Itinerari per un giorno di festa
San Salvatore com’era
Anche da ferito il Belpaese non finisce di incantare. Lo testimoniano a Scheggino, una delle quattro tappe umbre della mostra “Capolavori del Trecento”, i brandelli della chiesa di Campi di Norcia sopravvissuti al terremoto, che saranno recuperati nella ricostruzione. E non solo quelli…
Questo è un itinerario della memoria di quel che c’era, che il terremoto del 2016 ha distrutto e che però, grazie a un recupero-pilota, potremo tornare a rivedere. La meta è l’Umbria, la Valnerina coronata dall’Appennino arcigno e verde. Siamo a Campi di Norcia, borgo arroccato su un’alta collina. Ai suoi piedi, in una radura che spazia sull’ampia vallata, un cantiere con la recinzione in rete metallica e il cartello della Soprintendenza ai Beni Artistici, Storici e Ambientali dell’Umbria. Sotto una tettoia, i resti di una chiesa romanica: spariti la facciata con i due portali e due rosoni, via gran parte del soffitto, spezzati i pilastri che reggevano le due navate, infranto il ciborio, una meraviglia per il “pontile” con archetti trilobati. Ma resta, nell’abside, un grande affresco trecentesco: una crocifissione dove dominano i colori verdi e azzurri.
Si chiama San Salvatore, questo tempio dalla lunga storia, accanto al cimitero di Campi. Ma ancora prima, nel 1100 quando venne edificato, aveva il nome di Pieve Santa Maria ed era alle dipendenze dell’abbazia benedettina di Sant’Eutizio di Preci. Era stata eretta su un edificio romano, prendendone materiale di spoglio. Un ampliamento verso l’abside avvenne nel ‘300. Ulteriore trasformazione nel secolo successivo, quando i riti della Trasfigurazione richiamavano gran massa di fedeli: alla unica navata iniziale se ne aggiunse un’altra, il secondo portale con rosone, in un doppio peraltro armonico, come in tante chiese della Valnerina. E l’interno fu affrescato soprattutto nella navata sinistra dagli artisti della famiglia Sparapane e da Domenico da Leonessa: una sorta di antologia della pittura umbra del rinascimento.
Come avverrà il miracolo della “resurrezione” di San Salvatore? Lo spiegheranno ai visitatori gli esperti della Soprintendenza e dell’Istituto Superiore Centrale del Restauro. Infatti il cantiere è aperto come tappa della mostra Capolavori del Trecento allestita fino al 4 novembre in quattro sedi, Montefalco, Trevi, Spoleto e Scheggino. Proprio in quest’ultimo paese – un abitato medievale a pochi chilometri da Campi d Norcia, un borgo intatto, cinto dalle acque del Nera – sono esposti brandelli della chiesa di San Salvatore, a testimoniarne la magnificenza: un quarto del rosone, tre blocchi di muri affrescati: c’è una mano che reca un sottile bastone, un volto di santa con i capelli coperti da velo, quello di una figura maschile. «Li abbiamo portati dal deposito di Santo Chiodo, dove sono raccolte macerie e decori di chiese, conventi, palazzi danneggiati dal sisma di due anni fa – dice Giovanni Luca Delogu, della Soprintendenza. Eccoli qui esposti così come li conserviamo, impacchettati nella garza protettiva».
A Santo Chiodo è ospitato il 99 per cento dei pezzi crollati nella chiesa di San Salvatore. Un recupero capillare, reso possibile dalla nuova disposizione del Mibact che stabilisce l’intervento dei suoi specialisti immediatamente dopo il sisma e in contemporanea con le forze dell’ordine. «Questa misura ci permetterà di ricostruire la pieve – spiega Stefania Argenti, dell’Iscr. Prima infatti i vigili del fuoco accatastavano le macerie, dal 2016 noi possiamo affiancarli. La messa in sicurezza ha dunque coinciso con il rilievo dettagliato delle parti crollate: le aree sono state perimetrate per colore e lettere, poi gli elementi con valenza artistica selezionati e marchiati. Quelli facilmente riconoscibili, dai portali o dal ciborio, catalogati con criteri alfanumerici: così potremo ricollocarli esattamente dov’erano. Dobbiamo lavorare con conci e grosse frazioni di muro in parte dipinte. Dunque ci troviamo in una situazione diversa rispetto alla Basilica di Assisi dove caddero giù intonaci affrescati e la cromia poteva aiutare alla ricostruzione. Lo ripeto: la chiesa non è perduta, a differenza di quanto si pensò quel 26 ottobre del 2016, il giorno del sisma. Certo, qui dovremo sperimentare come raddrizzare le murature e riassemblare i conci rendendo tutto antisismico. Abbiamo chiesto il parere di grandi esperti, tra cui l’architetto professor Doglioni, che lavorò in Friuli, in particolare ricostruendo il duomo di Venzone».
Ripetere l’operazione nel caso di San Salvatore è possibile anche per un’altra decisione presa nell’immediatezza della tragedia: coprire il rudere, proteggendo da neve e pioggia quanto rimasto in piedi. «Perché queste sono murature povere – chiarisce Argenti – realizzate con calce debole, in pietra poco saldata. Niente a che vedere con i resti dei monumenti antico-romani». Ora il primo obiettivo – i fondi sono stanziati – è ricostruire il raffinato ciborio. Che racchiudeva sei secoli fa il grande crocifisso ligneo detto del Maestro di Visso, venerato particolarmente in quanto ritenuto miracoloso e ora esposto in una delle altre sedi della mostra Capolavori del Trecento, il museo di San Francesco a Trevi. Un’opera suggestiva, con quel volto di Cristo dal mento allungato, la fattezza di un contadino umbro. Il suo autore resta senza nome, come tanti artisti del luogo che si formarono nel cantiere di Giotto ad Assisi e che poi operarono nel perimetro di 200 chilometri, tra Umbria, Marche, alto Lazio e Abruzzo. Senza nome ma Maestri appunto, come li definì il Longhi certificando il loro valore. Maestro di Cesi, d’Alò, delle Palazze, di Fossa, autore quest’ultimo di una originalissima natività di legno policromo nella quale Maria è distesa, al pari di una matrona romana sul proprio sepolcro. Viene da Tolentino, nella Marche, a conferma della vocazione itinerante degli artisti dell’epoca. E da Scheggino, che ne offre anche una documentazione fotografica, partono gli itinerari alla riscoperta di un’eredità preziosa e irripetibile, anche se testimonianze importanti di questo patrimonio non saranno visibili a causa dei danni subiti dal terremoto. Così, accanto alla gigantografia della pieve di San Salvatore com’era, scorrono diapositive e foto da Leonessa e Nocera Umbra, da Acquasparta, Camerino, Cesi, Ferentillo, L’Aquila, Rieti, Sulmona… In tutto 29 comuni con 72 chiese e oltre cento tra opere e cicli pittorici. Il Belpaese ferito non finisce di incantare.