La finale della Copa Libertadores di calcio
Argentina, Italia
Boca Juniors contro River Plate: il calcio internazionale ritrova un classico che si replica ogni anno da oltre un secolo. Storia e leggende di due squadre, due miti e due mondi più liguri che argentini
Sarà la sfida più importante nella storia del calcio argentino, la finale della Copa Libertadores tra Boca Juniors e River Plate in scena a Buenos Aires: andata alla Bombonera, il 10 novembre, e il ritorno al Monumental, due settimane dopo. Ma in qualche modo è anche una sfida genovese. Nel 1882, gli abitanti della Boca si autoproclamarono Repùblica de la Boca, issando la bandiera di Genova e costituendo un territorio indipendente dall’Argentina. Il generale Julio Argentino Roca, presidente della Repubblica, dovette intervenire personalmente a parlamentare con i rivoltosi per costringerli ad ammainare la bandiera di Genova e risolvere il pittoresco conflitto.
Forse non è un caso che il Boca Junior e il River Plate, i due club più importanti del Sud America, nacquero nel quartiere della Boca, popolato dai liguri dall’inizio dell’Ottocento, e sino al 1922 si contesero il dominio del sud-este porteño.
Le prime formazioni di monelli di strada si chiamavano Defensores de la Boca, Santa Rosa, la Rosales, nel nome di una corvetta naufragata. Il River Plate nacque il 25 maggio 1901, nello stesso quartiere della Boca, dalla fusione del Santa Rosa e de La Rosales. Confuse nuvole di polvere assemblavano i contendenti che sbucavano fuori inseguendo l’unico giocatore che era riuscito col piede e tirar via la palla. Un giorno si riunirono per decidere che anche loro avrebbero avuto una squadra, una maglia, un campo, dei supporter. Erano Esteban Baglietto; Alfredo Scarpatti; Santiago Pedro Sana e i fratelli Juan e Teodoro Farenga ai quali si aggiunse subito dopo Tomás Movio e quindi Amedeo Gelsi, nominato vice presidente. Il più anziano, si far per dire, era Juan Farenga, ventunenne. I loro genitori non erano neppure quarantenni, a parte il padre di Alfredo Scarpatti che di anni ne teneva 44. L’unica nata in Argentina era Emilia Guarello, mamma di Scarpatti. Tutti i padri erano nati in Italia, quattro in Liguria, uno in Basilicata. Il padre di Gelsi era fiorentino, la madre Teresa Navarino era nata a Buenos Aires.
Inizialmente, come punto d’incontro fu scelta la casa dei Baglietto, nativi di Varazze, al numero 1232 di Ministro Brin, strada intitolata alla figura fondamentale della Marina Militare italiana, ministro, ingegnere navale, ideatore dell’Arsenale militare della Spezia, progettista di 141 imbarcazioni, che aveva facilitato l’acquisto da parte dell’Argentina, impegnata nel conflitto col Cile, delle navi da guerra San Martín, Belgrano e Garibaldi. Ma siccome in quelle strambe riunioni le urla e gli spintoni prevalevano sui discorsi, il signor Giovanni Baglietto e sua moglie Catalina Vernazza cacciarono fuori i ragazzi da quelle modeste quattro mura. Allora la prima sede della nuova società sportiva divenne una panchina di Plaza Solís dove il club del Boca fu fondato ufficialmente il 3 aprile 1905. Tutti decisero che l’appellativo sarebbe stato xeneises per il semplice fatto che quello della Boca era un barrio quasi esclusivamente ligure. Accettarono a malincuore anche i fratelli Farenga, originari di Muro Lucano, anche se la madre, Livia Vallega, era nata nel 1861 a Finalmarina, in provincia di Savona, allora genovese. Il loro nonno, Francisco Pablo Farenga, che era emigrato nel 1860 a Buenos Aires a 22 anni, da buon falegname costruì le prime porte di legno del campo di calcio in cui si sarebbero allenati nei fine settimana, le quattro bandierine del calcio d’angolo e le tavole per la tribunetta.
