Lidia Lombardi
La ristampa del libro e il sequel del film

Mary Poppins evergreen

Incanta l’edizione 2.0 di quello che fu il capolavoro di Disney. Con Emily Blunt nel ruolo interpretato nel ’64 da Julie Andrews. Ma per conoscere tutte le avventure che i due film non raccontano è consigliabile la lettura del romanzo di Pamela Lyndon Travers, riproposto ora fedelmente da Rizzoli

Nuova vita alla tata magica con il film da qualche settimana nelle sale, Il ritorno di Mary Poppins, diretto da Rob Marshall (Chicago, Memorie di una geisha, Nine): un grande musical che ripercorre in filigrana il cult movie Disney, uscito nel 1964, capolavoro che mischiò personaggi live e cartoni affidando il ruolo principale a Julie Andrews (nella foto in basso, con Bert-Dick Van Dyke). Nel titolo ora nelle sale la protagonista è Emily Blunt, che ci fa sognare come l’omologa di mezzo secolo fa anche se non canta motivi travolgenti come “Supercalifragilistichespiralidoso”. E le invenzioni della regia sono smaglianti, per esempio il bagno nella vasca casalinga che diventa fondo marino per i due figli di Michael (sì, perché il sequel è ambientato trent’anni dopo, all’epoca della Grande Depressione, e i piccoli protagonisti del ‘64 sono cresciuti ma non si stupiscono nel rivedere la loro bambinaia senza una ruga come la conobbero e pronta a occuparsi dei nuovi rampolli di casa Banks). Per il resto la Mary Poppins 2.0 replica le avventure già viste, anzi, si trova alle prese anche con l’orologio del Big Ben da fermare per alcuni secondi – favorendo così il lieto fine – citazione di altri film, da Ritorno al futuro a Hugo Cabret.

Ma se volete conoscere davvero tutte le avventure fatte vivere dalla bambinaia-fata ai ragazzini di Viale dei Ciliegi 17, leggete il romanzo di Pamela Lyndon Travers, australiana naturalizzata inglese, che ha dato il la ai due kolossal. Lo ripubblica Bur, senza cambiare una virgola all’originale, comprese le illustrazioni di Mary Shepard, disegnatrice inglese quasi per caso (per il libro di Travers sostituì il padre, celebre matita). Sono pagine memorabili, che lievitano su una fantasia visionaria e poetica. Non ci sono solo lo zio Mr Wigg che il “gas esilarante” solleva fino al soffitto; né solo Bert (un fiammiferaio nel libro, uno spazzacamino nel film del ’64, un lampionaio di nome Jack in quello appena uscito al quale dà volto Lin-Manuel Miranda) col quale Mary si infila nei disegni a gessetto trovando parchi incantati e un Cameriere che serve un impeccabile tè a lei e all’amico senza un penny. C’è la pasticcera dalle dita fatte di caramelle che una notte va ad attaccare sul firmamento le stelle di carta prese dai suoi pan di zenzero e conservate da Michael e Jane in un cassetto nella loro camera; c’è la Bussola che in trenta secondi conduce Mary& bimbi dal Nord al Sud del Mondo, dall’Est all’Ovest, incontrando orsi e pappagalli, panda e delfini, salottieri come compite ladies d’oltre Manica; ci sono i due fratellini di Michael e Jane, che riescono a parlare con gli animali fino a quando compiono un anno, perché poi il dono scompare (insieme con la perfetta innocenza, il messaggio dell’autrice). Ne semina altri, la Travers, in una mission che ironizza sul conformistico egoismo della borghesia Anni Ruggenti.

Ecco la visita notturna allo zoo (già, le peripezie incantate sono nei sogni dei piccini, come per Alice nel Paese delle Meraviglie): un capitolo che avrebbe potuto ispirare Fellini, con il fantasmagorico rovesciamento dei ruoli per il quale gli umani sono in gabbia e gli animali ci parlano e li nutrono, in un bislacco coloratissimo party. Travers, parca di confidenze su di sé, rivelò di aver inventato la favola poco più che adolescente, per rallegrare le sorelline. La sua parabola è un omaggio al civile ottimismo. Ce n’è bisogno, oggi, in un mondo tanto incattivito, specie nelle stanze del Palazzo.

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