A proposito di “La Voce degli Occhi – Scampia”
Resistenza è una foto
Il fotografo Pino Guerra, con l'ausilio del poeta Davide Cerullo, racconta il mistero vitale di Scampia, delle Vele e della vita che vince la disperazione. Un libro che dimostra l'urgenza della fotografia nel tempo dei social media
Scorro sullo smartphone i post di Facebook, con l’impegno di chi sta perdendo tempo e mi imbatto nella foto di un ragazzino che mi guarda, mi fermo e ricambio lo sguardo. I social media sono sopraffatti da immagini, certo ogni medium oggi è inflazionato, moltiplicato, ma le parole scritte, anche sul display, le puoi saltare in blocco, mentre le immagini si presentano come un insieme e anche se non le vedi più, rimangono una sollecitazione retinica che si insinua dentro di te. L’impressione del già visto ed il senso di noia e quasi di inutilità di fronte a questo profluvio iconografico mi faceva rispondere, pochi giorni fa, insieme ad un altro fotografo di lunga carriera, ad un giovane attrezzato di reflex, che domandava perché fossimo senza macchina fotografica, che un vero fotografo ormai le foto non le fa più, le pensa solamente.
Ovviamente era una boutade, infatti quel bambino, fotografato seduto su una specie di trono su un ballatoio delle case a Vela della 167 di Scampia, che guarda con serietà, è la dimostrazione che di fotografie ce n’è ancora bisogno.
Che ha di speciale quella fotografia? Per alcuni forse potrebbe rimanere nel novero delle immagini a sfondo sociale, in bianco e nero, di una delle tante periferie italiane. Per me no. Quella immagine racconta, tanto per cominciare, la storia del rapporto tra il fotografo ed il fotografato. Pino Guerra, il fotografo, si è abbassato, si è posto all’altezza del ragazzino, da pari a pari e solo dopo ha scattato. Lo ha posto al centro dell’immagine, ben saldo sul suo trono, sulla convergenza delle linee di fuga disegnate dal cemento a vista che è stata (forse lo è ancora) la “cifra stilistica” dell’edilizia economica e popolare degli anni ’70 ed ’80, in Italia. Non si può andare oltre, la sedia occupa tutto il passaggio, il ragazzino ha la bocca serrata e le mani ben salde sui braccioli, non c’è pietismo, non c’è manierismo fotografico. In quella immagine c’è una sospensione di giudizio, che è un invito a proseguire il viaggio tra le altre fotografie e le parole, di Davide Cerullo, che proseguono parallele ad esse.
Non è facile oggi incontrare fotografie che narrino la storia di ciò o di chi è davanti all’obiettivo, basta fare un confronto con i “Long-Term Projects” del World Press Photo, dove autori di fama internazionale, che hanno realizzato reportage in posti remoti, raccontano con le fotografie più il loro virtuosismo nel costruire geometrie complesse e la capacità di intervenire in post-produzione con alterazioni cromatiche, che il mondo che gli è di fronte.
Pino Guerra, nato a Napoli, nel 1962, fotografo a largo spettro, dalla moda, alla pubblicità, al reportage, ha raggiunto l’obiettivo di raccontare “il mondo delle Vele” insieme alla penna di Davide Cerullo, (Napoli,1974), ex camorrista, ora anche lui fotografo e poeta, con il libro La Voce degli Occhi – Scampia. Viaggio fotografico nel mondo delle “Vele”.
Immagini e parole, assolutamente inscindibili, complementari che sono scaturite da una volontà di comunicare tra chi raccontava e chi si è fatto raccontare.
Scrive Cerullo: «Prima che con l’obiettivo della macchina fotografica, dovevamo metterci il cuore, perché quello ci vuole prima di tutto per frugare tra le croste spellate dell’animo… Era necessario capire che prima di mettere a fuoco e fare una fotografia, bisogna farsi piccoli e prossimi nel quotidiano, nelle relazioni vere con le persone, nella responsabilità del non manipolare le persone, ma onorarle insieme alle loro storie e dolore. Poi forse si può pure fotografare, ma dopo. Allora ci siamo messi a sentire, ad ascoltare voci, storie». E di storie se ne raccontano parecchie in quella sessantina di pagine dense in cui un medium si alterna all’altro e quello che hai davanti agli occhi non sai più se te lo stia narrando di più Davide Cerullo o Pino Guerra.
