Donne e Futurismo /1
La musa di porpora
Valentine De Saint Point fece dell’arte il suo codice identitario. Animatrice della scena intellettuale parigina inizio ‘900, impegnata sul versante della libertà al femminile, suscitò scalpore per le sue idee e per le sue pose. Frequentò i più grandi, stringendo con Marinetti una collaborazione scintillante
Le gesta di Valentine De Saint Point (Lione, 1875 – Il Cairo 1953) potrebbero fungere da soggetto cinematografico per almeno tre diverse fiction, basti dire che nasce col nome di Anne-Jeanne-Valentine-Marianne Desglans de Cessiat-Vercell e muore con quello di Raouhya Nour el Dine (Luce della religione, essenza dell’anima). L’energica, affascinante, eccentrica e anticonformista pronipote dello scrittore e statista Alphonse de Lamartine (sepolto nel paese montano di Saint Point, di cui fu “solo” nipote da parte della nonna de Cessiat, come ebbero a dire i suoi detrattori), sceglie l’arte come codice identitario, in una volontà di affermazione personale e al contempo di riflessione sul moderno ruolo della donna. Interpreta le inquietudini del primo Novecento interiorizzandole in forme di estetica e pensiero che vedono al primo posto l’autenticità e la libertà, insieme alla completezza dell’espressione artistica.
Due mariti, il primo dei quali, professore di letteratura francese in un liceo, sposa a 18 anni; tanti uomini, a cui lei ritenne di non dover mai essere vincolata, imbastendo relazioni libere fondate sulla condivisione dell’arte; la Muse Pourpre, così soprannominata per il colore dei suoi abiti, o Fille du Soleil, come la chiamò D’Annunzio, inizia a scrivere poesie fin da ragazza. Quando nel 5 giugno del 1900 sposerà il secondo marito Charles Dumont (che diventerà poi famoso uomo politico e senatore della Repubblica francese), si trasferisce a Parigi, frequentando e animando la scena intellettuale e artistica della Belle Époque. Inizia subito a collaborare a riviste e giornali tra cui “Le Figaro” e “La Nouvelle Revue”, ma anche la rivista “Poesia” di Marinetti a Parigi, scrivendo di poesia e di teatro; tra il 1906 e il 1912 pubblica una trilogia di romanzi (Trilogie de l’amour et de la mort) e raccolte poetiche (Poèmes de la Mer et du Soleil, 1905; Poèmes d’orgueil, 1908; La Soif et les Mirages, 1912); espone al Salon des Indipendents nel 1913.
Tra il 1910 e il 1911 tiene conferenze sul tema della donna in letteratura, contestando la scarsa definizione psicologica che la letteratura di tutti i tempi aveva affidato alle protagoniste femminili (con l’eccezione di Shakespeare). Scrive opere teatrali: Le dechu (che mette in scena a sue spese e che fa parte della trilogia Théâtre de la femme del 1909); L’agonie de Messaline, del 1914, che non andò in scena per l’irrompere della guerra e fu pubblicata nel 1929. Conosce Alphonse Mucha e Auguste Rodin (per cui posa nuda e con cui intratterrà un carteggio quindicennale); il musicista Erik Satie, e i futuristi Boccioni e Severini. Divorziata da Dumont già nel 1904, dopo essersi assunta tutte le colpe per l’abbandono del tetto coniugale e avendo così salvato la carriera politica dell’ex coniuge, la sua vita sociale è imperniata nell’immenso atelier di due piani al 19 di Rue di Tourville, dove organizza le sue famose Soirées Apolloniennes, a cui presenziano fino a 150 invitati.
L’incontro con Marinetti avviene nel 1911 presso Albert-Messein, editore di entrambi, ma la scintilla che avvierà la collaborazione tra i due s’accende durante una delle serate a casa di Valentine, il 17 febbraio 1912. Lo scintillante programma della serata prevedeva uno spettacolo di Maurice Saillard, attore del Boulevard parigino, su un testo di Rachilde (Le vendeur du Soleil); rappresentazioni musicali di Erik Satie, Maurice Ravel e Florent Schmitt, interpretate dagli autori stessi; due brani di Claude Debussy mimati da una ballerina dell’Opéra di Parigi; e infine la lettura di Marinetti di un suo poema, l’Ode à l’Automobile en course, e una lettura di una poesia di Valentine, l’Hymne du Soleil. Oltre a Boccioni, Severini e Libero Andreotti, erano presenti i più interessanti poeti, pittori e musicisti di Parigi.
