Mario Dal Co
L'incontro di Bologna

Un vento di pace

Mai come in questo momento, "Ponti di pace" - l'iniziativa religiosa e culturale, ma in fondo anche politica, promossa dall'Arcidiocesi di Bologna e dalla Comunità di Sant'Egidio - è apparsa come un frammento di futuro al quale aggrapparsi. Per ritrovare il senso della speranza

L’Assemblea che ha aperto l’incontro di preghiera “Ponti di pace” promosso dall’Arcidiocesi di Bologna e dalla Comunità di S. Egidio presieduta da Marco Impagliazzo si è tenuta al Palazzo dei Congressi di Bologna, in una serata che sembra di primavera, anche se è il 14 ottobre 2018. Rendo questa cronaca dettagliata ai lettori di Succedeoggi, come laico che desidera contribuire a “manutenere” gli spazi del dialogo anche nei confronti delle posizioni più chiuse, più sorde, più intolleranti che oggi sembrano trovare ampio riscontro politico ed elettorale. Sant’Egidio sta portando avanti questa creazione di spazi da 50 anni.

Sembra una primavera, dicevo, anche perché ci sono molti giovani e moltissime donne: duemila i volontari che si sono mobilitati. Una delle testimonianze è affidata ad una giovane madre e moglie siriana, Nour Essa, che racconta il calvario della sua famiglia rifugiata in Italia, venuta da Lesbo con il volo di Papa Francesco. Un calvario che al suo popolo è costato mezzo milione di morti e oltre 6 milioni di profughi.

Il messaggio di augurio del Papa, rivolto al “caro fratello mons. Matteo Maria Zuppi Arcivescovo di Bologna”, ricorda che il primo incontro di Assisi, 32 anni or sono, ha creato il “filo rosso che lungo gli anni testimonia la continua necessità di implorare insieme, senza stancarsi, il dono della pace”. Con quel filo “è urgente tessere trame di pacifica convivenza risanando, con memorie di comunione, le ferite della storia”. Nel messaggio il Papa ricorda le proprie parole rivolte ai giovani a Cracovia nel 2016 “Abbiate il coraggio di dimostrare a noi che è più facile costruire ponti che innalzare muri!”. Altro paese, altro contesto, ma quelle parole suonano drammaticamente necessarie anche oggi, nello smarrimento del nostro paese.

Matteo Zuppi ha il dono di non essere retorico neppure nel pronunciare parole elevate, come quelle di Paolo VI: “Non più gli uni contro gli altri o senza gli altri… perché l’umanità deve porre fine alla guerra o la guerra porrà fine all’umanità” come è già avvenuto con “il sangue di milioni di uomini e innumerevoli e inaudite sofferenze, inutili stragi e formidabili rovine”. Zuppi richiama lo spirito di una Bologna crocevia degli scambi e del pensiero. Ma anche una città le cui ferite hanno insegnato lo spirito della riconciliazione, necessario per costruire e per manutenere, con la responsabilità e l’impegno di ciascuno, “portici di pace in cui riscoprire…l’arte di vivere insieme, l’arte della vita, l’arte che rende ogni uomo quello che è: figlio di Dio…L’opposto della bestemmia che fondamentalismi e terrorismo commettono rubando la parola dalla bocca della religione”.

