Cartolina dall'America
L’Europa di Trumputin
Chi c'è dietro il caos che sta dilaniando il Vecchio Continente? Dietro ai sovranismi e all'attacco costante alle classi dirigenti? Un nuovo spettro si aggira per l'Europa: la strana convergenza di interessi di due demagoghi
Con la morte di George H.W. Bush si conclude un’era storica che ha visto gli Stati Uniti ricoprire un ruolo di leadership mondiale per circa un secolo e che adesso sembra giunto al termine. Iniziato nel corso della prima guerra mondiale, di cui ricorre proprio quest’anno il centenario della fine, questo ruolo ha creato il miraggio di una democrazia realizzata. Più che un paese, l’America è stato un paesaggio dell’anima, una sorta di coagulazione, nell’immaginario collettivo mondiale di intere generazioni, di speranze, di modi di vivere e di sogni. Naturalmente, questo lato positivo non fa dimenticare le grandi magagne e gli errori madornali che, nel corso di questo secolo, la sua classe dirigente, come ebbe a dire John Wright Mills nel suo famoso saggio del 1956, Le élite del potere (Power elite), ha compiuto, mantenendo intatti per sé e per i propri alleati i privilegi che quella posizione garantiva loro. Ma, come ci ricordava Fareed Zakaria sulle colonne del Washington Post di pochi giorni fa, forse c’è ancora qualcosa da imparare da questo gruppo di potenti.
Certo non si possono perdonare agli esponenti di quella sorta di aristocrazia WASP (White Anglo Saxon Protestant) il razzismo, il classismo e l’arroganza di un capitalismo rapace e violento che ha esercitato la sua forza nel mondo. Ma si possono certamente salvare, e lo stesso Bush padre di questo è stato un testimone reale, alcune regole di comportamento generale. Ciò era dovuto “alla coscienza che quelle posizioni di privilegio erano in un certo senso accidentali e arbitrarie e dunque dovevano seguire un codice di comportamento adeguato – continua Zakaria – fatto di modestia, moderazione, di senso di decenza e responsabilità”. Ancora, si potrà obiettare che questa magnanimità era possibile proprio per il fatto che questa aristocrazia, sapendo comunque di non lottare per la sopravvivenza, riusciva a pensare in ampi termini a proposito del destino del paese e si elevava sopra il proprio utile particulare di guicciardiniana memoria.
E oggi dove siamo? Come si scelgono le élite e cosa producono? Certo il sistema di reclutamento è molto più aperto, democratico, diretto, ma proprio per questo la ricerca della sopravvivenza e del successo restringe l’orizzonte delle nuove classi dirigenti e le loro azioni sono guidate di più dall’interesse personale che da quello del bene comune. E più di tutti la mancanza di rispetto per altri meno fortunati che sono visti come dei perdenti che meritano la loro condizione di subalternità, conduce a reazioni viscerali e a scelte politiche avventuriste e pericolose. Ma questo vale non solo per i politici, ma anche per i dirigenti di azienda, per i manager, che si danno stipendi da favola e conducono vite lussuose senza risparmio e senza comprendere che quelli sotto di loro a fatica sbarcano il lunario. Manca loro la consapevolezza della vecchia classe dirigente che sapeva di essere privilegiata dalla nascita e dunque aveva una condotta di vita equilibrata che potesse costituire un esempio per tutti.
Il presidente Trump ha capito tutto ciò e lo adopera a suo vantaggio personale anche coadiuvato dall’uso spericolato e intraprendente di una tecnologia semplice e semplificata che egli conosce molto bene. Nei suoi comizi attacca l’arroganza delle élite, dell’establishment e dice ai suoi elettori: “Loro non sono le élite. Voi lo siete!” facendo trasparire tutto il disgusto che pervade lo spirito di una parte dell’America che si sente maltrattata e offesa da questo gruppo dirigente arrogante. Lo stesso disgusto che anima le manifestazioni di questi giorni in Francia e che ha animato in Inghilterra la scelta della Brexit.
Questo processo di erosione della fiducia nella classe dirigente va a intaccare profondamente l’immagine della leadership che gli Stati Uniti hanno avuto fino ad ora nel mondo. Con Trump e con la sua Casa Bianca ogni giorno, come sulle pagine di questo giornale ho scritto ripetutamente, non esiste limite alla indecenza di comportamenti imprevedibili e fuori controllo e il caos regna sovrano. A Trump non interessano affatto il bene del paese o i pilastri della sua costituzione. La sua è una ricerca spasmodica di attenzione attraverso comportamenti che tendono a scioccare gli avversari e a compiacere i suoi elettori. Il prodotto più grave di questo atteggiamento è che a indebolirsi è proprio il concetto di democrazia cosi come si è affermato in America e in tutto il mondo occidentale.
E questo è proprio il gioco di Putin, le cui collusioni con Trump sono ogni giorno più evidenti e più gravi.
Il presidente russo infatti, attraverso il suo pericoloso accordo con la controparte americana sta mettendo in atto un piano astuto e sottile che nel lungo termine si ritorcerà proprio contro Trump. Se si dimostra infatti che la classe dirigente della più grande democrazia del mondo è malata e corrotta, se se ne intaccano i pilastri e i presupposti fondamentali, la Russia ne emergerà come un baluardo di salvezza e come un paese dove poi, dopo tutto non si vive male e dove certi principi fondamentali vengono rispettati. Anche se la democrazia è più ristretta e meno permissiva di quella che si conosce in occidente. Se, a maggior ragione, l’Europa è divisa perché anche lì la classe dirigente è messa sotto accusa a causa del fatto che la gente non vive ormai più sicura (vedi i ripetuti e recenti atti di terrorismo, gli incessanti flussi migratori, le ultime manifestazioni in Francia, l’affermazione di svariati sovranismi in molti paesi della Comunità europea e, last but not least, la Brexit che sta dando ancora grandi guai), tutto ciò porta all’indebolimento dell’Unione europea, organismo sovranazionale che, nonostante i gravi errori di tecnicismi burocratici, ha finora garantito un equilibrio internazionale basato sui valori occidentali.
E dunque ci vogliono una classe dirigente nuova e un nuovo assetto politico sociale che possibilmente se ne tirino fuori.
Questo può essere l’inizio della sua fine e della possibilità da parte della grande madre Russia di erigersi a baluardo di nuovi criteri di equilibrio mondiale. E soprattutto di compiere i suoi misfatti indisturbata dentro e fuori i suoi confini di cui i ripetuti assassinii di giornalisti russi fuori dalla Russia in altri paese europei sono un esempio. Inoltre le alleanze di Putin con la Siria e con l’Arabia Saudita il cui principe ha ordinato l’assassinio del giornalista naturalizzato americano Kashoggi, vergognosamente rimasto impunito da parte di Trump, non fanno ben sperare. Non vanno in direzione di una democrazia come l’abbiamo conosciuta e creata in occidente. In questo senso si sono mosse e si muovono le collusioni tra Trump e Putin che non sono di buon auspicio non solo per gli Stati Uniti, ma per il mondo che in questi ultimi tempi è pericolosamente in balia di se stesso senza un punto di riferimento o, come una volta cantava Franco Battiato, senza “un centro di gravità permanente”.