Alessandra Pratesi
A La Pelanda di Roma

L’ingranaggio Antonio e Cleopatra

Tiago Rodrigues porta “António e Cleópatra” a Roma, a Short Theatre 2018. I due big della storia sono due sagome neutre, sono la potenza condensata di un linguaggio gestuale e verbale ridotto ai minimi termini dagli attori Sofia Dias e Vítor Roris

Giovane che guarda Lorenzo Lotto non è solo una fotografia: è l’istantanea di un’azione. È il giovane uomo ritratto dal pennello di Lotto che, in una giornata di primo Cinquecento, guarda l’artista durante le sedute di posa, ma è anche il ventisettenne Giulio Paolini che guarda la tela del pittore veneziano. È il ricordo di azioni passate reiterate e vivificate nel presente, ma è anche la proiezione in potenza di un’azione compiuta da qualunque spettatore, giovane e meno giovane, che si appresti a guardare la tela. In un processo di mise en abîme a specchio, Giovane che guarda Lorenzo Lotto rappresenta tanto la suggestione nel futuro quanto la traccia del passato nel presente dello spettatore che recupera la stessa posizione del Paolini del 1967 quando immortalò la sua visione del dipinto.

António e Cleópatra dell’attore, regista e drammaturgo portoghese Tiago Rodrigues lavora sul medesimo meccanismo concettuale e artistico. Nel 2015 è al suo debutto mondiale in occasione del Festival d’Avignon; nel 2018 approda a Roma nel cartellone del festival Short Theatre, nella sede storica della manifestazione, La Pelanda al Mattatoio di Testaccio. La pièce di Rodrigues racconta un incontro che, seppur epico e storico nelle premesse, o ancora passionale e travolgente nell’immaginario collettivo, si riduce ad una interrelazione umana spogliata di ogni trasporto emotivo e decostruita fino all’essenza dei fondamenti verbali e corporali del linguaggio attoriale. Il tono siderale e cerebrale è raggiunto grazie alla scomposizione linguistica e drammaturgica. Precedenti imprescindibili, e come tali assorbiti nella struttura destrutturata della pièce, sono lo shakespeariano Anthony and Cleopatra e il colossal americano del 1963, Cleopatra, la cui colonna sonora viene reimpiegata come funzionale ouverture e intermezzo, eco lontano di un clima geopolitico e di una temperie sentimentale che appare sterilizzata e automatizzata nella visione di Rodrigues.

In scena soltanto una gigantografia 3D di uno dei tanti mobiles di Alexander Calder e un tavolino con l’impianto stereo per l’accompagnamento musicale da vinile. Ad abitare lo spazio i due attori: Sofia Dias e Vítor Roris, vere e proprie silhouette neutre prestate alla scomposizione-ricomposizione del racconto. Ma attenzione, non incarnano l’uno Antonio, l’altra Cleopatra. Declamano e riproducono ora le indicazioni di scena, ora le indicazioni di regia, impersonano i dialoghi, impersonano un ricordo o una proiezione, al limite di ogni definizione spazio-temporale, attori e spettatori loro stessi. Con un’insistenza sul gesto delle mani protese in avanti in un gesto di creazione, appropriazione e rievocazione, Dias e Roris si fanno portatori sani di un incontro umano tra culture e tra mondi attuandolo e provocandolo nel qui ed ora del pubblico presente. È il gesto di Prospero e delle streghe di Macbeth, è il gesto di mimi quali Marcel Marceau, vivo e attuale, produttore di senso, provocatore di realtà. Una risposta al motto della stagione 2018 di Short Theatre scelto dal suo direttore artistico, Fabrizio Arcuri: «Provocare realtà».

L’abbattimento dei confini temporali e spaziali si riflette nello schema circolare: dalla descrizione del doppio suicidio degli eroi eponimi al ricordo degli antefatti, fino al climax dello stream of consciousness cui si arriva tramite un particolarissimo stato di trance linguistica: la tragedia dei due amanti si consuma nel susseguirsi trasformistico di botta e risposta, di significato e significante: «Mundo, murmuro, mi amor, meio morto». Un annullamento delle coordinate spazio-tempo si legge pure nella lingua, portoghese, con la quale la pièce nasce e con la quale viene proposta al pubblico francese prima, italiano poi (pur con l’ausilio di sottotitoli). La scelta della lingua, tuttavia, nell’astrazione del suo impiego, nella riduzione a frasi minime, ripetute e martellanti, non è che accessoria, perché lo spettacolo non comunica attraverso le parole bensì attraverso la precisione ingegneristica della combinazione di suoni e movimenti. Non a caso nominato maître dell’edizione 2018 del corso di alto perfezionamento attoriale under 35 a livello europeo Ecole des Maîtres (lo spettacolo-dimostrazione di fine corso, Perigo Feliz, apre la serata inaugurale di Shor Theatre al Teatro India), Rodrigues lavora sugli strumenti fondanti del mestiere teatrale. Supera, così, i confini linguistici, orientandosi alla costruzione di un linguaggio teatrale che sia, se non universale, per lo meno europeo. Come nell’istantanea prodotta dalla riflessione concettuale di Paolini (nella foto a destra), António e Cleópatra offre tracce di percorsi possibili, offre un punto di vista da fare proprio e da riprodurre. António e Cleópatra simboleggia la sintesi di un incontro, dispiega un catalogo di tecniche attoriali, raccontano una storia tra le storie, o la storia delle storie, tra l’oggetto visto e il soggetto vedente, tra l’attore e lo spettatore, dimostrando l’interscambiabilità dei ruoli. Provocando realtà.

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