Questo concetto della “manutenzione”, con cui aprivo la cronaca dell’Assemblea di avvio di “Ponti di pace”, merita un approfondimento. Lo spazio pubblico, come sono i portici, congiunge la casa privata alla strada, luogo deputato dell’incontro, come ha dimostrato con maestria Cass Sunstein nel suo recente #Republic.com. La democrazia nell’epoca dei social media (Il Mulino 2018). Quello spazio di congiunzione è manutenuto anche dai privati. La connessione con lo spazio pubblico della città (polis) e quindi del cittadino elettore con la politica è innanzitutto un dovere e un impegno economico e di lavoro del privato cittadino, non può e non deve essere demandato all’amministrazione pubblica, a meno di non precipitare nell’assistenzialismo e nello “stato provvidenza”. Assistenzialismo e stato provvidenza sono, a mio giudizio, i meccanismi che instaurano il voto di scambio su base generalizzata e poi il voto rassegnato dei regimi autoritari. Chiudono la comunicazione e lo scambio nel trionfo dell’indifferenza, della rassegnazione, della paura. Sono l’anticamera del paternalismo e quindi la fine della democrazia e della libertà, perché i cittadini si trasformano in sudditi, come insegnava Wilhelm von Humboldt (Saggio sui limiti dell’attività dello Stato) nella sua classica ricerca sui limiti del governo, avviata con la adozione della Costituzione durante la Rivoluzione francese .

Sul tema del ponte hanno ruotato tutti gli interventi, anche quello brillante del Rabbino Capo di Francia, Haim Korsia, che ha riletto l’episodio dell’esodo dall’Egitto e dell’attraversamento del Mar Rosso, come una sfida alla paura che ciascuno porta in sé, quando deve affrontare un abisso. Il ponte è interiore, è superamento della paura; anche di quella che, quando si tende la mano, l’altro non corrisponda.

Il Sindaco di Bologna, Virginio Merola, ha evocato la tradizione politico-culturale della città, aperta all’incontro della cultura cattolica con quella laica e riformista del comunismo emiliano, per uscire dalla chiusura che ci impedisce di “sconfinare verso l’umanità”.

Romano Prodi ha sottolineato che le incertezze e la mancanza di dialogo causano la sordità a partire dagli stessi protagonisti della scena mondiale, in una misura pericolosa per gli equilibri e per lo sviluppo delle relazioni internazionali. Forse tra la popolazione la perdita del senso del soprannaturale ha fatto smarrire il senso e l’importanza delle radici comuni, e quindi la stessa prospettiva di convivenza e di giustizia generale.

La cronaca spirituale di un confronto e di un dialogo aperto, è proposta da Andrea Riccardi, professore di storia, fondatore della Comunità di S. Egidio e ministro per la Cooperazione internazionale e l’Integrazione nel governo di Mario Monti. Riccardi vede la globalizzazione, come una fase storica dai riverberi corruschi. Quei riverberi confondono gli osservatori, abbagliano i cittadini: secondo alcuni la globalizzazione rappresenta il male a cui bisogna opporsi, e secondo altri la manifestazione del progresso, due visioni manichee contrapposte che non penetrano nella crisi culturale e quindi non possono affrontare l’instabilità sociale imposta da un balzo economico e da un trionfo della tecnologia sorprendentemente rapidi, estesi, pervasivi. Antonio Tajani, Presidente del Parlamento Europeo, ha difeso il ruolo di pace della costruzione europea, i 70 anni di sviluppo e di diritti assicurati dalle istituzioni comunitarie che oggi necessitano di un rafforzamento della dimensione politica. Di questa c’è urgente bisogno: l’Europa è oggi il gigantesco mercato attaccato da Oriente e da Occidente, per indebolirne le istituzioni che proteggono cittadini e consumatori europei e ne tutelano le libertà democratiche.

È una crisi che richiede un piano di cooperazione e di investimenti come quello proposto per il periodo ‘21-27, di 50 miliardi di euro. Solo con una dimensione politica rafforzata l’Europa potrà dare il necessario contributo per affrontare le crisi prossime, come quella del Medio Oriente, dove devono convivere due stati, di Palestina e di Israele, e le crisi di prospettiva strategica, dove l’Africa rappresenta l’enorme sfida del prossimo decennio in termini di diritti economici e politici.