Valentine partecipa a dibatti e conferenze, suscitando scalpore per le sue idee e per le sue pose: alla conferenza “La Femme et le Futurisme” del giugno 1912, l’artista si presenta in uno dei suoi abiti scarlatti con un enorme cappello dai grandi pennacchi, per l’occasione scortata da un plotone di variopinti futuristi: Marinetti in abito rosso sangue, Boccioni vestito alla cosacca; Balla in bianco e nero e Severini con un completo marrore all’ultima moda. Dopo aver cofirmato il Manifesto della pittura futurista dell’11 aprile 1911, in questi anni Valentine pubblica il Manifesto della donna futurista, del 25 marzo 1912, e poi il Manifesto della lussuria, dell’11 gennaio 1913, entrambi editi dalla Direzione del Movimento Futurista di Milano, prima in lingua francese, poi in altre lingue, tra cui il russo e il tedesco (per la rivista “Der Sturm”). La pubblicazione del Manifesto della lussuria, in risposta ai commenti della stampa sulle sue conferenze, dove si asserisce che la lussuria è la conoscenza carnale dell’ignoto per rimuovere la comune accezione morbosa della parola, suscitò varie reazioni, tra lo sdegnato e l’ammirato. Boccioni la inviterà al vernissage della sua mostra di scultura a Roma; Pratella scriverà per lei un brano musicale, La Guerra; e Marinetti la designerà responsabile della sezione Action féminine.
Il sodalizio con Marinetti non dura più di tre anni, ed è nel 20 dicembre 1913, presso il Théâtre des Champs Elysées, che l’artista mette in scena da sola la sua prima Métachorie, la nuova danza ideista da lei concepita come punto di congiunzione tra le arti e affermazione del corpo quale espressione di idee. Il nutrito pubblico contava tra gli altri Picasso, Rodin, Balilla Pratella, Marinetti, Ravel, Satie, Apollinaire, i Delaunay, D’Annunzio e infine Riciotto Canudo, il compagno con cui condividerà dieci intensi anni di produzione artistica. Insieme danno vita alla gazzetta d’arte “Montjoie!”, che pubblicano dal febbraio del 1913 al giugno 1914, dove Valentine si occupa prevalentemente della critica letteraria, celebre anche per le serate dei Lundis.
La prima guerra mondiale la vede volontaria nella Croce Rossa, nel tentativo di alleviare le sofferenze dei feriti negli ospedali e di organizzare raccolte di fondi. Ma è lei stessa a uscirne disillusa e profondamente cambiata, non riuscendo più a credere a nessun tipo di retorica della guerra come sacrificio eroico. Nel 1916 lascia Parigi per Barcellona e poi per New York, dove il 3 aprile 1917 interpreta un’ultima volta la Métachorie al Metropolitan di New York.
Tramontato il sogno di istituire in Corsica un centro per gli intellettuali di tutto il mondo, negli anni 20, dopo un viaggio in Marocco, si converte all’Islam e cambia nome. Da questo momento la sua vita trascorre all’insegna di azioni per trovare una possibile unione tra Oriente e Occidente, tra la spiritualità religiosa e la fredda credenza nella scienza. Lancia il giornale “Le Phoenix”. Si dedica anche alla condizione femminile musulmana, professando idee radicali che la rendono invisa sia agli occidentali che agli orientali: per lei non è possibile applicare la condizione della donna occidentale all’Islam, di cui anzi è opportuno recuperare la profonda dimensione spirituale. Muore sola e malata al Cairo il 28 marzo 1953 e, secondo le sue ultime volontà, viene sepolta col suo nome musulmano nella Città dei morti del Cairo, nel cimitero dell’Imam El Leissi.