A proposito dei "Racconti delle Cinque Terre”
Impressioni di mare
Cent'anni dopo, tornano in libreria i racconti di mare nei quali Ettore Cozzani cercava di individuare nelle Cinque Terre un pozzo di storie identitarie da salvare e trasmettere ai posteri
Le Cinque Terre, tre milioni di turisti l’anno, una delle località più visitate in Italia, una striscia di terra piccola di fronte al mare dove ogni giorno circolano diecimila persone. Eppure il loro fascino non finisce mai. E frotte di turisti giungono qui da ogni parte del mondo con navi da crociera, pullman, treni, battelli e persino a piedi. Ma come erano le Cinque Terre cento anni fa? Ce lo racconta Ettore Cozzani, (1884-1971), erudito intellettuale spezzino che divenne famoso con la rivista “L’Eroica” e che fu uno dei più appassionati nazionalisti e interventisti al tempo della prima guerra mondiale. Esattamente a cento dalla prima pubblicazione, le Edizioni Tarka, marchio del noto editore Franco Muzzio, ristampano il libro I racconti delle Cinque Terre di Ettore Cozzani, un affascinante viaggio a ritroso nel tempo in un luogo passato dalla dimensione paesana a quella internazionale nel giro di un secolo. Per gentile concessione dell’editore pubblichiamo parte della prefazione di Marco Ferrari, nostro collaboratore.
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Stupisce nel volume I racconti delle Cinque Terre il clima impressionista, quel cogliere la realtà con rapidi segni attraverso la percezione dei sensi, in questo caso della penna. L’impressionismo di Cozzani assomiglia al decadentismo di Gauguin o ai versi di Myricae di Pascoli. Cozzani si ritenne per tutta la vita un discepolo del romagnolo e dedicò alla sua figura una delle sue più impegnative opere letterarie, uno studio in cinque volumi pubblicato tra il 1937 e il 1955. Il paesaggio delle Cinque Terre, come quello della Garfagnana di Pascoli, permea il modo di vita, lo plasma, ma soprattutto determina lo stato d’animo dei personaggi. C’è una assimilazione tra la maniera di sentire e la maniera di vivere, tra coscienza e paesaggio. A quel punto lo stile di Cozzani deborda in un dannunzianesimo assolutamente lirico, come nel caso del racconto d’esordio “L’amante dei venti” e in quello finale,” L’amante delle nuvole”, già avvicinabili nel titolo. In mezzo c’è un insieme di personaggi che potrebbero stare benissimo dentro i racconti di Guy de Maupassant con quel tocco di naturalismo che già il paesaggio ligure configura come terreno di passioni senza indulgenza e grandezza romantica. Le sue figure superano l’influenza dalla “macchia” per collegarsi stabilmente ad un realismo luminoso di bellezza sensuale e di crude espressioni fisiche dalle quale traspare, come nei romanzi di Conrad, la precoce influenza di Freud e la scoperta della psiche. Ne è esempio concreto il protagonista del raccolto L’organista così descritto: «Saliva accosto al muro, afferrandosi con una mano alle sporgenze: aveva nell’anima un trambusto, che la fatica fisica rendeva più aggrovigliato e oscuro».
Cozzani ha già assimilato la lezione del verismo inserendosi in quel clima positivista che determinerà l’inizio del Novecento. Lo si capisce nel racconto Domenico-padre dedicato ai pescatori di acciughe di Monterosso.
Parroci, sacrestani, sindaci, segretari comunali, medici di campagna, presidenti di confraternite contornano, come nei romanzi storici di Andrea Camilleri, i semplici personaggi dei racconti, quasi sempre umili, ultimi, passivi, dimenticati dalla storia oppure laboriose ragazze e donne che fanno le ricamatrici o salano le acciughe, mai stanche, mai dome, ma anche vogliose di carezze e tenerezze rispetto a uomini rudi, complessi, silenziosi, incapaci di scoprire il proprio io interiore, un enigma irrisolto, quasi un doppio alla Maupassant che li rode dall’interno del loro corpo. I fermenti amorosi spingono spesso a incauti passi in un limbo in cui la modernità incalza ma l’arcaicità del sistema sociale sembra bloccarla. Così nel racconto Adolescenze l’amore tra Alberto e Nerina è limitato dalla malattia di lei; nell’Anadiomene, dall’intenso sapore dannunziano, anche tra fratelli può scoppiare una certa tensione erotica che resta sospesa per tutto il racconto come una lama sottile che spalma la cioccolata sul pane. Ma anche il racconto “Il miracolo” è attraversato da questo senso di liberazione dalla tradizione sociale che si respirava dopo la conclusione della prima guerra mondiale quando la necessità di dimenticare i lutti subiti portava al desiderio di una nuova Belle Époque. La storia delle sorelle che si emancipano sino a sciupare la loro gioventù e a ravvedersi è sì una consacrazione del valore simbolico della Madonna di Montenero, ma è anche un inno alla voglia di liberazione trattenuta dall’allora società arcaica delle Cinque Terre, così in contrasto con l’evoluzionistica esistenza urbana.
