A proposito del Leone d’Oro
All’ennesima potenza
Torna a Roma il duo Rezza e Mastrella con lo spettacolo “Fratto X” e chiude la stagione estiva del Giardino Ritrovato di Palazzo Venezia. I vincitori del Leone d’Oro alla carriera per il Teatro 2018 si presentano in forma smagliante con studiatissimi nonsense per dare un senso all’uomo e all’universo con la forza, sacra e dissacrante, del teatro
«Rita fratto Rita. Rita con Rita si semplifica. Uomo con uomo si semplifica e resta solo uno sconsolato fratto». Dopo una sequenza ininterrotta caratterizzata da un pedale dell’acceleratore ostinatamente premuto, dopo salti da giullare, nonsense verbali degni del Dada, situazioni metafisiche all’altezza delle sperimentazioni novecentesche, si arriva a metà dello spettacolo ed ecco spiegato il titolo, Fratto X, della performance esilarante quanto rocambolesca del duo Rezza e Mastrella. Vincitori del Leone d’Oro alla carriera per il Teatro per l’edizione 2018 della Biennale di Venezia, il comico e l’artista ritornano a Roma per chiudere in bellezza il cartellone dell’estate romana nel Giardino Ritrovato di Palazzo Venezia con un’opera che proprio a Roma aveva visto la luce, nel dicembre 2012, al Teatro Vascello (tra i produttori dello spettacolo insieme alla Fondazione Teatro Piemonte Europa).
Incosciente e stralunato, vulcanico e imprevedibile, Antonio Rezza è protagonista indiscusso della scena e autore del «(mai) scritto» spettacolo – così recita la locandina, spiritoso prosieguo del clima burlesco della performance. Rezza alterna voce in falsetto, voce da camionista romano, voce da cartone animato, si avvolge di lenzuola, cambia costumi e mimica facciale mobile qual piuma al vento. Punta il dito contro il pubblico, lo accusa di essere «l’anello debole della catena», non capisce nulla, «tutto tramonta davanti allo spettatore». Lo sorprende, il pubblico, sparendo dalla scena, dal cortile di Palazzo Venezia fino alla chiesa di San Marco e ritorno a cavallo di una sorta di totem-triciclo urlando senza sosta «MarioMarioMarioMario… State ancora a pensa’ a Mario?». Inaspettate le sparizioni come le apparizioni di effetti al limite di una ben calibrata illusione ottica, dal difetto delle braccia agli «uccelletti nel cielo». «Può la suggestione creare immagini così azzardate?», si chiede con tono candidamente naïf Rezza. L’Ansia ha una forma e un colore precisi – celeste fluo; alla Forma e alla Demenza viene riconosciuto il merito (?) di aver «scritto pagine importanti insieme»; la Spensieratezza è un palloncino bianco bucato da uno spillo (perché «La Spensieratezza va stroncata alla nascita»). Attraverso trovate sceniche e verbali, coadiuvato dalla spalla Ivan Bellavista e dall’habitat creato da Flavia Mastrella, con Rezza prende forma una riflessione sull’uomo, una fiera delle varietà e delle vanità, un catalogo di tipi umani, dalla ballerina all’adultera alla santa. Ed una storia d’amore. Anzi, la storia dell’amore, l’unica possibile quando più persone si confrontano: ecco Rita con la sua gemella e i suoi amanti, ecco Rocco, il cognato Timothy, Mario. Ed un tragico dubbio che si insinua: «Non è amore, è residenza». Se San Francesco d’Assisi non fosse stato di Assisi, non avrebbe avuto amici di Assisi. (Osservazione inappuntabile). Gli incontri, come l’amore, dipendono da una buona dose di casualità. Che sia forse una dichiarazione d’amore e complicità da Antonio a Flavia? Un sodalizio artistico che dura da 31 anni e che ebbe inizio, ça va sans dire, tra vicini di casa.
E quando ormai sembrano essere state tirate le conclusioni delle situazioni presentate (non di vere storie si tratta, infatti, ma di situazioni verosimili), Rezza appare, incoronato e ammantato come un’icona votiva: il pubblico è investito a sorpresa da uno specchio con effetto di faro luminoso: lo Stronzo, il Tipo con gli occhiali e Sara, oggetto della discordia. La dimensione sacrale della scena è rispettata, la dimensione dissacrante pure, con quello stesso gusto delle Avanguardie di primo Novecento, con quella stessa potenza acuminata dello sguardo che dalla superficie arriva in profondità per analizzare, attraverso l’uno, il tutto. «La filosofia naturale – affermava nell’Anno Domini 1624 lo scienziato – è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi, io dico l’universo, ma non si può intendere se prima non s’impara a intender la lingua e conoscer i caratteri nei quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro labirinto». Come Galileo prima di loro, Rezza e Mastrella si interrogano sui massimi sistemi tramite il linguaggio matematico assurto a metafora – non una novità per gli autori di 7 14 21 28 (2009). «Che cos’è l’orizzonte se non il più triste fratto di tutta l’umanità?».