Alessandra Pratesi
Visto al Teatro Eliseo di Roma

Lunare Salomè

Debutta al Teatro Grande di Pompei, arriva al Teatro Eliseo di Roma: la “Salomè” di Oscar Wilde diretta da Luca De Fusco con Gaia Aprea nel ruolo eponimo ed Eros Pagni nel ruolo del tetrarca della Galilea al tempo di Gesù. Drammaturgia attraversata in profondità, recitazione curata nei dettagli, impianto visivo essenziale ed evocativo

Nessun sipario, una scena geometrica, essenziale, distopica. Lunare. Come quel cerchio ampio e imponente che campeggia obliquo al centro della scena e che diventa osservatore e osservato speciale dell’azione drammaturgica. Succede nella Salomè di Oscar Wilde portata in scena da Luca De Fusco. Dopo il debutto estivo alla rassegna Pompei Theatrum Mundi 2018, viene proposto per due settimane dall’11 al 23 dicembre al Teatro Eliseo di Roma.

Il soggetto è celebre, eppure la rappresentazione inusuale. Come se il destino della pièce fosse di rimanere confinato alla lettura piuttosto che alla scena. Una sorta di peccato originale: Wilde la compose in lingua francese durante un soggiorno parigino nel 1981 per una Sarah Bernhardt che poi si rifiutò di interpretarla. Il regista restituisce la giusta dose di vitalità e iconicità ad una storia che è d’amore carnale concupito e non consumato e di fede religiosa anelata e incarnata. «Un grande archetipo, un simbolo eterno di amore e morte», così nelle Note di regia. E degli archetipi e delle icone senza tempo ha il ritmo lento e dilatato, come a volerne sottolineare l’eternità. L’azione scenica, infatti, è racchiusa nei monologhi e nella danza dei sette veli, accompagnata dalle musiche create appositamente da Ran Bagno. L’operazione è affidata a un cast con punte di eccellenza. Gaia Aprea, nel ruolo eponimo, è sublime. Le modulazioni vocali e la gestualità si confermano armi pienamente padroneggiate e completano la costruzione del personaggio che inizia con i costumi bianchi, agghiaccianti e futuristici, di Marta Crisolini Malatesta. La Aprea è una femme fatale capricciosa, sensuale, diabolica, ora serpe ora aliena, comunque non umana. Nei monologhi la sua voce si fa talmente caleidoscopica e magnetica che lo spettacolo potrebbe quasi ascoltarsi.a occhi chiusi. Eros Pagni è l’elemento comico e grottesco che incrina il regime di austerità e sacralità; è un Erode effeminato amante dei piaceri e del lusso, succube del Potere, timoroso del Soprannaturale, bramoso della sensualità femminile al punto che sacrificherebbe metà del suo regno per avere Salomè ma che alla fine acconsente a sacrificare la testa del profeta imprigionato, ma in fondo temuto e rispettato. Anita Bartolucci presta piglio risentito e corporeità da matrona al personaggio di Erodiade, risultando un’ottima spalla alla comicità stridente di Pagni/Erode quando riproducono dinamiche borghesi da coppia sposata. Giacinto Palmarini è uno Iokanaan emaciato e visionario, e ad accentuare la sua diversità dagli altri personaggi si presenta ora come corpo dipinto, ora come proiezione video.

Afferma il regista: «Credo che l’amore/odio di Salomè per Iokanaan sia figlio di quel desiderio mimetico su cui il grande antropologo René Girard ha scritto pagine memorabili. In sostanza, a mio avviso, Salomè ama talmente il profeta da volersi trasformare in lui stesso. Non può e non vuole uscire da una dimensione narcisistica dell’amore e quindi si specchia nel profeta». Da questa intuizione prende avvio la conclusione originale aggiunta al dramma wildiano. La vicenda di Salomè viene risolta in una doppia trasformazione: la testa decapitata del profeta assume le sembianze di Salomè mentre proiettata sullo sfondo appare Salomè che si immerge nell’acqua per purificarsi. La drammaturgia viene attraversata in profondità, la recitazione viene curata nei dettagli, l’impianto visivo è essenziale ed evocativo. Il risultato è un messaggio intellettuale e sensoriale di una potenza sottile e pervasiva.

 

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