Queste Cinque Terre di Cozzani sono ancora un mondo a parte, non toccato dai bagnanti che negli anni cinquanta affollavano le spiagge né dal turismo l’élite degli anni settanta che le trasformarono in un luogo di mode culturali né tantomeno dal turismo internazionale che la nascita del Parco Nazionale fa favorito sino agli attuali ingorghi di persone.
Come ne Il regno perduto, questi racconti di Cozzani testimoniano l’intuizione dell’autore di individuare nelle Cinque Terre un pozzo di storie identitarie da salvare e trasmettere ai posteri prima che i modi di vita cambiassero inevitabilmente questo paesaggio antropico e umano. Si resta allora stupidi dalle caratterizzazioni dei personaggi scelti con cura da Cozzani: come uno sceneggiatore disegna facce e corpi, pregi e difetti, sogni e manchevolezze di un ambiente che appare diverso dal resto del territorio. Non c’è contaminazione e non c’è arrendevolezza rispetto a quello che all’epoca veniva chiamato “progresso”: le abitudini e le interazioni sociali qui vanno con i loro ritmi e neppure la rampante psicoanalisi può spiegare questi meccanismi umani. Ai protagonisti dei racconti, in fondo, Cozzani chiede di preservare la disponibilità a strascichi affettivi, ma con un livello emozionale adatta al loro stato spirituale in maniera da conservare l’integrità.
In questo ambiente a se stante che sono le Cinque Terre di inizio Novecento di certo la poesia del paesaggio segna lo scorrere del tempo nelle stagioni dell’uva e della pesca, delle scampagnate e delle feste dei santuari. Il mare viene visto come una necessità lavorativa, sia che ci si dedichi alla navigazione che alla pesca. Non c’è ancora la scoperta del mare come necessità fisica o di svago. I borghi sono luoghi chiusi che sviluppano quasi inconsciamente passioni e sentimenti a cui non si può dare una spiegazione. Quasi un rifugio per Cozzani che doveva fare i conti con la città nuova della Spezia, in cui era nato e viveva, cresciuta in fretta, con una folta massa di lavoratori, predisposta alla conflittualità, culla delle idee progressiste e anarchiche ma anche del militarismo italiano, pronta a quelle radicalizzazioni che di lì a poco avranno la preminenza nel secolo breve. Logico quindi che il rifugio delle Cinque Terre, passando l’estate a Vernazza, sprigioni in lui pulsioni interiori e passionali che diventano la base stessa del suo sentire letterario. Al decadentismo dei suoi Poemetti Notturni del 1920, dedicati alla memoria dei genitori, Valdemira Ricco e Leonardo Cozzani, e il più noto lavoro, Il Poema del mare del 1928, il Cozzani novellista non sembra avere troppe illusioni sul culto degli eroi che invece caratterizzò la parte finale del suo pensiero. Qui non c’è nessuna virtù militare o profetica e neppure la forza di ascese sociali e politiche, c’è l’immediatezza del paesaggio con le sue fascinazioni spesso inesplicabili che porta gli uomini e le donne a scelte azzardate, dettate dal destino, sia laico che religioso, una mano impalpabile che si stende su esistenze minute e semplici ma con una profonda interiorità. Una spontaneità che mette apprensione per ciò che potrebbe far scaturire. In fondo una diffidenza verso l’emozione che è paura di se stessi, comprensibile in quegli anni di stordimento emotivo per la guerra appena patita e per gli assolutismi che stanno per configurarsi in Europa. I fantasmi erano oramai alle porte.