Visto al Teatro Quirino di Roma
La nuda verità
Dopo aver inaugurato la 60° stagione del Teatro Stabile di Catania, i “Sei personaggi in cerca d’autore” di e con Michele Placido arrivano al Teatro Quirino di Roma. Il dramma della Figliastra (Dajana Roncione) e della “vita vera” riempiono la sala
Si spengono le luci, si apre il sipario, si sente un rumore di passi in platea: che lo spettacolo sia cominciato? Dubbio lecito. Con Sei personaggi in cerca d’autore, d’altronde, non è mai detta l’ultima parola. Quando è di casa il metateatro, non c’è confine che non si possa superare. E la quarta parete in effetti verrà abbattuta, dall’ingresso in scena dell’Aiuto regista, e dall’uscita della Figliastra. Eppure quei primi passi appartenevano a uno spettatore, maldestro e ritardatario. Significativo, tuttavia, quanto l’universo pirandelliano sia capace di autogenerarsi e proiettarsi innescando precisi meccanismi narrativi e cognitivi.
Nella produzione pensata da Michele Placido per il Teatro Stabile di Catania (ottobre 2017) e presentata al Teatro Quirino di Roma (all’interno della tournée 2018-2019), la dicotomia tra ciò che teatro è e ciò che teatro non è (ancora) è riproposta in maniera semplice e diretta: da una parte gli Attori, in colorato abbigliamento casual odierno con cantilenante parlata sicula, dall’altra i Personaggi, a lutto negli abiti, impostati, artefatti e vagamente esasperati nella dizione. Per sua natura la pièce si gioca sul triangolo Padre (Michele Placido), Figliastra (Dajana Roncione) e Regista (Silvio Laviano). In questa produzione, poi, è particolarmente vero: sono gli unici elementi dotati di presenza scenica, fisica, vocale o drammaturgica sufficienti a rendere accettabile le oltre due ore e mezza di spettacolo. A supporto della ricerca del “vero”, due locandine del cinema italiano anni Cinquanta campeggiano sullo sfondo come numi tutelari: I soliti ignoti di Monicelli e La strada di Fellini. Autentica senza ombra di dubbio la passione pirandelliana nutrita da Michele Placido e presupposto alla base del progetto; autentica e vibrante pure la vis attoriale e umana della Roncione che con voce piena e gesto sicuro riempie il teatro. Estenuante e straziante il lento crescendo di tensione con cui si arriva alla fine. Liberatoria la corsa della Figliastra che chiude – solo temporaneamente – il cerchio di orrore domestico che vive del suo rinnovarsi, di rappresentazione in rappresentazione, di racconto in racconto.
Rappresentato per la prima volta il 9 maggio 1921 al Teatro Valle, in Sei personaggi in cerca d’autore Luigi Pirandello racconta il dramma di sei personaggi orfani di autore, abbandonati e rifiutati perché scabrosi e pruriginosi, scomodi per la società bene: il Padre che cede la moglie a un altro, la Figliastra che si concede, ignara, al Padre. La miseria materiale e la disperazione irrequieta che scorre nelle pieghe degli abiti a lutto dei personaggi potrebbe essere una storia qualsiasi, di un tempo qualsiasi. Nei Sei personaggi sono le modalità del racconto a sbalordire. Come nell’Olympia di Édouard Manet. Nella tela del 1863 l’oggetto del contendere di critiche e censure non andava ricercato nel contenuto – la nudità del corpo femminile non ha mai rappresentato un ostacolo alla ricezione del prodotto artistico, anzi – bensì nelle modalità di espressione dell’oggetto: nessun filtro mitologico, nessun filtro stilistico. Nient’altro che la cruda – e nuda – verità fatta di colore puro e magnetico sguardo indagatore. Gli Attori cercano il cosa, una storia vera, ricercando nell’attualità la fonte di ispirazione della nuova drammaturgia (la menzione di femminicidi e morti sul lavoro fa parte dell’innesto di contemporaneità operata dalla visione di Placido). I Personaggi cercano il come. «Lavoro di pazzi quello dei teatranti, fare apparire vero quello che non è, essere più vivi dei vivi», fa eco, piccato, il Regista al Padre (un Silvio Laviano assetato di potere e fama contro un Michele Placido di nome e di fatto). «Io ho bisogno di un cadavere vero, vegeto, vivo», dice l’Attrice giovane (una stralunata Ludovica Calabrese), raggiungendo l’apice del paradosso. La vita vera si conferma il Sacro Graal nell’arte, che vi sia ciascun lo dice, ove sia nessun lo sa.