Un romanzo da leggere ancora
Il branco siamo noi
Elliot ripubblica, dopo oltre vent'anni, “Il branco", libro cult di Andrea Carraro. Un romanzo che leggeva in anticipo la realtà, concentrandosi su quegli impulsi che provocano la violenza per essere; per apparire
Signature song, così in musica viene definita una canzone, o un brano che rende riconoscibile un autore, e al quale egli viene associato pur avendone scritti, o cantati, molti altri. In italiano si potrebbe definire Canzone Firma. È quello che è accaduto ad Andrea Carraro con Il branco, romanzo che dopo le due edizioni precedenti (Theoria 1994, e Gaffi 2005), approda ad una nuova edizione per l’editore Elliot. Ma se la prestigiosa casa editrice romana ripubblica questo testo, ci deve essere un motivo che travalica l’aspetto meramente commerciale (non dimentichiamo che dal libro ne fu tratto un importante film con la regia di Marco Risi).
Se ci pensiamo, dopo oltre vent’anni dalla prima pubblicazione, quel gruppo di balordi che violentano e stuprano due povere ragazze tedesche, ha molto in comune con le scene di ordinaria violenza e follia che imperversano oggi, e animano programmi televisivi dove guru dell’informazione, filosofi e quant’altro, si esercitano nel commentare fatti di cronaca efferata. Materiale in passato confinato prevalentemente in giornali specializzati tipo “Cronaca vera”.
Ma dov’è la novità? È che il bisogno di essere ripresi e guardati, finire spesso anche in televisione (tentazione alla quale non resistono nemmeno i familiari delle vittime), è diventata la regola. Gli autori del crimine, molto di frequente adolescenti o poco più, non si accontentano dell’azione in sé (che sembra quasi un aspetto collaterale, un accessorio), piuttosto essi sentono la necessità della ripresa video (uno sguardo compulsivo indotto), che assicuri che la barbarie consumata si tramuti in liturgia collettiva. Attraverso i media che continuano a guardarli come se in questo gioco di sguardi si confermasse, al contempo, il bisogno di annullamento. La perdita dell’identità. Svanisce così anche l’orrore e la responsabilità del gesto. Quello che conta è il significante, a proposito dei personaggi de Il branco, come dice Filippo La Porta nella posfazione all’edizione del ’95 per Gaffi. Il significato invece svapora nell’incoscienza di un io multiplo svuotato di senso. Allora come adesso, in una sorta di moltiplicazione di quel meccanismo nel branco solo in nuce.
Fra i balordi di allora, «che per eccitarsi devono guardarsi reciprocamente durante lo stupro. Il loro misero immaginario si dilata fino a coprire qualsiasi realtà…», ancora con La Porta, vi sono dunque i prodromi, le cellule dormienti (che già vivevano in quegli aguzzini), dell’oggi, nella rappresentazione del Web dove si realizza pienamente il desiderio dell’apparire. Ecco finalmente il palcoscenico sul quale esibirsi! Da quelle memorie del sottosuolo, le periferie degradate, ne fuoriesce oggi, ne emergono soggetti nuovi ma eterogenei. Appartenenti a tutte le classi sociali, dove le giustificazioni sociologiche e antropologiche, diventano ardue e rischiose, perché tutto sembrerebbe tramutarsi in spettacolo fine a se stesso. Bisogna addirittura pensare che, tutto sommato, quelli di allora avevano ancora un immaginario, sia pur misero, e una pietas, che induceva a un momento di patetico pentimento.
Facebook nasce nel 2004 (Il branco è del ’94 come abbiamo già detto). Inizialmente rivolto agli studenti americani. Con gli occhi di oggi potremmo dare al romanzo la definizione di realismo visionario. Ho anche pensato ad Arancia meccanica, naturalmente. Laddove però prevaleva il gioco ironico, il sarcasmo, senza l’esposizione mediatica. Quasi un passatempo intellettuale, uno sberleffo contro il perbenismo e una certa ottusità-ipocrisia alto borghese. Il fenomeno di oggi, rimbalzando fra web e televisione, travalica ogni ideologia, e si inserisce in uno sguardo paradossalmente privo di fondale.
Ma perché leggere oggi Il branco? Semplicemente perché il branco siamo noi come siamo diventati. Una mutazione antropologica che ci riguarda tutti, nessuno escluso probabilmente. Essere guardati perché non sappiamo chi siamo veramente. Zombie, consumatori seriali di autoscrittura compulsiva, che nel tentativo di dimostrare la realtà, approdano all’irrealtà del web. Una sorta di videogioco, matrix, dove tutto è manipolabile, e per questo, certo interessante, per la mutevolezza del meccanismo che ne alimenta il suo lato oscuro.
Quei giovani però non ne erano consapevoli, come non lo sono quelli di oggi, se è stato necessario coniare un termine “femminicidio” per mettere le cose in chiaro. Evidenziarle con la penna rossa.
Il branco va riletto perché dietro a quelle solitudini ci sono i nuovi mostri/vittime di oggi, con l’ossessione dell’apparire, sia pure per il battito d’ala di una farfalla. Quelli di oggi rischiano di essere i “non nati” di ieri, per citare Pasolini. Borgatari e ceti sociali fra di loro mescolati, forse non troppo lontani dal leopardiano, “E mira ed è ammirata, e in cor s’allegra”, del Passero solitario, eppure pericolosamente sporti sul nulla. Insomma, un grande romanzo da rileggere proprio come un classico che non smette di produrre interrogativi. Generare ansie dalle quali non possiamo rifuggire, contagiati come siamo dalla totemica affermazione di una comunicazione di massa senza volto, e dal fascino arcano del male.