Nike Gagliardi
Un raffinato "disco-libro"

La musica del mito

Mauro Palmas, con il concept album “Palma de Sols”, imbastisce un viaggio che non è solo musicale ma affonda le radici della cultura popolare e nell’antropologia sarda. Un omaggio alle contaminazioni e alle migrazioni

Poco meno di due millenni fa, il medico africano Antioco, reo di professare il credo cristiano e, per giunta, di fare proseliti, veniva esiliato in Sardegna andando ad aggiungere un importante atto finale a una biografia che sfuma nella leggenda e che delinea quella misteriosa e affascinante figura di santo e martire che darà il nome alla maggiore delle isole sarde, situata nella regione sud-occidentale del sandalo. Un centinaio di chilometri quadrati ribattezzati Palma de Sols dai catalano-aragonesi quando decisero di invadere la terra sarda. È quest’antico e suggestivo toponimo a regalare il nome al nuovo lavoro di Mauro Palmas, compositore e polistrumentista, interessatosi sin da giovanissimo ad attività di recupero storico-critico della musica popolare sarda, ambito nel quale egli stesso, insieme agli artisti con cui ha avuto modo di collaborare nell’arco degli ultimi quarant’anni, si è rivelato come uno dei principali attori e promotori.

E forse è necessario partire da qui, dalla musica come repertorio tradizionale che spesso si scopre contaminato e contaminante e dalla storia antica di un’isola le cui coste sono sempre state battute da onde che portavano con sé genti straniere, per comprendere più da vicino un prodotto artistico che è qualcosa di più di un concept album e che potremmo definire una narrazione polifonica, nell’essere affidata a una molteplicità di strumenti espressivi che vanno dal linguaggio verbale a quello figurativo sino, naturalmente, al linguaggio musicale. Un intrecciarsi di testi in grado di dar vita a significazioni nuove a partire da un nucleo tematico essenziale, quello del viaggio per mare, topos alla base dell’intera letteratura occidentale da Omero in poi.

«Ogni viaggio è una partita con la sorte» recita un passo importante del racconto che funge da filo conduttore di questo lavoro, firmato da Maria Gabriella Ledda (e affidato alla voce di Simonetta Soro nella decima e ultima traccia sonora), incluso nella parte “cartacea” di questo cd-book, dall’aggraziata veste grafica, edito da Squilibri. Il mare, come territorio in cui i confini si fanno labili e su cui da sempre si muovono, col proprio carico di speranze, ma anche di privazioni e paure, equipaggi esperti o incauti è il cuore pulsante di questa fiaba in musica. E come in ogni fiaba, vi è una prova da superare per accedere a un tesoro sapienziale: in questo caso per il bizzarro equipaggio costituito dai suonatori Antoni e Adrià, rispettivamente «suonatore di legni a corde» l’uno e «suonatore di legni a mantice» l’altro, dal timoniere Juan Edmond Ravel e dal giovane mozzo Mohamed, ideali protagonisti di questo pellegrinaggio verso Palma de Sols, si tratta di partecipare a una competizione musicale senza eguali in onore del santo patrono. Vincerà chi riuscirà a far apparire un sorriso sul volto ligneo della statua di Sant’Antioco e a riportare quindi tra le proprie genti l’incredibile dono così ottenuto: la capacità di far svanire la tristezza. Una gara, dunque, in onore di un santo straniero venuto dal mare, in cui a sfidarsi sono musicisti provenienti da tutto il mondo in una piazza festante di “molto tempo fa” in un’isoletta al centro del Mediterraneo, persa in un passato indefinito che, proprio per questo, ha il sapore del tempo del mito.

Ma ciò che realmente importa è che sul viaggio fiabesco di Antoni, Adrià, Mohamed e Juan Edmond Ravel si riverberano altri viaggi: all’itinerario pieno di pericoli già esperito dal martire mauritano ai tempi dell’imperatore Adriano fanno da contraltare tutti gli altri pellegrinaggi che si svolgono da tempo immemore sulle stesse perigliose acque cariche di storia, in un Mediterraneo-calderone-di-culture. L’invenzione di questo equipaggio di eterogenea provenienza che salpa alla volta di Sant’Antioco sembra voler porre l’accento proprio sul modo in cui il concetto di cultura dovrebbe essere compreso se non si vuole incorrere in un antistorico malinteso: non come asfittico sistema chiuso, afferente a una specifica appartenenza etnica o territoriale, ma come insieme vivo e dai confini porosi, permeabili, che nell’incontro con l’alterità si arricchisce e modifica, senza permanere mai uguale a se stesso.