Per dare un tocco inglese, Santiago Sana propose di aggiungere la parola Juniors, incoraggiati dal professore di ginnastica Patty McCarthy, che era il suo insegnante, oltre che di Baglietto e Scarpatti alla Escuela Superior de Comercio in Calle Bartolomé Mitre 1364. Altri consigliarono la denominazione Club Atletico, tanto per sentirsi importanti. Non lo sapevano, ma quegli adolescenti stavano dando vita al club più titolato nella storia del pallone, il Boca Juniors.
Il primo vero presidente della panchina di Plaza Solís fu Esteban Baglietto, ma quando si fece sul serio lo scettro passò a Luis Cerezo poiché il ragazzo ligure era minorenne. La prima casacca fu rosa, usata per una partita rionale; quindi la sorella dei Farenga riuscì a rammendare su una maglia bianca delle sottili strisce di tela nera che spesso si sfilacciavano, tirate via dalle unghie degli avversari. Allora si optò per una semplice maglietta celeste. Poi per alcun partite si tornò alla maglia bianca, questa volta con righe blu. Il club giocò la sua prima gara il 21 aprile del 1905, contro il Club Mariano Moreno, vincendo 4-0 con questa formazione: Esteban Baglietto, José María Farenga, Santiago Sana, Vicente Oñate, Guillermo Tyler, Luis De Harenne, Alfredo Scarpatti, Pedro Moltedo, Amadeo Gelsi, Alberto Tallent e Juan Antonio Farenga. Proprio Juan Farenga, il capitano, fece una doppietta; le altre reti le segnarono José Farenga e Santiago Sana. Baglietto era portiere, fondatore e presidente. Da quell’anno i giovani del Boca si iscrissero alla Liga de Villa Lobos, l’anno dopo alla Liga Central, vincendo alla fine il titolo. Nel 1907 alla Albion League partecipando anche al torneo organizzato dall’Associazione Porteña, in cui giocò l’Universal di Montevideo. Contro gli uruguaiani, l’ 8 dicembre del 1907, perdendo 0-1, i xeneises giocarono quella che viene considerata la prima partita internazionale.
Un giorno del 1907, dovendo scontrarsi con l’Almagro, che sfoggiava una divisa degli stessi colori, i ragazzi del Boca si misero in giro nel barrio genovese a cercare una casacca giusta. Anche in questo caso i giocatori, col loro carattere burbero e ostico da liguri di mare, non giunsero ad una scelta condivisa. Allora Juan Rafael Brichetto, addetto al ponte sul Riachuelo, incaricato di far entrare i vapori in darsena, il quale l’anno prima era stato presidente e che lo sarà di nuovo nel periodo 1910-13, decise che avrebbero giocato con i colori della prima bandiera di nave che avrebbe attraccato al porto. Si misero con la punta del naso a guardare la fumosa aria calda del rio sperando che giungesse un tricolore ma, invece, non si presentò alcuna nave. Il giorno seguente Brichetto, dall’alto del ponte del Riachiulo, segnalò agli amici che stava arrivando un cargo sbuffante e ansimante, contento di giungere a destinazione dopo la lunga traversata atlantica: era la Drottling Sophia, la Regina Sophia. I ragazzi che stavano sulle rive di questo fiume lercio videro comparire il barco svedese con il vessillo azzurro e la croce gialla. Andarono in campo con quei colori. La banda gialla era una riga diagonale che scendeva da sinistra a destra, cucita a mano. Poi nel 1913 si optò per una riga orizzontale nel mezzo della divisa e così restò per sempre.
Con un po’ di boriosità, il River portò via dal Caminito la sua storia (era nato il 25 maggio 1901 davanti alla vetreria Gentile, in Almirante Brown, secondo alcune fonti), la fama di ricchezza – li chiamano i millionarios – e i suoi colori storici, il bianco e il rosso. Il suo primo campo sconnesso e irregolare era infatti un lotto della fabbrica di carbone Wilson e la sede della riunioni domenicali dei primi pionieri del pallone era l’abitazione di mister Jacobs, vice-direttore della società. Il nome lo inventò un certo Pedro Martínez durante la costruzione del Duque 3 della Boca vedendo un ragazzo giocare al pallone, in un momento di libertà, su un gigantesco pontone galleggiante su cui figurava quella scritta, “The River Plate”. Al momento della fondazione altri giocatori propendevano per soluzioni diverse: Bernardino Messina propose Juventud Boquense, Carlos Antelo desiderava conservare il nome La Rosales, ma alla fine passò la proposta di Martinez. Sulla data di nascita è invece ancora aperta una discussione tra esperti: secondo il fondatore Enrique Zanni, che scrisse la prima storia del club, la data sarebbe quella del 1904; secondo Julio Degrossi, presidente nel 1938, sino al 1903 la parola River non compare, essendo ancora valide le denominazioni di Santa Rosa e La Rosales. Leopoldo Bard, che giocò nel Santa Rosa, fu nominato primo presidente dei futuri millionarios. Praticante all’Hospital Muñiz, notò un cartello di pubblicità caduto durante una tormenta, lo raccolse, lo portò dal carpentiere e vi fece disegnare sopra il nome e la bandiera del club. Quello fu il primo messaggio pubblicitario del River.
