In margine al Premio Nonino
Metodo Applebaum
Incontro con la storica e giornalista Anne Applebaum: «L'Europa non riflette abbastanza sulle proprie conquiste. E questo genera equivoci tra patriottismo e nazionalismo. Un modo, pericoloso, di sottovalutare la strategia di Putin»
Una fiducia incrollabile nei confronti dell’Occidente e delle idee progressiste e democratiche che esso incarna. Meglio, che ha incarnato fino a ieri, ma che ora sono incrinate dal montare dei nazionalismi e dei populismi. Anne Applebaum – storica e giornalista americana cinquantacinquenne, premio Pulitzer 2004 per il saggio Gulag: una storia, decenni di indagini sullo stalinismo (a maggio uscirà per Mondadori La grande carestia sull’Holodomor ucraino, la razzia tra il 1931 e il ‘33 di ogni mezzo di sostentamento ordinata da Stalin per affamare il “granaio d’Europa” e sterminare cinque milioni di persone) – ha chiari i pericoli che Europa e Usa stanno correndo. Ma sul nostro continente offre a Succedeoggi risposte che possono suonare troppo sfumate, finanche semplicistiche.
E però un insegnamento forte ha espresso dal palco del Premio Nonino – istituito nel 1975 dalla famiglia per antonomasia della grappa, gente del Friuli concreta e insieme capace di volare alto con le idee – dove ha ricevuto dal presidente della Giuria Antonio Damasio (gli altri sono Peter Brook, Adonis, Claudio Magris, John Banville, Luca Cendali, Edgard Morin, Norman Manea, Emmanuel Le Roy Ladurie, Ulderico Bernardi, James Lovelock) il riconoscimento 2019 “A un Maestro del nostro Tempo”.
Attenzione, ha avvertito Applebaum: «Una delle divisioni culturali più profonde e preoccupanti del mondo moderno è quella tra persone che si suppone siano cosmopolite – persone che viaggiano molto, che vivono in grandi città – e persone la cui esistenza è presumibilmente legata alla campagna. In molti paesi questi due gruppi a volte agiscono come tribù diverse. La competizione tra loro alimenta alcune delle emozioni peggiori della politica di oggi non solo in Europa ma in tutto il mondo: rabbia, risentimento, xenofobia. Lo Stalinismo è stato un’ideologia che ha cercato di creare categorie di cittadini peggiori e migliori, anche di allontanare alcune persone come non cittadini. Dobbiamo guardarci da questo tipo di divisioni, prestare attenzione alle gente di campagna e a quella di città».
Professoressa Applebaum, la xenofobia è uno dei risvolti del nazionalismo. Vivono entrambe un’escalation. Talvolta però il nazionalismo viene percepito come patriottismo.
Bisogna distinguere bene. Patriottismo è sentirsi parte di una nazione, lavorare per il proprio Stato, tenendo fermo il principio base della democrazia. Nazionalismo è organizzare la gente contro qualcosa, farle dire: noi siamo noi e chiudiamo la porta agli altri. L’autoritarismo che sottende rischia di incrinare il periodo eccezionale che vive l’Occidente, ovvero l’assenza di dittature. Eccezionale, sì, perché per secoli e secoli lo status normale dei popoli era vivere in guerra o nella privazione della libertà. Temo che se la gente non riprende a studiare la storia può perdere la condizione invidiabile che vive ora. L’equilibrio tra patriottismo e nazionalismo è molto delicato.
In Europa soprattutto?
Finora per gli americani forse è stato più facile sentirsi patrioti. La federazione tra Stati li ha abituati a rispettare le differenze e insieme ad amalgamarsi in una sola grande nazione. Però l’Europa stessa non si accorge di avere un’identità definita, che un non europeo coglie meglio: per esempio qualche giorno fa ero a Madrid e avevo la sensazione di trovarmi a Milano.
Ma ci sono avvenimenti che i cittadini europei percepiscono come divisivi. Francia e Germania hanno appena stretto ad Aquisgrana un patto che esclude gli altri partner del Vecchio Continente. Un accordo non solo politico ma anche militare, in vista della creazione di un esercito Ue.
Tutti i Paesi europei hanno relazioni bilaterali con i propri vicini. Per esempio la Polonia ne ha stretto di forti, anche se faticosamente, con la Germania. Non vedo perché dare all’accordo tra Parigi e Berlino un valore negativo per l’Ue. Sono i due Stati più forti dell’Europa, è logico che collaborino. Questo non significa escludere gli altri. Né vedo, in questa fase, la possibilità che Francia a Germania vadano da sole per la loro strada.
Un altro spettro agitato è quello dell’allargamento dell’Europa verso Est, che potrebbe favorire una Unione a due velocità.
In realtà, questo allargamento è la cosa migliore che l’Ue abbia fatto. Gli Usa da tempo parlano della necessità di esportare la democrazia. Ebbene, lo ha fatto molto di più l’Europa, proprio estendendosi a Est. L’aumento di prosperità di questo settore geopolitico è un bene per tutto il Continente, anche dal punto di vista commerciale. Del resto le due velocità già esistono. Alcuni Paesi hanno l’euro, altri no; alcuni aderiscono a Schengen, altri no. Penso non ci sia alcun motivo che vieti l’ingresso in Europa di capitali della sua parte orientale. Negli Usa, ripeto, abbiamo tanti Stati con diverse fisionomie, ma riusciamo a convivere.
Ma perché l’Europa è passata dalle onde navigabili delle socialdemocrazie alla marea pericolosa dei populismi?
È successo un fatto importante, sottostimato: la rivoluzione dell’informazione, che sempre, nei secoli ha portato a cambiamenti politici ed economici; basti pensare all’invenzione di Gutenberg. Ebbene, lo spostamento dell’informazione dai giornali a Internet provoca due effetti. Da una parte si allarga la platea dei fruitori che può dibattere sulle questioni. Dall’altra, in comunità chiuse, si manipola l’informazione, con le fake news, con i trolls inseriti nei canali della comunicazione. È quello che sta facendo Putin, terrorizzato dalla possibilità di espansione della richiesta di democrazia. In sostanza, in Russia le autorità cercano di sommergere informazioni accurate in una marea di rifiuti sponsorizzati dallo Stato, producendo enormi quantità di storie contraddittorie progettate per minare il concetto stesso di verità.
È un fatto però che la Russia si senta accerchiata dalla Nato e reagisca per questo in modo aggressivo, come ad esempio avvenuto in Georgia e in Ucraina. È uno strascico dell’equivoco in cui gli Usa di Bush fecero cadere Gorbaciov, che durante le trattative per la riunificazione delle due Germanie aveva avuto dal Segretario di Stato Baker assicurazioni, pur se solo verbali, che la Nato non si sarebbe allargata «di un pollice più a est».
Non c’è documento scritto che attesti l’obiezione russa all’allargamento della Nato negli anni della Riunificazione. E questo è un argomento usato da Putin e dal suo Governo per giustificare certe mosse di politica estera.
Torniamo al populismo dilagante. Ne sono contagiati anche Trump e Salvini. Che pensa di questi due leader?
Hanno molto in comune, usano le stesse tattiche, non è un caso che entrambi si dichiarino pro-Russia perché tutti e due hanno successo attaccando le istituzioni democratiche. Però penso che Salvini capisca meglio la politica rispetto a Trump.