La (lunga) storia dell'intolleranza
Quando eravamo razzisti
Ottant'anni fa, nella sua tenuta di San Rossore, Vittorio Emanuele III firmò i primi provvedimenti contro gli ebrei stilati da Mussolini. E la vergogna macchiò l'Italia. Qualcuno, forse, oggi lo ha dimenticato
In molte città si ricorda in questi giorni una delle pagine più infamanti della storia italiana: le leggi razziali. La cerimonia più toccante si è svolta nella Tenuta di San Rossore, a Pisa, presenti professori universitari, accademici e studenti che hanno chiesto scusa per le leggi razziali del 1938, accolte nel silenzio, quando non sostenute scientificamente da molti docenti dell’epoca. Proprio qui, esattamente 80 anni fa, il re Vittorio Emanuele III, in vacanza, alla vigilia dell’apertura dell’anno scolastico, firmò le leggi antiebraiche che codificarono in norma una tesi sostenuta da numerosi cattedratici italiani che al regime fascista avevano prestato giuramento di fedeltà.
Quel 5 settembre a San Rossore il re licenziò il primo provvedimento in difesa della razza, il «Regio decreto n. 138, Provvedimenti nei confronti degli ebrei stranieri» che impediva l’ingresso a scuola a docenti e studenti ebrei. Iniziò con questo atto la discriminazione delle persone di razza ebraica da parte dello Stato italiano, che nel giro di qualche anno portò alla persecuzione, alla deportazione e allo sterminio di quasi 8.000 ebrei (ai quali vanno aggiunti circa 2.000 deportati dai possedimenti dell’allora Impero italiano), dei quali solo 826 riuscirono a sopravvivere. Le università italiane furono coinvolte e spesso complici di questo processo. Solo nell’Ateneo di Pisa furono espulsi venti docenti e quasi trecento studenti e fu impedita l’iscrizione degli studenti ebrei negli anni successivi al 1938.
Nella Tenuta di San Rossore, dove una lapide ricorda la firma delle legge razziali e la persecuzione degli ebrei, è stata aperta la mostra 1938 – La storia del Museo della Shoah di Roma, un ricordo sull’esclusione e persecuzione degli ebrei, che all’epoca in Italia erano circa 60 mila.
Dopo quella firma reale a San Rossore, nell’autunno del 1938 furono emanate in Italia le cosiddette “leggi razziali”, un corpus di provvedimenti legislativi che sancirono per i cittadini italiani “di razza ebraica” la progressiva privazione dei più elementari diritti civili. Pochi mesi prima era stato pubblicato un documento preparatorio, il Manifesto degli scienziati razzisti, che precedeva l’adozione dei provvedimenti di legge e pretendeva di conferire al razzismo inoppugnabili basi scientifiche. In occasione dell’ottantesimo anniversario delle leggi contro gli ebrei emanate dal regime fascista il tema appare oggi attuale, visto il clima di razzismo e xenofobia che si sta allargando a tutta l’Europa.
Tra l’estate e l’autunno di 80 anni fa, una serie di regi decreti legge, firmati da Benito Mussolini e promulgati dal re Vittorio Emanuele III, legittimarono le discriminazioni verso gli ebrei italiani. Bisognerà attendere il 20 gennaio 1944 per la loro abrogazione firmata durante il cosiddetto Regno del Sud quando il governo italiano guidato da Badoglio, dopo la fuga da Roma, si era trasferito a Brindisi.