Sull’origine dei colori sociali le versioni sono differenti: la più semplice e diretta ci porta allo stemma della città di Genova e alla Croce di San Giorgio, bandiera dell’Inghilterra; la seconda fa riferimento ad un carro allegorico del quartiere Belgrano di Buenos Aires durante il carnevale del 1901 con una banda rossa; la terza ci segnala che Enrico Salvarezza volle una maglia simile a quella dei predecessori, La Rosales. Ma la versione più originale appartiene a Amilcar Romero: in un saggio sostiene che il disegno della maglia e i colori sono identici a quello del drappo del Gran Maestro della massoneria di rito scozzese Watson Hutton, ammesso nella Loggia Excelsior numero 617 il 6 luglio 1893, punta di diamante di una pattuglia di massoni di diverse nazionalità – spagnoli, ebrei e persino un tedesco nato in India – capitata nella Darsena Sud all’inizio del secolo Novecento. A differenza dei piccoli mocciosi del Boca Juniors, avvezzi alla strada e alle bettole, quei signori si riunivano nella casa di Jacobs, alle cinque del pomeriggio, per un tè con biscotti. E se quelli del Boca vennero chiamati xeneises, quelli del River si videro appioppare il diminutivo di darseneros, dal luogo dove si trovava l’oramai mitica Carboneria Wilson. In quel campo nella zona est della Darsena Sud scese in campo la prima formazione bianco-rossa: Moltedo, Ratto, Cevallos, Peralta, Carrega, Bard, Kitzler, Martínez, Flores, Zanni, Messina. Ma da lì a poco, il River cambiò sede, per decisione del Ministrero dell’Agricoltura, si trasferì a Sarandí, un campetto vicino a Avellaneda, anche se continuò a giocare alla Darsena Sud dove nel 1909 sfidò in una doppia finale vincente il Racing. Dal 1909 i bianco-rossi fecero parte della massima divisione, giungendo secondi e mandando in nazionale il loro primo rappresentante, Hernàn Rodriguez. Il rettangolo della Darsena Sud fu devastato nel 1913 da un violento nubifragio e il River giocò l’intero torneo del 1914 ospite del Ferro Carril Oeste finché non potè tornare alla Boca, in un nuovo campo, tra le vie Aristóbulo del Valle e Caboto.
Il genovese Livio Ratto, che era tra i fondatori del River Plate, (anche se preferiva il nome Club Atlético Forward), quale rappresentante del Club Santa Rosa, dal ruolo di difensore passò a quello di presidente negli anni 1917-18. Il definitivo trascolo avvenne solo nel 1922 quando la società trovò casa nel quartiere di Palermo. L’anno successivo il 20 maggio 1923 venne inaugurato lo stadio con tribune in legno all’incrocio tra Alvear e Tagle con uomini in paglietta, doppio petto e baffi arguti e ragazze con collane di perle bianche, lunghi guanti, boa e cappellino tondo a cloche.
Il cordone ombelicale con la Boca era rotto. Lì in quel rettangolo verde il River vinse il suo primo scudetto nel 1932 lanciando nell’olimpo del pallone indimenticabili figure come Adolfo Pedernera e Carlos Peucelle, il cui acquisto per 10 mila pesos nel 1931 valse per sempre l’appellativo di millonarios, anche un epoche diverse di galoppante inflazione, quando con tale cifra si comprava una copia di un quotidiano e non si cambiava neppure un dollaro.