All'Orto Botanico di Napoli
L’arte quantistica
Le opere "quantistiche" di Caroline Peyron raccontano la luce: attraverso un vetro o su un muro, queste immagini esprimono lo stupore di fronte alla vita e alla natura
I raggi attraversano le vetrate della serra dell’Orto Botanico di Napoli, la polvere in controluce crea mille geometrie possibili. Ricordano quasi le rappresentazioni del senso dell’infinito che si ritrovano nei mosaici geometrici islamici delle cupole delle moschee di Isfahan. Gli alberi e le piante del giardino appaiono tra i vetri dell’antico edificio, ma non sono le uniche erbe o foglie ad apparire. In controluce, ecco svelarsi dei “doppi”, disegnati su carta appesi su vetri. Rappresentano erbacce, sembrano quasi dei negativi o dei disegni sovrapposti. La duplice visione è possibile grazie alla luce che permette di vedere in trasparenza le opere disegnate sui due lati dei fogli. Si tratta della mostra d’arte “Erbacce”, dell’artista franco napoletana, Caroline Peyron ospitata nella serra dell’Orto Botanico di Napoli. Il progetto artistico è il culmine di un percorso che ha visto l’artista dialogare con quattro fisici, Eliana D’Ambrosio, Rodolfo Figari, Iaia Masullo e Ciro Minichini e ha portato anche alla creazione di un libro-progetto, di 200 esemplari, pubblicato dalla casa editrice il Filo di Partenope. L’opera contiene anche poesie di Marco de Gemmis, Paola Nasti e Enza Silvestrini.
Questa intervista contiene alcuni estratti del dialogo tra l’artista e i quattro fisici pubblicati nel libro progetto.
Che sensazione vi hanno dato le opere di Caroline Peyron che riflettono sul mondo della fisica?
La Fisica di Caroline mostra aspetti del tutto peculiari nell’ambito del dibattito epistemologico. Caroline produce le sue opere in maniera riduzionistica, partendo da piccoli costituenti fondamentali: atomi di colore strappati da quotidiani e settimanali. Il risultato finale è però troppo complesso per essere riducibile a quei costituenti fondamentali.
Questa visione ha quindi la caratteristica unica di essere riduzionista e olistica allo stesso tempo. In qualche modo, questo guardare alla Fisica attraverso la pittura (o questo dipingere seguendo le suggestioni offerte da quella scienza) sembra riportarci a quella ricerca di fenomeni originari che, secondo Goethe, sarebbero alla radice di un empirismo delicato che si identifica nel modo più intimo con l’oggetto.
Come nasce l’idea delle erbacce?
La prima domanda di un osservatore dinanzi ai doppi di Caroline potrebbe essere: perché fili d’erba? Pare che anche lei stessa si sia posta tale domanda e che anche lei non abbia una risposta. Averla certamente non cambia la loro interpretazione dal punto di vista fisico, in quanto la Fisica non studia gli oggetti ma le relazioni tra questi e l’ambiente. Ed è proprio nella relazione tra ciò che è disegnato sulle due facce di uno stesso cartoncino l’interesse per le opere di fronte alle quali ci troviamo.
Caroline produce disegni quantistici: i suoi campi di erbe selvatiche, illuminati, mostrano la sovrapposizione di due soggetti che non si possono separare. Il solo modo di dividerli è quello di volerli esaminare nella loro individualità, levando l’illuminazione. Solo allora l’osservatore vedrà un prato o l’altro, senza sapere di avere provocato il collasso dello stato quantistico dell’opera.
La luce è fondamentale per vedere queste opere…
Non c’è un tempo definito e unico nei disegni di Caroline, che raccontano ognuno cose diverse a seconda che li si guardi attraverso un vetro o su di un muro, che sia inverno plumbeo o soleggiata estate. Eppure ogni disegno è lì presente, unico e molteplice allo stesso tempo.
Le due visioni del campo di erbacce rappresentano due stati equiprobabili, proprio nel senso che sono entrambi realizzabili in natura. Lo stupore arriva quando uno dei doppi viene attraversato dalla luce.
Si è certamente meravigliati dall’essere ad un tratto spettatori di entrambe le possibilità (cosa che mai accade nella realtà), ma di più si resta meravigliati di come tale stupore permanga se si continua ad osservare la successione di altri doppi illuminati, nonostante il trucco sia stato ormai svelato. Sembra quasi che la bellezza osservata sia qualcosa di più – o di altro – da ciò che ci si aspetta, frutto di una somma, seppur intima, di due bellezze (proprio come la figura di interferenza prodotta dagli impatti di elettroni che attraversano due fenditure non è la semplice somma delle figure degli impatti provenienti dalle singole fenditure ).
Si può parlare di opere quantistiche?
Potremmo dire che lo stupore provato, nato dall’osservare una natura che interferisce con se stessa, è evidentemente uno stupore tutto quantistico.
Niente a che vedere col gatto del Cheshire, molto stimato da Alice, che appare o sparisce (lasciando, a volte, solo un sorriso sornione). Qui il paragone corretto è con il gatto di Schrödinger che vive felicemente il suo stato di sovrapposizione tra vita e morte, probabilmente solo preoccupato dalla curiosità del fisico sperimentale che, non riuscendo a sostenere l’incertezza, vuole forzarlo a essere o vivo o morto.
Non sappiamo se sia vero, come asseriva Einstein, che “Dio non gioca a dadi”. Certamente Caroline lo fa: i suoi dadi sono a due facce e su ciascuna faccia c’è un prezioso mosaico di microscopici frammenti di carta. La luce li mostra entrambi nella loro unità quantistica.