Al Teatro dal Verme di Milano
Abbasso il violino!
Per il quinto appuntamento della rassegna milanese “I Pomeriggi alle Stelline”, un ensemble di soli fiati ha offerto un’interessante rilettura di grandi pagine del repertorio, eliminando, quasi per gioco, tutte le parti di viole e violini e riadattando le celebri melodie per soli specialisti degli sforzi polmonari
E se da un’orchestra classica togliessimo gli archi? Sembra essere questa la domanda a metà tra il provocatorio e lo sperimentale dalla quale è nata l’idea dell’interessante concerto che il 14 luglio si è tenuto a Milano, al Teatro dal Verme. L’esibizione, originariamente pensata per la suggestiva cornice dei cosiddetti “Orti di Leonardo” nel Palazzo delle Stelline, e poi spostata nell’altrettanto accogliente scenario del Teatro milanese a causa del maltempo, ha avuto un grande successo di pubblico. Nonostante la pioggia, infatti, in molti sono accorsi a questo quinto appuntamento de I pomeriggi alle stelline, la rassegna di concerti classici che anche quest’anno ha animato l’estate milanese.
Al di là del cambio improvviso della location, lo stupore più grande che ha colpito gli spettatori è stato quello di veder entrare in sala un complesso strumentale privo degli archi, presenza iconica di ogni concerto sinfonico che si rispetti. È bastato poco, però, per capire che quell’ensemble di soli fiati non era un’orchestra claudicante, ultimo inconveniente di una giornata piena di imprevisti, ma il vero protagonista della serata. La coesione e l’‘affiatamento’ del gruppo dei quindici elementi ha poi fatto il resto, dissipando ogni turbamento iniziale e conquistando subito la simpatia della platea. Spesso trascurati perché collocati dietro al muro compatto di viole, violini primi, violini secondi e violoncelli, clarinetto, flauto, ottavino, oboe, fagotto, tromba e trombone, per una volta hanno fatto la parte del leone, assumendo un inedito ruolo di protagonisti: apparivano in netta minoranza il percussionista e gli unici due archi, violoncello e contrabbasso, chiamati come rinforzo dell’accompagnamento. Proprio da questa singolare centralità affidata a un gruppo solitamente in secondo piano sembra d’altra parte essere derivata la scelta dei brani in programma. L’ensemble de I pomeriggi musicali ha, infatti, ripercorso pagine molto note del repertorio europeo, dalla suite dello Schiaccianoci alle celebri tre ouverture rossiniane (Italiana in Algeri, Barbiere di Siviglia, Gazza ladra), passando per Verdi e Donizetti fino all’appassionante suite dalla Carmen di Bizet, quasi a dimostrare come queste musiche intramontabili siano del tutto godibili anche se riadattate per un organico più piccolo di quello per le quali erano state originariamente pensate.
Queste celebri melodie sono risuonate nel teatro dal Verme in maniera piacevolmente diversa, permettendo agli spettatori di riscoprire sfumature e passaggi che inevitabilmente si perdono nell’ascolto abituale. Il merito del risultato va ai professori d’orchestra, encomiabili per il perfetto coordinamento e anche per lo sforzo fisico sostenuto nei 75 minuti di vero e proprio tour de force polmonare, e soprattutto al Maestro Paolo Belloli, direttore del gruppo ma soprattutto arrangiatore delle partiture originali, che ha dimostrato un felice connubio di creatività e rigore nel trascrivere le pietre miliari della nostra tradizione musicale. Il Maestro, infatti, è riuscito in un compito non facile: non restituire nota per nota le partiture originarie, eppure ricreare un effetto armonico diverso dal consueto, in grado di valorizzare le specifiche sonorità dei fiati. Le note acute dei violini realizzate dal timbro argentino dell’ottavino, le morbide melodie di viole e violoncelli interpretate dai caldi e malinconici oboe e clarinetto, infine gli unisono degli archi spesso affidati al suono corrusco di trombe e tromboni: sono questi alcuni degli interessanti adattamenti che il maestro ha operato nel trascrivere e l’esito è stato al tempo stesso convincente ed arricchente.
Attraverso questi esperimenti, infatti, le creazioni di Rossini, Verdi e Bizet hanno finito per presentarsi alle orecchie degli spettatori con un aspetto nuovo e per ricreare atmosfere in parte diverse da quelle con cui sono state concepite. Per fare qualche esempio, il nervoso incipit della Giovanna d’Arco è apparso meno fragoroso ma più esasperato, il tema di Micaela dalla Carmen non semplicemente sognante ma decisamente malinconico, i frizzanti temi rossiniani meno pirotecnici e più meditabondi. Quello a cui si è assistito durante la performance dei I pomeriggi musicali non è stata dunque una semplice trouvaille estiva, ma un’operazione di grande interesse, che senza sacrificare nulla al doveroso rispetto per questi pezzi classici ha saputo aggiungere ad essi un’atmosfera di volta in volta nuova, in grado di restituirci un aspetto inedito di queste partiture e di permetterci di ascoltarle con un’idea diversa sul loro significato.Parafrasando un noto ‘adagio’ popolare, quando il violino non c’è, i fiati ballano… e l’effetto è un’interessante rilettura del nostro repertorio.