Theodoros II, Papa e patriarca di Alessandria e di tutta l’Africa, ha ricordato il martirio dei cristiani nell’Africa, vittime della guerra e dell’intolleranza religiosa ed etnica: la costruzione di ponti di pace è una necessità per poter continuare a udire, nella libertà di culto, la parola di Dio. Ignatius Aphrem II, Patriarca siro ortodosso di Antiochia e di tutto l’Oriente, ha ricordato le persecuzioni dei cristiani nel Vicino Oriente e la volontà di pace dei popoli distorta e piegata dalle potenze che invece contrastano la pace, suscitando conflitti per proprio interesse e per esercitare un potere di controllo sulle risorse ambientali, economiche, culturali. Non dobbiamo scordare i mali della guerra e dell’umiliazione dei più deboli: Dio ci ha creato uguali e non ci sono soggetti meno umani di altri. La libertà religiosa deve essere garantita perché solo Dio conosce il cuore degli uomini, l’ignoranza crea paura e la paura isolamento, sfiducia, violenza.

Il Grande Imam egiziano di Al-zhar, Ahmad al-Tayyeb ha richiamato la grande amicizia che si è sviluppata con S. Egidio e con il papa Francesco. Un’amicizia che ha realizzato la collaborazione tra le religioni per la comprensione reciproca e la condivisione dell’obiettivo principale della lotta alla povertà e del bene dei più deboli. Tutti gli amanti della pace devono lavorare per alleviare le sofferenze dei diseredati e degli oppressi, aprendo la via della pace per le future generazioni.

Sudheendra Kulharni, presidente indu della Observer Research Foundation viene da un’India in pieno boom economico, ma che rimane la terra dell’induismo, del Budda e del Mahatma Ghandi. La Comunità di S. Egidio serve da 50 anni l’umanità e oggi offre un’opportunità nuova a questi tempi che non sono né i peggiori né i migliori che abbiamo conosciuto. C’è stata una lunga pace dalla fine della II guerra mondiale, ma i conflitti ci sono ancora, geograficamente limitati, ma non meno orribili. La pace ha portato la prosperità: in India 270 milioni di poveri sono usciti dalla povertà dal 2005 al 2016 (ONU). La povertà non è scomparsa, si è ridotta in misura clamorosa. Ciò vale anche per altri paesi in Asia, Africa, America Latina. Ma allora perché percepiamo tanta insicurezza?

Tre fattori di crisi ci aiutano a capirlo: la prosperità materiale non è accompagnata da uno sviluppo culturale e spirituale. L’uomo vive troppo nel mondo esteriore: ma il rumore di quel mondo riduce tempo ed energia per la meditazione, la cura, e il dialogo tra uomo e Dio. Per trovare la pace dentro di noi dobbiamo trovare un ponte tra esterno e interno e quindi con l’altro. Il secondo motivo di inquietudine è la devastazione dell’ambiente in cui viviamo, e l’estinzione di specie indifese e della natura stessa. Il Mahatma diceva che il mondo può soddisfare i bisogni di tutti ma non la nostra avidità. Dobbiamo passare da una civilizzazione materiale-industriale ad una civilizzazione ecologica. Il terzo motivo sta nel feticcio dello stato nazione, che ha costruito e costruisce rivalità insane, muri e barriere. Esempio tuttora opprimente è l’ostilità tra India e Pakistan destinata a durare a lungo. Dobbiamo riconoscere che la sovranità nazionale è in contrasto con la globalizzazione e con lo sviluppo del villaggio globale interdipendente. I Veda dicono che “il mondo intero è una famiglia unica”. Dobbiamo portare la solidarietà nella globalizzazione senza cancellare le diversità culturali, che sono valori positivi esattamente come lo è la biodiversità naturale.

In questi due giorni, 15 e 16 ottobre, 25 Panel sono dedicati non solo ai temi della pace, del suo sviluppo, dei suoi testimoni, ma anche a quelli del dialogo interreligioso, dei giovani, dei bambini, del razzismo, della povertà, della guerra, delle disuguaglianze, del dolore e della malattia.

Vi invito quindi ad andare a Bologna, oggi lunedì 15 ottobre e domani, quando si concluderà l’incontro, con la preghiera, la processione e l’appello per la pace.

Il programma è in https://www.pontidipace.org/programma.php.

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