Visioni contro mano
Nuovo cinema Sicilia
Da Pietro Germi ai Fratelli Taviani, da Monicelli a Damiano Damiani (senza dimenticare, ovviamente, Franco & Ciccio): radiografia del cinema siciliano. Più internazionale che meridionalista
Sono stato per la seconda volta in Sicilia, precisamente a Catania, nel 1981. Avevano da poco rinvenuto la testa di un uomo in una delle aiuole di via Etnea di fronte a un negozio di scarpe dove lavorava una splendida commessa, John Lennon era stato appena ammazzato e i Pooh cantavano Dammi solo un minuto. A me invece ne occorsero circa trenta, di ore, per raggiungere in treno Trapani, la mia prima città sicula, dove avrei svolto il CAR, il famigerato e ultimamente forse rimpianto Corso Addestramento Reclute. Partito da Arezzo, il treno si incagliò dopo Palermo a causa di una incredibile nevicata. Dopo poco più di un mese, tanto durava l’addestramento, arrivai con la tradotta sotto l’Etna, nella caserma Sommaruga, proprio di fronte al leggendario stadio Cibali. Avevo già visto tutto, vulcano, belle donne, calcio e ammazzamenti. Naturalmente fu amore a prima vista.
Proprio in uno stadio come quello dell’allora presidentissimo Angelo Massimino si svolge un film, più di costume (non in costume) che di genere, L’arbitro, di Luigi Filippo D’Amico, anno di grazia 1974. Che ben rappresenta un aspetto tra i più divertenti, e terribili, della Sicilia. Carmelo Lo Cascio, interpretato da Lando Buzzanca (chi altro?) fa il verso in maniera non troppo celata a quello che storicamente è considerato l’archetipo dell’arbitro, vale a dire Concetto Lo Bello da Siracusa (città di cui fu anche sindaco democristiano). Questi, l’arbitro Buzzanca, non Lo Bello, aveva il compito di dirigere partite di calcio e soddisfare le fantasie di moglie e amante. Quella dell’arbitro è una figura che nel corso degli anni si è profondamente evoluta e trasformata, di certo trasformata. Ma che il primo insulto che tutt’oggi, in tempo di VAR, venga rivolto al signore non più in giacchetta nera, sia sempre lo stesso significa che non c’è tecnologia che tenga: cornuto era e cornuto resta. Con tutto quello che ne consegue, almeno in Sicilia, ovvero l’amante, il tradimento e il delitto d’onore.
Tutto questo e anche di più lo troviamo in Cabiria di Giovanni Pastrone, uno dei film più importanti di tutti i tempi. Che sì, è stato girato a Torino nel 1914, ma inizia proprio a Catania, dove Batto, romano catanese, vede la sua casa distrutta dall’eruzione del vulcano. Sarà l’inizio di una sequela di disgrazie che si concluderà con la battaglia di Zama. La scelta del capolavoro di Pastrone in realtà rivela l’intenzione di rendere omaggio a tutti quei film che secondo la sceneggiatura sono ambientati in un luogo e secondo il piano di produzione vengono girati in un altro. Il sicilianissimo La ragazza con la pistola di Mario Monicelli, interpretato dalla romana Monica Vitti e dal napoletano Carlo Giuffré, è concettualmente il film siciliano per eccellenza, ma è stato girato in larga parte a Polignano a Mare, patria del pugliese Domenico Modugno. Finale a parte, girato qualche settimana dopo, causa impegni teatrali del protagonista, ad Ancona. Ma il film è siciliano, magari quanto Il giorno della civetta, ambientato a Partinico. Tratto dal libro di Leonardo Sciascia, è stato diretto da Damiano Damiani nel 1968 ed interpretato da Franco Nero, parmense nella vita e nella finzione, Claudia Cardinale, altra siciliana non siciliana (Tunisia), e Lee J. Cobb, newyorkese al 100%. Sono due le motivazioni che hanno influito sulla scelta di questo titolo. La prima è politica. Inutile dire che ci riferiamo ancora di più al libro omonimo del grande scrittore siciliano da cui Ugo Pirro e lo stesso Damiani hanno tratto la sceneggiatura. Ebbene, Il giorno della civetta anticipò la legge La Torre che introduceva la verifica dei beni dei boss, e che permise l’arresto dei grandi capi (da Buscetta in giù). Una letteraria: come suggerisce lo storico Nicola Fano, «Sciascia usa il codice mafioso». Nel senso che “rompe l’omertà”: lo fa provocatoriamente, dall’interno, usando appunto il codice linguistico mafioso e il suo immaginario. In questo senso, per la mafia è uno sgarbo clamoroso. Va da sé, poi, che fino alla relazione finale della Commissione parlamentare Antimafia del 1973 la parola “mafia” era bandita dai documenti ufficiali e la linea dello Stato era: «La mafia non esiste e non va nemmeno nominata». Il giorno della civetta è la dimostrazione di come un film possa andare oltre il proprio valore artistico e superarlo di netto per importanza storica.
Kaos dei fratelli Paolo e Vittorio Taviani (toscani) è invece un film ineludibile. Non solo per essere tratto da Novelle per un anno di Luigi Pirandello, premio Nobel (quindi svedese) per la letteratura nel 1934. Ma perché tra i protagonisti figura la coppia di attori siciliana per eccellenza, Franco Franchi e Ciccio Ingrassia. Ciccio, naturalmente, sta per Francesco, come ha recentemente e argutamente ricordato l’ultra (o ultrà?) siciliano Andrea Camilleri ad un (credo) noto giornalista. Franco e Ciccio, e i loro numerosissimi film, hanno spesso già nel titolo la Sicilia: uno per tutti: Ku-Fu? Dalla Sicilia con furore, regia di Nando Cicero, Asmara, Eritrea.
Infine, Sedotta e abbandonata (nella foto accanto al titolo). Immagino che parlando di Sicilia questo sia il primo titolo che venga in mente ai più, o comunque uno dei primi. Diretto dal ligure Pietro Germi, regista straordinario e mai abbastanza celebrato («Perché non comunista», tuonava Luciano Vincenzoni) e interpretato dalla viareggina Stefania Sandrelli, il film si svolge a Sciacca, cittadina torrida e pescosa, a un centinaio di chilometri da Trapani. La nota vicenda che si muove tra un bizzarro senso dell’onore e feroci contrasti familiari è diventata un paradigma della sicilianità. Sedurre e abbandonare è il massimo del machismo, dell’uomo Denim, che non deve chiedere ma se c’è da prendere prende. Interessante il cast, con alcuni catanesi, calabresi, pistoiesi ed anconetani. Con sceneggiatori bresciani romani e trevigiani. Insomma, dovevamo scegliere cinque film in grado di che raccontare, geograficamente e idealmente la Sicilia: ecco, li abbiamo trovati, crediamo, ma poi il discorso ci ha preso la mano, e ci siamo resi conto che il cinema, in un momento storico così marcatamente identificativo ed identificante attraverso le più banali appartenenze, dimostra di essere avanti, composto com’è da attori e registi provenienti da ogni dove e che, in questo caso, si sono dati appuntamento in una bellissima regione, una nostra bellissima regione, quella orgogliosamente più a sud.