Alessandra Pratesi
Visto al Teatro dell’Opera di Roma

La bella tradizione non dorme mai

Torna al Teatro dell’Opera di Roma “La bella addormentata nel bosco”, il celeberrimo balletto: intramontabile musica di Čajkovskij e coreografia aggiornata di Jean-Guillaum Bart. Occasione felice di incontro della tradizione europea, dove il rigore della macchina teatrale si fonde con il multiforme patrimonio mitico-favolistico

C’era una volta la bella addormentata nel bosco. Un classico dei classici. Tra 1888 e 1890 Pëtr Il’ič Čajkovskij lavorava alla partitura di quello che doveva essere un kolossal dell’epoca, in collaborazione con le dettagliate, quasi tiranniche, indicazioni di ritmo e di fraseggio dell’anziano coreografo francese Marius Petipa. Seguivano una proposta dell’allora direttore dei teatri imperiali Ivan Vsevoložskij per la filofrancese Russia zarista di Alessandro III, ma il libretto traeva spunto dalla versione che della favola aveva dato Charles Perrault alla corte di Luigi XIV quasi due secoli prima. Dal 1959 generazioni di bambini di tutto il mondo sono cresciuti con le immagini del film d’animazione Disney e, come nella migliore tradizione da Gesamtkunstwerk che si rispetti, con un motivo musicale indelebilmente collegato ad ogni sequenza visiva. Walt Disney intuisce il ruolo fondamentale della colonna sonora sin dal debutto del sonoro al cinema, attingendo dal repertorio classico, passando per la canzone popolare americana e il jazz fino a contribuire al rinnovamento del genere musical. Nella Bella addormentata nel bosco, l’ispirazione musicale si deve al balletto di Čajkovskij. I (rac)conti tornano.

Per continuare ad emozionare a 130 anni dalla sua creazione, il balletto deve farsi portatore sano di sentimenti veri. Il “vissero per sempre felici e contenti” è noto, maledizioni e amori contrastati, in fondo, non preoccupano. Il vero coinvolgimento emotivo è garantito dal capolavoro musicale di Čajkovskij, dalla vis narrativa intatta e difficilmente raggiungibile (se persino un maestro dello storytelling quale Walt Disney vi ha fatto ricorso). Come non essere toccati dall’attacco tempestoso degli archi nell’ouverture, subito rischiarato dai legni e dall’arpa con il Leitmotiv della corte di Aurora?
Contribuisce all’integrità narrativa delle oltre tre ore di musica e danza il coreografo Jean-Guillaum Bart. Attraverso un rapporto tra personaggi coerente all’interno e convincente all’esterno, presenta un prodotto fresco e vitale, l’auspicio di una primavera del balletto classico in cui la perfezione della prestazione atletica sia mezzo e non fine, in cui alle infinite combinazioni coreografiche corrisponda lo sterminato ventaglio di emozioni umane. Cresciuto professionalmente nella Scuola dell’Opéra di Parigi, Bart, che della Bella addormentata ha ricoperto tutti i ruoli della gerarchia, nel 2015 si confronta per la prima volta con il balletto da coreografo, su commissione dello Yacobson Ballet Theatre di San Pietroburgo prima, poi a più riprese (febbraio 2017 e settembre 2018) con la Compagnia del Balletto del Teatro dell’Opera di Roma diretta dell’ex étoile parigina Eleonora Abbagnato. La proposta coreografica di Bart mostra la consapevolezza di una visione a tutto tondo dell’opera: impianto scenico spettacolare, partitura sinfonica maestosa, in somma delle somme il balletto dei balletti (come da definizione di Nureyev). L’approccio di Bart non poteva che essere di studio rispettoso del passato, di filologo della danza ma anche di conoscitore dello stato attuale dell’arte: Bart ricostruisce e restituisce lo spirito dell’opera, rifugge gli estremismi tecnici, rinforza l’impianto drammaturgico puntando tanto sulla perfezione della macchina teatrale e dei passi quanto sulla carica emotiva di una narrazione sempiterna. La coreografia di Bart è un trionfo dello spirito classico del balletto, ma con la vitalità del presente. Dall’Adagio delle Rose, al Valzer alla corte del Principe fino alla parata di invitati al matrimonio, sono rispettati tutti i momenti clou imprescindibili della drammaturgia, con concessioni alla pantomima e al comico dei ruoli dei cortigiani, vera e propria scenografia plastica. E così strappa una risata il buffo cerimoniere bacchettone offerto al pubblico ludibrio dalla Fata Carabosse che lo priva della sua imponente parrucca, oppure il terzetto di filatrici che, come scolarette, nascondono goffamente i ferri banditi dal re.

Le scenografie e i costumi di Aldo Buti (già delle produzioni del Costanzi di febbraio 2009 e di maggio 2014) sono nuovamente allestiti in tutto il loro splendore. La gabbia dorata simil Versailles e i fondali simil Watteau sono offerti ad un entusiasta pubblico romano che, dagli addetti ai lavori alle famiglie – dalle nonne alle nipoti – non cessa di applaudire alla prima della ripresa romana il 15 settembre 2018, interrompendo la sequenza dei passi e prolungando la durata prevista dello spettacolo. I costumi, corredati di parrucche stile settecentesco, sono in bianco per il battesimo e il matrimonio (rispettivamente Prologo e Atto finale), mentre si tingono delle tonalità autunnali del rosso nell’Atto Primo, ovvero al compimento del sedicesimo anno d’età della Principessa Aurora all’avverarsi della maledizione che addormenta la giovane e il reame tutto. La simbologia pressoché universale del bianco e del rosso accompagna visivamente e ciclicamente la lettura metaforica della favola di crescita della giovane Aurora, che si addormenta bambina e si risveglia donna. In nero soltanto le apparizioni delle forze del male, la malvagia Fata Carabosse e i suoi scagnozzi. Alessandra Amato si conferma splendida nel ruolo di Carabosse cui presta il suo gesto nitido, vigoroso e seducente, più plateale e meno sinuoso del personaggio della Morte appena interpretato nel Romeo e Giulietta di Peparini a Caracalla ma ugualmente accattivante e riuscita nel mix di padronanza tecnica e interpretazione. Applauditissimi anche i ballerini ospiti nei ruoli principali, l’argentina Marianela Nuñez e il russo Vladislav Lantratov, dal virtuosismo spiccato. In forma, ma non in formissima, l’orchestra romana diretta da Nicolas Brochot. Meritevoli di nota gli assolo del violino, caldo, profondo e lirico.

C’era una volta un bosco incantato. Perfetto inizio da manuale che, nel 2011, diventa titolo di successo quando il canale televisivo americano ABC manda in onda la prima di sette stagioni di Once Upon a Time. I creatori, Edward Kitsis e Adam Horowitz, in un’intervista riassumono la chiave di lettura e la visione che li ha guidati nel corso della scrittura della serie, un’idea semplice ma potente: «Si potrebbe pensare che è solo una storia, ma è questo il bello delle storie: sono più che semplici parole, vivono dentro di noi, ci rendono le persone che siamo». Una passione, quella per il mondo delle fiabe, ciò che di più vicino a una comune e condivisa mitologia l’Europa occidentale abbia, che sorvola i confini di tempo e spazio e si ritrova con una freschezza inalterata e trasversale nelle arti, al cinema come sulla scena.

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