Delia Morea
A proposito di «9, La rabbia del rivale»

Architetture napoletane

Domenico Notari racconta la storia di un doppio conflitto tra uomini di potere e uomini di genio nel Settecento e nella contemporaneità. Con le meraviglie dell'architettura napoletana di Vanvitelli e Gioffredo sullo sfondo

9, La rabbia del rivale (Castelvecchi) di Domenico Notari, romanzo di recente pubblicazione dal titolo intrigante, ha una costruzione diremo geometrica e, nello stesso tempo, un coté storico, ironico, accattivante. La trama, prima di tutto, non si lascia abbandonare, si legge tutta d’un fiato. È la storia di un “risarcimento tardivo”, per dirla con le parole dell’autore: racconta del grande architetto Mario Gioffredo, vissuto a Napoli in quel secolo di grande fervore artistico che è stato il Settecentesco, alla Corte di Carlo di Borbone, il quale dopo avergli commissionato i progetti per la costruzione della Reggia di Caserta, fece marcia indietro e affidò l’opera a Luigi Vanvitelli, suo rivale, che gli scippò l’occasione di una vita.

Così Notari fa disquisire al personaggio principale Silvestro Donnarumma: “Qui sorgeva il primo dubbio: se Carlo aveva incaricato Gioffredo di ridurre il progetto, perché – strunzo! – non aveva atteso l’esito del suo lavoro? Nel 1975, presso la Biblioteca nazionale di Napoli, erano stati ritrovati altri cinque disegni della reggia di Gioffredo. Tra questi, la prospettiva a volo d’uccello dell’intero complesso: quel “magnifico disegno” citato nel De Vita. Nella veduta, l’enorme costruzione appariva come una cittadella fortificata, difesa da baluardi spigolosi e fossati profondi, dove il senso delle misure si smarriva. Vanvitelli, invece, ammaestrato dal lavoro del predecessore, aveva ridotto drasticamente la dimensione del palazzo, privandolo di qualsiasi difesa e immergendolo nelle delizie di un parco immenso e splendidamente decorato.

Gioffredo aveva spianato la strada a Vanvitelli, scriveva lo Schiavo, «sottoponendo alla sua consumata esperienza un vasto repertorio di elementi e motivi che, profondamente rielaborati e parzialmente» – ma quale rielaborati e parzialmente, di sana pian pianta! – «passarono nell’opera realizzata». Storicamente il fatto non è noto ai più, però Notari con grande maestria lo ricompone, lo reinventa (tenendo conto che in esergo, oltre alla bella citazione da Bufalino: “La realtà e la finzione sono due facce intercambiabili della vita e della letteratura”, sottolinea: “Questa è un’opera di fantasia, ogni riferimento a persone e situazioni reali è del tutto casuale”). Affida la ricostruzione della tormentata personalità dell’architetto, che non ebbe vita facile nel suo lavoro, tra amarezze e processi per incassare parcelle tardive, ad un giovane professore della facoltà di Architettura degli anni ’70 a Napoli, appunto Silvestro Donnarumma, affascinato da Gioffredo. Questi ha l’idea di riabilitarlo documentandosi da vero topo di biblioteca (Notari cita documenti e autori) e in questo lavoro è osteggiato da Parascandolo: “professore ordinario ed eterna cariatide della Facoltà di Architettura”.

La storia si dipana su due piani storici, dunque, in un gioco letterario di grande precisione. Le epoche, i personaggi s’intersecano, viaggiano l’uno accanto all’altro. Domenico Notari è abile nell’intrecciare il passato col presente e non solo, la vicenda di Silvestro, professore sfigato a cui viene preferito dal titolare di cattedra un altro assistente lecchino e “fàuzo”, come quella di Mario Gioffredo, è la storia di due perdenti ma per i due, alla fine, ci sarà una sorta di nemesi storica a sorpresa come un vero colpo di teatro, che in modi diversi renderà loro giustizia.

E in modo teatrale si apre il romanzo con l’elencazione dei nomi dei numerosi personaggi che lo compongono (affascinanti, di grande impatto nelle descrizioni, da Teresella, moglie di Gioffredo, a Carlo di Borbone, i di lui figli Ferdinando IV e Filippo, Giovanni Antonio Medrano, il collega “fàuzo” di Donnarumma Egidio Di Salvo, Carmine il custode della Facoltà di Architettura, ecc.) i settecenteschi e i moderni, a cui Notari annota, in didascalia, le anomalie caratteriali, i difetti, le ambiguità profonde: “Personaggi principali: virtù, destini, pericolose inclinazioni”, di modo che il lettore già è preparato ad affrontarli. Ad esempio Luigi Vanvitelli viene definito: “regio architetto e cinico giocatore di lotto”, perché, scopriamo, era un accanito giocatore di quella fervida dea bendata che a Napoli s’impersonava nell’amatissimo gioco del lotto.

Dettagliata e avvincente la ricostruzione storica, lo scrittore restituisce in pieno l’affresco di un Settecento napoletano, ben rappresentato anche nelle strade, le chiese, pieno d’intrighi, luci e ombre, dove la prepotenza dei nobili è proverbiale e le bizze dei re, che gli architetti di Corte devono subire, sono indiscusse. Parimenti la Napoli inizio anni ’70, che rientrava nel quadro complicato di un’Italia agli albori degli anni di piombo, con gli scioperi studenteschi, le prime rivendicazioni terroristiche.

Un romanzo luminoso, fortemente ritmato, sorvolato dall’ironia, nella trama che procede per attraversamenti, incroci, nel linguaggio molto articolato, alto e basso, in cui la lingua napoletana ne costituisce “humus” speciale, nei vocaboli antichi ma, soprattutto, nei termini usati dal personaggio moderno, quel Silvestro Donnarumma che ricostruisce in maniera febbrile la vita di Gioffredo. Termini vivacissimi, reinventati, comici addirittura, godibili, che meritano di essere collocati, con traduzione, nel “Dizionarietto di Donnarumma”, collocato alla fine del romanzo come ogni glossario che si rispetti.

Merita menzione speciale Silvestro Donnarumma, vero protagonista del romanzo, a nostro avviso, il quale, da sfigato, elabora un incredibile piano per vendicarsi del titolare di cattedra e dell’assistente, in un colpo solo, in quel Palazzo Gravina, sede della Facoltà di Architettura, dove sembra aleggi il fantasma del grande compositore napoletano E.A. Mario, in un finale incredibile che non sveliamo. Così il titolo, quel numero “9” che nella smorfia significherebbe “la rabbia del rivale”, giocato da Vanvitelli quando la vince su Gioffredo, ora forse potrà essere di viatico allo stesso Donnarumma. Un romanzo affascinante, da leggere.

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