Every beat of my heart
Platone e lo Zen
Secondo Roberto Mussapi, tra gli autori “sopravvalutati” a Hermann Hesse va riconosciuto un posto speciale. Ci ha insegnato ad attingere all’Oriente con sguardo occidentale, senza impassibilità ma anzi realizzando uno scambio, un dono all’altro di sé e a se stessi dell’altro
Esistono poeti e scrittori sopravvalutati in certe epoche, per ragioni di sentimento del tempo: negli anni Sessanta Pablo Neruda, poeta dell’amore e della donna, nonché fiero Premio Stalin, indubbiamente poeta, ma appunto sopravvalutato rispetto ai contemporanei Ungaretti, Montale, Benn, Bonnefoy. Negli stessi anni il sopravvalutato per antonomasia, il truce e “peso”- con l’intraducibile e inarrivabile aggettivo dei bolognesi – Brecht, una bufala propinata con astuzia. Negli stessi anni Sessanta invece non fu sopravvalutato Jack Kerouack: On the road fonde sogno d’avventura e delusione donchisciottesca, tragedia e scoramento in forma perdurante, mentre i poeti della Beat Generation, a lui collegati giustamente per ragioni storiche e culturali, non valgono nulla, i Corso, i Ferlinghetti, non hanno spessore poetico, e il solo Allen Ginsberg vale, ma più per la personalità e l’intelligenza e la forza intellettuale che per i versi.
Dylan Thomas, il bardo gallese, raggiunse fama universale, impensabile per un poeta, ma non fu sopravvalutato abbastanza. Splende tra gli astri.
I giovani che si ribellavano al mondo borghese neoindustriale nella forma nascente, e che oggi è obesa e marcescente con l’amorfo consenso dei giovani, sognavano con Kerouac, che presagiva la tragedia, e con Herman Hesse, che indicava una via di salvezza guardando a Oriente. Ecco, forse, come Kerouac, Hesse fu sopravvalutato, come pure Gibran, ma sia lodato il Cielo. Nel senso che, passati quegli anni, non risulta, oggi, al pari di Gibran e dell’americano di Sulla strada, uno scrittore assoluto, in qualche modo già classico, come invece sono classici Eliot, Yeats, Hemingway, Fitzgerald, Beckett, Fenoglio.
Ma resta come gli altri due un autore graziante, a cui la nostra anima può ancora attingere, per rinfrescarsi e sperare. Graziante e da ringraziare.
In questi versi leggiamo lo Zen visto da occhi occidentali, consapevolmente. Non una finta immersione in un pensiero che non ci appartiene, ma una immedesimazione. Uno nell’altro, per trovare se stessi.
Apparenza e Essere sono enunciati nella forma Zen, ma con la passione di Socrate e Platone, con il tremito occidentale e leopardiano, lontano dall’atarassia del pensatore orientale. Questa è immedesimazione, questo è scambio, questo significa tradurre. Fare l’altro di sé e se stesso dell’altro.
Giovane novizio in un convento Zen
Tutto è inganno e illusione,
la verità è inesprimibile:
ma dentellato il monte mi guarda
ed è ben riconoscibile.
Capro, corvo, rosa rossa,
blu del mare, colori e forme.
Raccogliti: si disfaranno
dentro l’anonimo e l’informe.
Raccogliti: rientra in te,
impara a guardare, a leggere.
Raccogliti: il mondo sarà Apparenza,
l’Apparenza sarà l’Essere.
Hermann Hesse
Febbraio 1961
(Traduzione di Sergio Solmi)