Con la conquista dell’Etiopia nel 1936 e la costruzione dell’Impero, il razzismo italiano si ravvivò a partire dal 1937, quando furono emanate leggi contro i matrimoni misti e le unioni more uxorio, punibili con il carcere sino a cinque anni. Nel 1934, gli arresti a Torino di alcuni antifascisti di «Giustizia e Libertà», alcuni dei quali esponenti della comunità ebraica come Leone Ginzburg e Carlo Levi, avevano ravvivato l’antisemitismo dei fascisti più estremisti. Nonostante le rassicurazioni di Mussolini, l’avvicinamento alla Germania di Hitler portò alle leggi razziali. Sino a quel momento il Duce aveva cercato una soluzione particolare per gli ebrei italiani, arrivando a pensare a un trasferimento di massa in Africa Orientale Italiana dove peraltro già vivevano le comunità dei Falascià. Ma tutto precipitò con la visita in Italia di Adolf Hitler dal 3 all’8 maggio. Dietro la pura facciata di amicizia tra i due popoli, lì si posero le basi della strategia antisemita da parte dei regimi nazi-fascisti. Non esistono documenti né testimonianze di esplicite richieste avanzate da Hitler, se non una frase che Mussolini avrebbe riferito a Dino Grandi. Va rilevato che in quel contesto il papa Pio XI, inorridito dall’uso blasfemo della croce nazista, si ritirò a Castel Gandolfo, non volendo ricevere i due dittatori. Già il 14 luglio sul Giornale d’Italia venne pubblicato il «Manifesto della razza»: redatto da diversi professori universitari, riscritto da Mussolini, apparve prima in forma anonima composto in dieci punti. Soltanto il 25 luglio un comunicato del Partito fascista rese noti i nomi degli estensori, peraltro non epurati nel dopoguerra. I primi firmatari erano il patologo Lino Businco, l’antropologo Lidio Cipriani, il neuropsichiatra Arturo Donaggio, il pediatra Leone Franzi, l’antropologo Guido Landra, il clinico e senatore Nicola Pende, lo zoologo Marcello Ricci, il demografo Franco Savorgnan, il fisiologo Sabato Visco, lo zoologo Edoardo Zavattari. «Gli ebrei – è scritto – rappresentano l’unica popolazione che non si è mai assimilata in Italia, perché essa è costituita da elementi razziali non europei, diversi in modo assoluto dagli elementi che hanno dato origine agli italiani». Infine, il 5 agosto ’38 venne pubblicato il primo numero del quindicinale «La difesa della razza» diretto da Telesio Interlandi.
Le prime leggi antisemite di settembre vietavano tra l’altro la dimora in Italia degli ebrei stranieri e la revoca della cittadinanza per chi era arrivato dopo il 1918. Gli ebrei vennero esclusi dagli insegnamenti di ogni ordine e grado e fu loro vietato di frequentare le scuole pubbliche. Giuseppe Bottai, ministro dell’Educazione nazionale, applicò subito i provvedimenti antisemiti. Galeazzo Ciano commentò così quella seduta del massimo organo del fascismo: «Bottai mi sorprende per la sua intransigenza».
Il punto di svolta fu il comizio tenuto da Mussolini a Trieste il 18 settembre 1938, in Piazza dell’Unità, per annunciare l’emanazione delle famigerate leggi razziali antiebraiche, che verrà ricordato dal Comune di Trieste in collaborazione con la comunità ebraica di Trieste e il comitato triestino Pace Convivenza e Solidarietà.
Su un palco enorme in cui campeggiava la scritta “Dux”, davanti ad una folla oceanica, Mussolini annunciò: «L’ebraismo mondiale è stato, durante sedici anni, malgrado la nostra politica, un nemico irreconciliabile del fascismo… Tuttavia gli ebrei di cittadinanza italiana, i quali abbiano indiscutibili meriti militari o civili nei confronti dell’Italia e del regime, troveranno comprensione e giustizia; quanto agli altri si seguirà nei loro confronti una politica di separazione. Alla fine il mondo dovrà forse stupirsi più della nostra generosità che del nostro rigore. A meno che i semiti d’oltre frontiera e quelli dell’interno, e soprattutto i loro improvvisati e inattesi amici che da troppe cattedre li difendono, non ci costringano a mutare radicalmente cammino».
Venne così mortificata una comunità, quella ebraica, che pure aveva dato un contributo essenziale al Risorgimento e alla Prima guerra mondiale. Monarchia e fascismo marciarono di pari passo in quel tradimento verso gli ebrei.
Nonostante tutto, molti ebrei rimasero vittime delle deportazioni perché non riuscirono a credere che il loro paese avrebbe collaborato attivamente alla realizzazione della soluzione finale. Molti di loro furono traditi dalle spie che li denunciarono per guadagnare i soldi delle taglie e per appropriarsi dei loro beni. Altri furono vittime di furti, spoliazioni, violazioni, crimini. Migliaia si salvarono scappando, costretti comunque ad abbandonare tutto ciò che avevano. Molti sopravvissero entrando in clandestinità, cambiando identità e moltissimi furono aiutati da pochi e coraggiosi italiani che trovarono immonde le leggi razziali. Molte porte di conventi e monasteri si aprirono per accogliere gli ebrei. Centinaia, infine, scelsero la lotta partigiana combattendo per la libertà e la democrazia.
Il 17 novembre 1938 fu emanato il secondo e duro decreto legge con cui gli ebrei venivano esclusi dal servizio militare, dalle cariche pubbliche, erano limitati nel campo della proprietà immobiliare, nella gestione delle aziende private e nell’esercizio delle professioni. Venivano inoltre stilati i criteri per stabilire chi era da considerarsi ebreo. La strada dei lager fu aperta dal fascismo: la vergogna macchiò per sempre l’Italia.