti stato condannato a tre anni di reclusione. Trump ha tentato, invano però, di ribaltare la situazione in suo favore rimarcando il fatto che perfino Cohen, che lo ha tradito, ha ammesso di non avere prove di un suo coinvolgimento diretto con la Russia di Putin per destabilizzare il paese.

L’unica differenza con il passato è che Trump oggi manda tweets. Nel 1998 Clinton dichiarò: “Sono concentrato in problemi di politica estera e in questa veste cerco di agire da presidente”.

L’ombra di Cohen si è comunque proiettata al di là dell’oceano quando, alla conferenza stampa di Hanoi, un rappresentante dell’Associated Press ha chiesto, senza ricevere risposta, qualche dichiarazione ufficiale proposito della testimonianza del suo ex legale a Washington. Trump inoltre ha scelto tutti giornalisti asiatici per rispondere alle domande. Posizione di chiusura confermata anche dall’addetta stampa Sarah Sanders che ha espressamente affermato che non ci sarebbero stati reporter alla cena ufficiale. Un cambiamento rispetto ai piani iniziali della Casa Bianca che ha permesso solo ai 13 giornalisti presidenziali che hanno viaggiato con Trump, il cosiddetto traveling press pool, di partecipare all’evento. Forse la testimonianza di Washington è andata a toccare qualche nervo scoperto e la reazione appare scomposta. Perché alla fine il summit con il presidente coreano è fallito e la situazione interna si trova su un crinale pericoloso, specie in riferimento alle indagini di Muller sul Russiagate.

Un paio di curiosità. Cohen tra mille altre cose ha anche detto che Trump gli aveva chiesto di non rendere pubblici i suoi voti alla scuola superiore e i risultati del suo piazzamento ai test SAT che servono per entrare all’università. E poi, parlando del Vietnam e del fatto che Trump non era mai stato arruolato per ragioni mediche di cui peraltro non poteva produrre i certificati, il presidente gli disse: “Ma che pensi che sono stupido? In Vietnam non ci sarei andato di sicuro”. Al che Cohen, con una punta feroce di sarcasmo, ha aggiunto nella sua testimonianza: “Trovo ironico, presidente Trump, che proprio lei adesso si trovi in Vietnam ”.

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