A proposito di “Artigianato sentimentale”
Come dire dolore
Il tempo, l'acqua, la solitudine: un nuovo "male di vivere" affiora nitido nei versi di Gabriele Borgna. È quello del conflitto tra la vita e l'«ora bugiarda» delle illusioni
Gabriele Borgna con il suo esordio poetico, Artigianato sentimentale (casa editrice puntoacapo, 8 euro) s’inserisce nel solco tracciato da quella schiera di poeti trentenni, tra i quali mi piace ricordare Maria Pia Romano, Ilaria Palomba, Gabriele Calloni, Luca Perrone e Melania Panico, che, in questi ultimi anni dopo un periodo in cui la poesia è stata ignorata, emarginata se non addirittura dileggiata dai più, ha dato vita a una nuova e interessante fioritura poetica.
Il libriccino di Borgna comprende 30 componimenti suddivisi in due sezioni di uguali dimensioni: Amori in rilievo e Solitudini da piombo. Questa perfetta distribuzione del materiale poetico va messa in relazione con la classica compostezza dei suoi versi che scaturisce dalla grande tradizione ligure che risale a Sbarbaro, a Montale, a Novaro e che vibra in sottofondo come giustamente lascia intendere nella sua bella prefazione Giuseppe Conte.
La poesia – è risaputo – si sottrae a qualsiasi tentativo di definizione o di chiarimento, rifiuta, cioè, gli abituali parametri interpretativi che non siano quelli specificamente stilistici e metrici e vive di allusioni, di ambiguità polisemica e di musicalità affidandosi alla sensibilità di chi legge o ascolta, a seconda che sia un rito da officiare in pubblico o da celebrare in privato. E ciò è tanto più vero in questo caso, dal momento che mancano agganci, punti di riferimento precisi se si escludono Porto Maurizio, u portu, con il suo paesaggio verticale, «dedalo di crinali e muri di scogli», il cielo che sovrasta con «rondini e ideogrammi» e soprattutto il mare su cui si affaccia dove – come si legge nella quarta di copertina – «respirando con lentezza il mare // ci promettemmo salsedine a vita». L’acqua del resto, con tutte le sue valenze simboliche e ritmiche, è una presenza costante nella poesia di Borgna e vi compare, ora limpida e trasparente, ora torbida e scura, nella bellissima poesia Onda lunga, sotto forma di torrente, fiume, lago, pantano e infine oceano: «Non come lo stagno torbido dall’acqua // tersa in superficie // dove basta un tocco di libellula // a svelarne la natura melmosa. // Io per te sarò un oceano, un eterno // flusso senza fine, dall’onda lunga…»
Il tempo, invece, o viene indicato attraverso alcune ricorrenze consacrate come Pasqua e Natale, o viene scandito dall’alternarsi delle stagioni, e, in un componimento originalissimo, il tempo lungo di una intera vita viene compresso e confinato nell’arco di ventiquattro ore dall’alba al tramonto, attraverso il mattino, il mezzogiorno e il pomeriggio, ed è nel crepuscolo, ultima ora del giorno, che prelude alla notte eterna, che è ravvisabile la sensibilità dolente di Gabriele, il suo latente pessimismo: «Resti umani appesi a una finestra // che seguono distratti la piena del mondo. // Tra avanzi di lucidità mi riconosco. // Per me, non è più tempo di credere ai miracoli // né all’ultima ora, che salva e redime. // Una siffatta verità è l’anticamera della polvere. // Però la morte non pretende verità, ma vita».
Un dolore antico per la perdita prematura di un padre che lo accompagnava con la sua voce profonda, quand’era bambino, «sulle isole bianche, sulle isole della fantasia» e per la mancanza di certezze e di stabilità; un dolore che contamina e avvelena anche l’amore, un amore che si riteneva immenso e imperituro («Albero del pane, acqua pura // per fuggiaschi e sognatori») e che col tempo diventa tormento, sofferenza («ora che con rabbia ci auto-flagelliamo // gridandoci l’uno l’altro // il nome dell’altro, i difetti dell’altro».)
La sofferenza che attraversa i suoi componimenti e che si mineralizza nelle parole, veri e propri grumi di dolore («il mio dolore è una pietra», immagine decisamente ungarettiana, non diversamente da quella che chiude lo stesso componimento, Erosione: «Campo di croci»), la sofferenza, dicevamo, nasce dalla solitudine che dà il titolo alla seconda sezione, a mio avviso, la più bella, la più autentica in cui acquista senso e valore anche il titolo di tutta la raccolta, Artigianato sentimentale, che testimonia di una capacità di sentire non comune, di un continuo scavo interiore e di un lavoro certosino di cesello. Una solitudine che si fa vuoto, deserto, disperazione e vertigine: «pensiline svuotate lungo // binari spogliati; primavera evirata di fiori […] Vai, vai anche tu // come le foglie vanno; una terra incrostata di vuoti contrapposti; lasciando spazio al vuoto // deserto che mi cresce e si distende».
Sarebbe facile continuare ad antologizzare, a cogliere in questa silloge poetica di grande spessore e qualità immagini efficaci, impeccabili, essenziali per dirla con Montale, citato non a caso nella prefazione da Giuseppe Conte, ma preferisco concludere questa mia ricognizione tra i suoi testi riportando integralmente il componimento che più mi ha colpito, L’ora bugiarda: «Come dev’essere semplice sentirsi sereni // in questo tramonto chiacchierato dai merli // mentre il giorno agonizza e si stempera // a poco a poco al di là della collina. // Aculei pungenti nell’aria, // frutti del primo ottobre. // Note di legna // che arde in un remoto // anonimo camino. // Ma il grido all’improvviso d’un rapace // è già una spina di memoria, // un pungolo nel niente che mi resta, // io, solo, qui, // in questa atroce solitudine».