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L’attore di Simenon
Dal mattatore problematico di Simenon a quelli (inessenziali) di Luca Scarlini. Fino alla recita per Proust messa in piedi (per la radio) dal grande Giacomo Debenedetti
L’attore. Il protagonista di questo inconsueto romanzo di Georges Simenon è il prototipo dell’egocentrismo, caratteristica portata così agli estremi da suscitare irritazione. Infaticabile attore di teatro e cinema, Emile Maugin è stato accostato a celeberrimi interpreti della vita reale, ma l’autore ha sempre respinto valide indicazioni. Semmai Maugin (in Le persiane verdi, Adelphi, 208 pag.,19 euro) è una summa: di vanità, egoismo, ansia, ambizione, estroversione, idiosincrasie. Il baricentro di quest’uomo sessantenne è la paura della morte ed è ciò che lo rende fino all’ultimo avido e predatorio.
La sua ultima fase della vita fa esplodere il senso di colpa (castigo senza rimedio), evidenzia il sentirsi “sempre fuori posto“ malgrado l’adulazione, il servilismo e gli applausi che circondano ogni sua affannata ora. Acutamente Simenon afferra una delle sue tanti radici dolorose: «Nel suo mondo il peccato occupava un posto centrale, era una specie di personaggio…». Le (tante) donne di Maugin tentano, facendosi male, di ammansire un’anima a forma di Gorgone. Certe note del romanzo, attorno a personaggi egotici e irritanti, mi consentono di azzardare l’ipotesi secondo cui Simenon abbia voluto duellare con un artista, ignoto ma vivente, senza prima metabolizzare il perché di tanto livore.
Il labirinto. Al monumentale opera Alla Ricerca del tempo perduto, così fondamentale nel Novecento letterario mondiale, edito in sette volumi dal 1913 al ’27, Marcel Proust arrivò dopo un doloroso fallimento. E questo si chiama Jean Santeuil, romanzo autobiografico giovanile. Cominciò a lavorarci quando aveva 24 anni, ma rimase incompiuto. L’asmatico francese si lamentava sovente di non avere «immaginazione». Voleva scrivere un testo compiuto, un romanzo normale come quelli di Zola o Balzac. Prese poi atto che quel Jean scelto come protagonista non sapeva dove andare a sbattere. Si arrese. E poi capì che la sua prosa aveva un andamento circolare, come lo ha la Recherche. E in quest’opera che comprende come essere e diventare se stesso. Ce lo spiega egregiamente lo scrittore e celebre critico Giacomo Debenedetti nella Radiorecita sul francese, che andò in onda nell’ottobre del ’52. Questo modo originale di scandagliare esitazioni e volontà, viene oggi riproposto dalla Sellerio (Un altro Proust, 109 pag. 10 euro). Uno dei protagonisti del radiodramma, «donna», dice: «Guardati dalle apparenze. Non ti far sentire con quei vocalizzi da cuor leggero, di quando ti credi all’unisono con la banalità. L’arte raggiunge il suo fascino attraverso un groviglio di complicazioni. Il tuo lavoro è di dipanarle. Non aver paura del labirinto. Ti darò io il filo d’Arianna».
Roma. È in questa città che alla fine confluiscono teatranti, collezionisti, mondani, visionari e altre figure del circo dei sentimenti. Episodi e parole per amori e disamori, ancorati a indirizzi di una Capitale, tra il Settecento e il Novecento, che è essenzialmente segreta, ma anche «palcoscenico di socialità parcellizzate e divise». Una notte? Diversi anni? Poco importa: Luca Scarlini, saggista, drammaturgo, docente a Brera, spesso in scena assieme a cantanti e attori, intendere cogliere il momento apicale tra due personaggi. Lo fa in Teatri d’amore (Nottetempo, 298 pag. 17 euro; ottimi i disegni di Alvise Bittente). Irene Brin, giornalista allora tra i più brillanti, invita il compagno Gaspero Del Corso a fare attenzione: «I nazisti sono in agguato e magari cambia il tuo nome. Anch’io ho imparato, gli dice, a schivare certe trappole, che se no chi sa che fine facevo, non sono diventata l’addetta stampa di Galeazzo Ciano». Giacomo Leopardi e l’amico Antonio Ranieri sono lontani da Recanati, finalmente. Sono arrivati da Firenze, «tutti si domandavano se avessi visto il diavolo…». Pure il parrucchiere lo guarda male, come se fosse in debito. «Ti ricordi le Rimembranze? E poi piangevi sulla città di Roma, da te sommamente disamata». Scarlini si fa funambolo, col rischio che l’inessenziale prenda il posto del particolare illuminante. Forse in molti a girar lo sguardo.