La Giornata Mondiale del Bacio
Mille e uno baci
Il 6 luglio è la Giornata Mondiale del Bacio: ennesima occasione per (s)vendere sentimenti e gadget, ma anche terreno di curiosità etno-antropologiche. E se si considerasse il rapporto tra il bacio e il teatro?
Ideata nel 1990, è ormai alla sua 28° ricorrenza: il 6 luglio è la Giornata Mondiale del Bacio. Ennesima occasione per commercializzare sentimenti e gadget, ma anche terreno di scontro tra civiltà. È gara all’ultimo post tra chi conta i muscoli impiegati nel gesto o le varianti del Kamasutra, tra chi raccoglie fotogrammi celebri e chi crea gallerie d’arte immaginarie a tema. E se si considerasse il bacio come forma simbolica? Il gesto è antico, ha attraversato i secoli e i popoli trasformandosi al variare delle stagioni dell’umanità. Fa parte della cultura occidentale in tutte le sue forme. Una storia dell’arte, persino, sarebbe possibile seguendo esclusivamente il fil rouge del binomio bacio-morte, Eros-Thanatos: dall’iconografia sacra del bacio traditore di Giuda a Cristo e dei baci appassionati e dolenti di Maddalena ai piedi della croce, fino a quel bacio tremante, galeotto e mortifero, degli amanti danteschi scolpiti nel marmo di Rodin o nell’Amore e Psiche di Canova al Louvre (nell’immagine di copertina).
Simbolo potente per l’ambivalenza delle sue allusioni e per l’intrinseca carica performativa, il bacio è preludio di amore o presagio di morte. A teatro, regno di ossimori, paradossi e fantasia, il bacio e la morte non è raro che convivano. «Thus with a kiss I die»: sono le parole con le quali Romeo si congeda dalla vita e dal suo amore nella cripta dei Capuleti. Con un bacio muore anche l’Otello verdiano quando, pugnale alla mano, bacia le labbra esanimi di Desdemona, vittima della sua iraconda gelosia: «Or morendo… nell’ombra… in cui mi giacio… / Un bacio…». Nel punto di massimo climax, poco prima che Melot sguaini la spada avviando il vortice di punizione e vendetta, il Tristan wagneriano deposita un bacio delicato sulla fronte di Isolde. Siamo a metà del secondo di tre atti e gli amanti sono ormai scoperti: tutto il resto dell’opera non sarà che un percorso di morte, o Liebestod, letteralmente “morte d’amore”. Ed è con un bacio alla mano di Mimì che, «amorosamente» (così le didascalie di Illica e Giacosa), Rodolfo affida tutta la sua tenerezza e tutta la sua commozione alla giovane consumata dalla tisi che intona «Ho tante cose che ti voglio dire, o una sola, ma grande come il mare».
Il bacio con il teatro non condivide solo gli spazi, ma un’attitudine specifica e strutturale a farsi simbolo, un significante capace di veicolare i significati più disparati. Forma arcaica di nutrimento che la madre adottava nei confronti del piccolo nella fase dello svezzamento, da mera e meccanica funzione individuata dagli antropologi il bacio si trasforma. Trasmigra dalla sfera naturale alla sfera culturale subisce una metamorfosi non dissimile al processo descritto da Erwin Panofsky in Studies in Iconology (1939) a proposito dell’azione di togliersi il cappello, in origine dimostrazione di intenzioni pacifiche del cavaliere che si scopriva il volto dall’elmo, poi forma di saluto. Come il teatro è porto di approdo sicuro per ogni genere di espressione dell’umano estro, intelletto, animo, così le mille e una forma del bacio. Come il teatro se-duce (letteralmente “porta a sé”) lo spettatore e, nella migliore delle ipotesi, lo cattura, lo ingloba nel suo universo di storie e di emozioni, così il bacio inganna e attrae. L’un partner se-duce l’altro, ne assorbe la fiducia e il piacere. Nel momento in cui ci si consegna al partner, o al teatro, si verifica una sospensione dell’incredulità, un annullamento del sé in virtù del quale ci si fa territorio neutro di accoglienza delle suggestioni che ci vengono dall’altro. Neutro, non passivo. Come il teatro, infatti, il bacio si presenta come una relazione sensoriale ed emozionale tra due poli, un patto di fiducia o un tacito inganno in cui sono ugualmente probabili la sorpresa e la delusione. L’amore e la morte.