All'Arena del Sole di Bologna
Le donne di Orban
Il regista ungherese Kornél Mundruczo, con un occhio all'Antonioni di Zabriskie Point, racconta che cosa vuol dire vivere la propria diversità nel paese di Orban. Come non rivedere anche l'Italia in questo bellissimo incubo teatrale?
I Festival Teatrali sono occasioni preziose per vedere compagnie estere che solitamente non vanno facilmente in scena sui nostri palcoscenici, e quello di Vie, giunto alla sua quattordicesima edizione, organizzato dall’ERT (Emilia Romagna Teatri) è sicuramente uno dei più interessanti. Il Festival si dipana tra Bologna, Modena; Cesena, Carpi e Castelfranco Emilia. Sono riuscito a seguire, all’Arena del Sole di Bologna, il dirompente regista teatrale e cinematografico ungherese Kornél Mundruczo di Proton Theatre (classe 1975) che ha messo in scena Imitation of Life. Una sorta di inaspettato omaggio a Zabriskie Point di Antonioni, con quella iconica scena del micro universo casalingo che lentamente, inesorabilmente ci ruota di 360 gradi trasformando in un lancinante caos l’insieme delle piccole cose che affastelliamo durante la nostra esistenza, rivelandoci il caos che tenevamo nascosto dentro.
Sì, siamo dentro ad un misero bilocale di Budapest in cui si racchiude la vita di questa umile donna di origine rom (la bravissima Lili Monori) che viene sottoposta ad un implacabile interrogatorio, preliminare al suo sfratto. Il regista ci fa assistere alla scena iniziale con lo stratagemma della ripresa cinematografica, con lei in primissimo piano, per meglio leggerne il tormento, la stanchezza di una vita braccata dai regolamenti ostili al suo essere diversa, in una nazione, come quella di Orban, che non accetta gli immigrati e che tanto ci ricorda, purtroppo, il nostro “Prima gli Italiani”.
Il marito morto, il figlio sparito che non accetta di essere Rom e per questo si “traveste” da biondino ungherese e si sbianca la pelle per normalizzarsi, anche se tutto questo non gli basterà perché (cronaca vera a cui il regista si è ispirato per la sua pièce) in tram ucciderà un altro rom, ingannato dal suo aspetto di finto “integrato”…. Questo racconto stremato di una vita così simile ai tanti invisibili che popolano i nostri paesi europei, ad un certo punto ci viene mostrata, senza più l’apparente finzione del filmato, che si rivela invece una presa diretta, alzando il telo che nascondeva lo scrigno abitativo. Una sorta di abside laico della povertà, pregno di una luce caravaggesca, che tanto mi ricorda la cappella Cerasi San Luigi dei francesi, colmo di infinite raccolte di esistenze che tutti noi archiviamo in attesa di chissà quale momento riepilogativo.
Il liquidatore, (l’efficace Roland Ràba) grazie anche a questa metaforica luce, e alla sofferta musica di Nina Simone che a questo punto invade la scena, di fronte all’improvviso malore dell’anziana signora, perde il suo inflessibile rigore burocratico e tenta, inutilmente di far arrivare i soccorsi. Non riesce a smontare le procedure di questo paese colmo di contraddizioni sociali che ritiene giusto pensare, come gli ripetono laconicamente al cellulare: «Se dovessimo soccorrere anche i rom si estinguerebbe la popolazione ungherese». Frase che fa accapponare la pelle sentita in teatro ma che misteriosamente rimane neutra nella vita di tutti i giorni per tanti italiani che non trovano nulla di strano se il nostro paese tiene in ostaggio donne, bambini, e uomini fuggiti dai moderni lager libici, per settimane sotto il sole di agosto, su una nostra nave militare ormeggiata in uno dei porti del tricolore.
Dopo la catartica scena del mondo che si disarticola rovinosamente ruotando davanti ai nostri occhi, entra su questo day after, quasi a esemplificare la ruota della vita, una giovane donna che ha bisogno dell’alloggio per lei e il suo piccolo, stremato di precarietà quanto lei. E, pur nell’impressionante caos in cui si aggira, pressata al telefono da un compagno violento che non vede l’ora di ritrovarla, accetta di firmare la sua nuova “tana” per dare tregua alla sua vita nomade. Finché entra in scena il ragazzo della precedente madre in cerca di lei, che tanto sembra ricordarci la inevitabile reiterazione delle loro esistenze in un mondo ostile che non pensa che a costruire muri anziché accogliere.
Uno spettacolo memorabile, incentrato (come dice il regista stesso in una recente intervista) sul ritratto di queste due emblematiche donne e della loro identità, che ci fa rimanere inchiodati alla poltrona, facendoci ancora una volta percepire la potenza del teatro, se gestita da un grande regista che si sa interrogare sul proprio tempo, sempre che si abbia, come nel caso suo, ancora qualcosa da dire.