Every beat of my heart
E la Voce fu
Una nuova raccolta di Roberto Mussapi sta prendendo forma, fonde il ciclo di Oriente e Marco Polo con quello delle “Arabian Nights”. Il poeta ce ne dona un’anteprima con questi versi che raccontano dell’antica ossessione dei poeti e di come, una notte, si placò…
I lettori di questi battiti, i pochi lettori, probabilmente, ma affini, immagino, che vivono ogni sabato “every beat of my heart” (grazie, Rod, probabilmente non sei Mike Jagger, non sei Nick Cave o Neil Young o Springsteeen, ma sei rock, puro e puro e che dura) conoscono qualche mia nuova poesia inscritta nel mio perdurante ciclo d’Oriente, o di Marco Polo. Questa che ora leggono fa parte delle nuove che stanno nascendo in un libro che sta prendendo forma, e che, mi accorgo, fonde il ciclo di Oriente e Marco Polo con quello delle Arabian Nights, le Mille e una notte, e grazie anche all’ombra di Yeats, chiude tutto nel cerchio della prima istanza della mia poesia, e del suo primo vagito e tremore, e sogno e avventura, e tema. La Voce.
La voce nella notte
Una notte mentre sentiva gli occhi chiudersi
visibilmente come sappiamo sognarono
i Medi che inventarono le persiane
osservando le palpebre delle loro donne a sera
chiudersi dolcemente e fare buio dal buio:
da quello della notte quotidiana,
mutevole come il mattino o ogni parte del giorno
a quello eterno della notte lucente,
il buio astrale che precede e illumina
il sogno e il nostro procedere alle rive
dove tutte le acque scorrono per incontrarsi
lontano, in un tempo che presagirono
(i Medi, gli adoratori del fuoco, sognanti Zoroastro,
spargendo versi e incenso in attesa dell’Uomo),
il nostro prerisveglio, di ogni umano respirante…
quando una luce albare penetra nella notte esausta
e le forme del mondo si preparano
a entrare in scena, in luce e movimento,
una notte, mentre chiuse gli occhi
come in una fiaba di Disney o nei sogni dei Persiani
sentì umidità nelle palpebre, del tutto dissimile
da quella che le umetta e custodisce notte e giorno:
furono lacrime, salate e solitarie,
immuni e scisse da ogni pianto mai pianto
come se avesse paura di perdere la vista
e il mondo dei tappeti e dei colori
e le sfumature delle foglie di palma
e gli occhi iridescenti delle donne…
Come la sua retina velata anzitempo
dal fuoco del suo guardare e dalle lacrime
bruciate per compassione nelle orbite…
“Ascoltami, io sono qui e ti so parlando”
sussurrò una voce e lui ne vide il volto
per un istante, subito svanito in una brezza.
“Io sono la tua voce, la senti?”.
E qui ebbe luogo il racconto, o l’incantesimo:
ogni notte leggendo i suoi versi lei li sentiva detti
e pronunciati dalla voce di lui: non un rimando,
ma la voce stessa, che stava parlando
e loro i segni della voce nel buio.
Allora il velo di Maia che aveva strappato da tanto tempo
riapparve trasparente, come sotto anestetico,
e sentì la sua voce come parlata da un’altra,
“Io stavo dormendo o quasi dormivo – gli mormorò –
e le parole che avevo appena letto
prendevano voce non mia, la tua voce
tra gola e occipite in quello strano recesso
dove sento unirsi udito e respiro”.
E lui sentì nella notte quella voce
che pareva lontana e gli era interna
“Torna da me, congiungi il tuo respiro
alle sue sillabe, come io lo sento.
Era la tua voce, nel silenzio della notte,
da tempo sognata prima che io la udissi
il sonno non l’ha ammutolita, cullandola,
e ora al risveglio, perdura il suo canto.
E io, che ti sto ancora leggendo nel mio letto,
non riesco a distinguere la tua voce dai versi”.
Non era sonno e non prerisveglio,
la stava trovando, sarebbe riapparsa.
Trovare, trovare, l’antica ossessione del poeta:
lei gli era venuta, trovare è mai più perdere.
Roberto Mussapi