Quello che mi aveva colpito della prima fotografia è stato poi quello che ho trovato in tutte le altre seguenti immagini, ovvero l’onestà dell’approccio e della visione. «Non vi è immagine nella quale, alla crudezza della sua evidenza, non si contrapponga un segno di intatta purezza che questi protagonisti tuttora conservano, quasi un’ombra, forse il riflesso di uno sguardo che appare più “ragazzino” del lecito, nonostante le armi, nonostante la droga, nonostante quella vita brutta che scandisce la quotidiana esistenza dei piccoli eroi, positivi e negativi, di Scampia».
Si sfoglia il libro e ci si trova di fronte al bacio sulle labbra tra un giovane uomo, (Padre? Fratello maggiore?) e un bambinetto tenuto in braccio, i tatuaggi conferiscono forza simbolica ai bicipiti dell’uomo e ci si chiede se quel contatto di labbra non stia lì a significare un soffio vitale, un destino già segnato, nel bene o nel male. Comunque ci si trova di fronte ad un forte sentimento di amore e di riconoscimento reciproco. E poi a seguire, con sullo sfondo cemento e mille finestre, un pulcinella per ricordarci che siamo a Napoli e poi voltando pagina, un vetro con un foro di proiettile e aldilà delle crepe una “Vela” e di rimando un gruppo di giovani in fondo all’abisso dell’edificio che esibiscono collane d’oro e giubbini Gucci, per ricordarci che Gomorra non è un’invenzione, e poi i gruppi di famiglia intorno al tavolo dove nei volti di padri e madri sembra essere scritto il destino dei propri figli. Tutti si fanno fotografare perché la fotografia è una forma di attenzione e di rispetto, quando le finalità del lavoro sono condivise e la condivisione fotograficamente, tra fotografo e soggetto, ce la comunica anche la prossemica: Pino Guerra usa frequentemente un obiettivo grandangolare che gli consente di inserire, nell’inquadratura, molti elementi dello sfondo ed al tempo stesso di avvicinarsi al soggetto principale, così tanto da condizionarne anche le reazioni, la postura, gli sguardi, in una sorta di dialogo senza parole che conferisce, a chi è davanti all’obiettivo, la consapevolezza di essere il soggetto, l’interlocutore di un dialogo a cui è destinata l’ultima parola.
Il libro di Guerra e Cerullo, [erre] Edizioni, presentato nell’ultima settimana di giugno presso Il PAN, Palazzo Arti Napoli, è inserito in un progetto editoriale “(R)ESISTENZA” associazione di lotta alla illegalità e alla cultura camorristica, tanto che i proventi della vendita del libro saranno devoluti alle attività dell’associazione “Centro Insieme” dei bambini delle vele, con sede presso l’Officina delle Culture “Gelsomina Verde” ed è importante a questo proposito l’altro testo, inserito nel libro, di Eleonora de Majo che è dedicato a Vittorio Passeggio, l’uomo col megafono, lo storico portavoce del Comitato Vele-Scampia.
«Le vele sono un inferno senza Stato… I subalterni senza Stato chiusi come polli in batteria nei mostri di cemento dell’edilizia popolare, sono sempre serviti solo a diventare numeri stratosferici funzionali al consenso elettorale e a fornire manovalanza a basso costo, vite a perdere nella foga di profitto delle holding criminali».
In trentasei anni di lotte e di rivendicazioni il “Comitato di Lotta” degli abitanti delle vele, unica istituzione dei senza-Stato, non ha mai perso di vista l’obiettivo principale della sue vertenze: l’abbattimento delle stesse vele.
Suonano di auspicio, a tal proposito, le parole di Luigi De Magistris, sindaco di Napoli che nella prefazione al libro, afferma: «Lavoriamo con tutta l’urgenza necessaria affinché le parole di Davide Cerullo e le immagini di Pino Guerra siano una testimonianza del passato».