Forse per questo, in quanto effimere e soggette a cambiamento, nonché costituite da un materiale che, come la rena, è per natura composito, ad accompagnare il viaggio del lettore-ascoltatore attraverso Palma de Sols, sono state scelte le suggestive opere dei sand artist Elena e Gamba Pusceddu. E la memoria di ciò che siamo, di ciò che siamo stati, il ricordo della mutevolezza a cui ogni cosa del mondo è soggetta è importante parte di quella ricchezza di cui il mare si fa custode e latore. La dedica di Palmas è ferma nei propri propositi: «La musica raccolta in questo disco vive, attraversando il tempo e i mari, nel sogno di coraggiosi viaggiatori. La dedico a chi dal mare ha saputo trarre ricchezza, a quanti al mare affidano la propria vita e le proprie speranze: ai tanti che ce la fanno, ai troppi che vedono il proprio sogno frantumarsi tre le onde».

Difficile non cogliere un riferimento a una drammatica attualità che vede questo mare nostrum convertirsi in un mosaico di barriere da pattugliare o, più spesso, nella silenziosa tomba di coloro che partono con, fra le mani, un fragile bottino di speranze appena abbozzate e nostalgie.

Una dedica rivolta ai tanti Mohamed, Antoni e Adrià che vengono privati persino del diritto a una propria storia da raccontare e ingrossano le percentuali snocciolate dai media, divenendo materiale per infelici slogan politici finalizzati a nutrire ottusi sentimenti identitari.

Un presente che si rapporta in maniera stridente con la favola di questo minuto equipaggio che si reca, ben accolto, a una festa in cui la musica si fa anzitutto abbattimento delle frontiere e scambio.

 

Ma contaminazione, scambio e mutevolezza, proprio in virtù della posizione occupata da Palmas nel panorama musicale odierno, che ha il suo quid nel dialogo tra la ricerca sulla tradizione popolare e l’innovazione delle sue forme, corroborano anzitutto la fitta trama affidata alle prime nove tracce del disco. Brani che, più che fungere da ideale accompagnamento al viaggio dell’equipaggio, intrecciano narrazione alla narrazione, lasciando libero il fruitore di individuare un suo fil rouge tramite il quale orientarsi durante la navigazione verso Sant’Antioco.

Si sale su questo vascello partendo dall’incedere ternario del Valzer degli increduli: Palmas dà vita a un arrangiamento sapientemente dosato a cui al canto della mandola si sommano morbide aperture ottenute dalle successive stratificazioni di organo, organetto e liuto cantabile, in un misurato e suggestivo crescendo che rimanda il pensiero all’incresparsi delle onde. Espero è malinconica ballata, in cui Palmas, qui alle prese con mandola, mandoloncello e liuto cantabile, coniuga la brillantezza delle linee melodiche ai sobri interventi elettronici di Francesco Medda, in arte Arrogalla, a donare profondità e respiro al brano.

 

Juan Edmond Ravel ammicca dal punto di vista strutturale alla versione del Bólero del noto compositore francese che porta il cognome del fiabesco timoniere dallo «sguardo di mare infinito e di fiamme» a cui il brano è dedicato e che, chissà, negli intenti di questa finzione letteraria potrebbe anche essere un suo lontano avo.

Est è uno dei brani più intensi dell’album che a un fraseggio di mandola ripetuto come un mantra unisce, in un paesaggio sonoro di vibrante delicatezza, le voci degli archi (il quartetto Archea string) e lo struggente dialogo coi fiati, impreziosito dall’espressiva performance di David Brutti al sax soprano. Unico brano cantato è invece Gozos San Antìogo, afferente alla tradizione di questo tipo di canto devozionale, esito di un lungo studio sulla tradizione dei Cantìgas de Santa Maria, ovvero oltre 500 componimenti popolari dedicati alla Vergine, per lo più voti per ottenere una liberazione o per guarire da qualche malattia. Cantato da Simonetta Soro, il brano si avvale della collaborazione dell’ iraniano Pejman Tadayon, virtuoso del ney, antichissimo flauto, e del setar.

Il disco si avvia alla conclusione con melodie che sanno di nostalgie incipienti, con la Suonata del corso, brano ispirato alla Corsicana, e con una Luna Piena disegnata sull’orizzonte marino in punta di violoncello che poi si rivela in tutto il proprio mesto incanto all’unirsi del resto del quartetto. Buon vento è brano di commiato, in cui le onde marine diventano parte integrante dell’impasto sonoro e nel cui arrangiamento entrano, in maniera forse un po’ manieristica ma funzionale, le uillean pipes di Fabio Rinaudo.

Un disco, anzi un raffinato “disco-libro” dalle atmosfere sognanti, consigliatissimo e in cui si riconferma la sensibilità compositiva di Palmas – dote di cui del resto aveva già dato ampia prova in Cainà (2005) – ovvero la capacità di abbracciare, in un unico sguardo, il proprio patrimonio musicale di provenienza, di com-prenderlo e interiorizzarlo per trarne frutti originali, inquadrandolo in un contesto di più ampio respiro, rintracciando fertili continuità tra tradizioni musicali differenti. O, per dirla in altro modo, per farne materia di scambio e dialogo tra collettività e individui, riportando la musica al suo scopo primigenio, quello comunicativo.

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