Dalla Carnegie Hall di New York /3
Un ritorno trionfale
In occasione del ritorno del tenore peruviano Juan Diego Flórez al Carnegie Hall, dialogo a quattro mani tra Luca Zipoli, PhD in Letteratura Italiana alla Normale di Pisa e già autore per “Succedeoggi”, e Max Matukhin, PhD in Letterature comparate alla Princeton University. La musica che fa parlare, la musica che unisce
Max, spiegaci perché il concerto di Flórez al Carnegie Hall del 18 novembre era davvero un evento imperdibile.
Dopo più di tre anni di assenza, il tenore peruviano Juan Diego Flórez è tornato il 18 novembre a New York, questa volta per un recital al celebre Carnegie Hall, accompagnato dal pianista Vincenzo Scalera. Per più anni, Flórez è stato una presenza costante al Metropolitan Opera, dove si è esibito con grandissimo successo in ruoli di belcanto, come Il barbiere e La Cenerentola di Rossini oppure La Fille du régiment di Donizetti. Si è presto affermato come il tenore lirico leggero per eccellenza, con una voce chiara, dal timbro perfettamente riconoscibile e di un virtuosismo impareggiabile. La serata al Carnegie segna il suo ritorno newyorkese, presto bis al Metropolitan Opera, dove tanti successi riscosse e dove si appresta a interpretare Alfredo Germont nella Traviata di Verdi. Questo concerto rappresenta anche un momento di transizione: il tenore che conoscevamo tutti è tornato diverso, più maturo e pronto per affrontare un repertorio più vasto e complesso.
Come è cambiato il tenore? Come ha sorpreso il pubblico newyorkese?
Ad aprire il recital due cavalli di battaglia del suo repertorio, i rossiniani Addio ai viennesi e il Bolero: una prova rinnovata di tutto il suo virtuosismo, della sua tecnica impeccabile e di una coloratura di cui solo lui è capace. Il Valzer Op. 64 n. 2 di Chopin, eseguito abilmente da Scalera, dà un momento di ‘fiato’ al tenore. Dopo Rossini, è il turno di Donizetti, non la famosissima Ah mes amis! dalla Fille du régiment, bensì due arie più impegnative, fuori dal suo solito repertorio di belcanto: Una furtiva lagrima da L’elisir d’amore, seguita da Tombe degli avi miei dalla Lucia di Lammermoor. Flórez dimostra la maturità e profondità che la sua voce ha sviluppato durante i tre anni di assenza dal palco del Carnegie: la sua voce, che prima era così acuta da sembrare qualche volta leggermente nasale, è diventata più profonda e arrotondata. Ciò che ha colpito forse ancora di più è la sensibilità musicale con la quale Flórez è riuscito a interpretare queste due arie. Mentre è sempre stato associato a ruoli più leggeri, sia dal punto di vista musicale che teatrale, la sua interpretazione di Sir Edgardo ha rivelato un nuovo grado di raffinatezza interpretativa. Flórez ha deciso di concludere il programma con la celeberrima aria Che gelida manina da La bohéme. Ecco che dopo aver cantato per anni Rossini e Donizetti, Flórez si è avventurato in un territorio del tutto nuovo con Puccini. E, con il suo timbro sapientemente oscurato e con le sue doti interpretative, Flórez non ha deluso.
Non solo Italia, n’est-ce pas?
La seconda parte del concerto è stata dedicata quasi interamente al repertorio francese, in cui Flórez ha potuto dimostrare la sua polivalenza, affrontando opere come la Manon e il Werther di Jules Massenet, senza dimenticare il Faust di Charles Gounod. Avendo già affrontato nella sua carriera opere francesi come la Orphée et Eurydice di Gluck, il tenore ha di nuovo mostrato un allargamento del proprio repertorio nella scelta di queste arie, ed è riuscito a cantarle con una grande perizia e con un accento e una dizione esemplari.
E non solo lirica…
La conclusione del concerto ha riservato un’ultima sorpresa per il pubblico: una strepitosa serie di ben sei bis durante i quali Flórez ha mostrato la sua incredibile polivalenza. Dopo essere tornato sul palcoscenico con una chitarra e uno sgabello, ha cantato classici latino-americani come Bésame mucho, La Flor de la canela e Cucurrucucú paloma con una disinvoltura insolita per un tenore lirico. Ma ecco Ah mes amis!, antico fiore all’occhiello del suo repertorio belcantistico con il quale ha dimostrato che nonostante il cambiamento della voce, non ha perso nulla dei suoi acuti. Dopo un’altra inversione di marcia con Be my love e Granada, Flórez torna con il classico dei classici per i tenori: il Nessun dorma dalla Turandot di Puccini. Quest’aria da tenore spinto-drammatico che ha sconfitto così tanti cantanti, è ciò che di più lontano esista dall’usuale repertorio rossiniano che Flórez interpretava quasi esclusivamente fino a pochi anni fa. Eppure, ci è riuscito, trionfalmente. Un trionfo al quale la standing ovation del pubblico, così rara al Carnegie, ha conferito riconoscimento ufficiale.