Francesco Improta
A proposito di “Artigianato sentimentale”

Come dire dolore

Il tempo, l'acqua, la solitudine: un nuovo "male di vivere" affiora nitido nei versi di Gabriele Borgna. È quello del conflitto tra la vita e l'«ora bugiarda» delle illusioni

Gabriele Borgna con il suo esordio poetico, Artigianato sentimentale (casa editrice puntoacapo, 8 euro) s’inserisce nel solco tracciato da quella schiera di poeti trentenni, tra i quali mi piace ricordare Maria Pia Romano, Ilaria Palomba, Gabriele Calloni, Luca Perrone e Melania Panico, che, in questi ultimi anni dopo un periodo in cui la poesia è stata ignorata, emarginata se non addirittura dileggiata dai più, ha dato vita a una nuova e interessante fioritura poetica.

Il libriccino di Borgna comprende 30 componimenti suddivisi in due sezioni di uguali dimensioni: Amori in rilievo e Solitudini da piombo. Questa perfetta distribuzione del materiale poetico va messa in relazione con la classica com­postezza dei suoi versi che scaturisce dalla grande tradizione ligure che risale a Sbarbaro, a Montale, a Novaro e che vibra in sottofondo come giustamente lascia intendere nella sua bella prefazione Giuseppe Conte.

La poesia – è risaputo – si sottrae a qualsiasi tentativo di definizione o di chiarimento, rifiuta, cioè, gli abituali parametri interpretativi che non siano quelli specifica­mente stilistici e metrici e vive di allusioni, di ambiguità poli­semica e di musicalità affidandosi alla sensibilità di chi legge o ascolta, a seconda che sia un rito da officiare in pubblico o da celebrare in privato. E ciò è tanto più vero in questo caso, dal momento che mancano agganci, punti di riferimento precisi se si escludono Porto Maurizio, u portu, con il suo paesaggio verticale, «dedalo di crinali e muri di scogli», il cielo che sovrasta con «rondini e ideogrammi» e soprattutto il mare su cui si affaccia dove – come si legge nella quarta di copertina – «respirando con lentezza il mare // ci promettemmo salsedine a vita». L’acqua del resto, con tutte le sue valenze simboliche e ritmiche, è una presenza costante nella poesia di Borgna e vi compare, ora limpida e trasparente, ora torbida e scura, nella bellissima poesia Onda lunga, sotto forma di torrente, fiume, lago, pantano e infine oceano: «Non come lo stagno torbido dall’acqua // tersa in superficie // dove basta un tocco di libellula // a svelarne la natura melmosa. // Io per te sarò un oceano, un eterno // flusso senza fine, dall’onda lunga…»

Il tempo, invece, o viene indicato attraverso alcune ricorrenze consacrate come Pasqua e Natale, o viene scandito dall’alternarsi delle stagioni, e, in un componimento originalissimo, il tempo lungo di una intera vita viene compresso e confinato nell’arco di ventiquattro ore dall’alba al tramonto, attraverso il mattino, il mezzogiorno e il pomeriggio, ed è nel crepuscolo, ultima ora del giorno, che prelude alla notte eterna, che è ravvisabile la sensibilità dolente di Gabriele, il suo latente pessimismo: «Resti umani appesi a una finestra // che seguono distratti la piena del mondo. // Tra avanzi di lucidità mi riconosco. // Per me, non è più tempo di credere ai miracoli // né all’ultima ora, che salva e redime. // Una siffatta verità è l’anticamera della polvere. // Però la morte non pretende verità, ma vita».

Un dolore antico per la perdita prematura di un padre che lo accom­pagnava con la sua voce profonda, quand’era bambino, «sulle isole bianche, sulle isole della fantasia» e per la mancanza di certezze e di stabilità; un dolore che contamina e avvelena anche l’amore, un amore che si riteneva immenso e imperituro («Albero del pane, acqua pura // per fuggiaschi e sognatori») e che col tempo diventa tormento, sofferenza («ora che con rabbia ci auto-flagelliamo // gridandoci l’uno l’altro // il nome dell’altro, i difetti dell’altro».)

La sofferenza che attraversa i suoi componimenti e che si mineralizza nelle parole, veri e propri grumi di dolore («il mio dolore è una pietra», immagine decisamente ungarettiana, non diversamente da quella che chiude lo stesso componimento, Erosione: «Campo di croci»), la sofferenza, dicevamo, nasce dalla solitudine che dà il titolo alla se­conda sezione, a mio avviso, la più bella, la più autentica in cui acquista senso e valore anche il titolo di tutta la raccolta, Artigianato sentimentale, che testimonia di una capacità di sentire non comune, di un continuo scavo interiore e di un lavoro certosino di cesello. Una solitudine che si fa vuoto, deserto, disperazione e vertigine: «pensiline svuotate lungo // binari spogliati; primavera evirata di fiori […] Vai, vai anche tu // come le foglie vanno; una terra incrostata di vuoti contrapposti; lasciando spazio al vuoto // deserto che mi cresce e si distende».

Sarebbe facile continuare ad antologizzare, a cogliere in questa silloge poetica di grande spessore e qualità immagini efficaci, impeccabili, es­senziali per dirla con Montale, citato non a caso nella prefazione da Giuseppe Conte, ma preferisco concludere questa mia ricognizione tra i suoi testi riportando integralmente il componimento che più mi ha colpito, L’ora bugiarda: «Come dev’essere semplice sentirsi sereni // in questo tramonto chiacchierato dai merli // mentre il giorno agonizza e si stempera // a poco a poco al di là della collina. // Aculei pungenti nell’aria, // frutti del primo ottobre. // Note di legna // che arde in un remoto // anonimo camino. // Ma il grido all’improvviso d’un rapace // è già una spina di memoria, // un pungolo nel niente che mi resta, // io, solo, qui, // in questa atroce solitudine».

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