Nicola Fano
A proposito de "La famiglia F."

L’Italia dell’élite Foa

Anna Foa ricostruisce la storia della sua famiglia, dall'ultimo scorcio dell'Ottocento alla caduta del Muro. Il ritratto di una élite morale nella cui sconfitta c'è una possibile chiave di interpretazione della palude etica del nostro oggi

La famiglia F. di Anna Foa (Laterza, 175 pagine, 16 Euro) è un libro che – per contrasto – può essere utile a capire che cosa sia successo in Italia negli ultimi anni. I fatti sono sotto gli occhi di tutti e sono, apparentemente, semplici: seguendo dei segnali lanciati altrove nell’Occidente, l’Italia sta sperimentando da protagonista un trapasso storico da un’epoca secolare contrassegnata dal primato dell’Illuminismo (ossia la convinzione che il progresso umano debba passare attraverso libertà, fratellanza e uguaglianza) a qualcosa di ignoto dove quei tre principi sono o superflui o, peggio, dannosi. Ciò che accade da noi – con la negazione del principio di solidarietà (fratellanza) e di quello di libertà (che di fatto per tre secoli ha coinciso con la necessità di formare le coscienze, singole o collettive) – come sempre nella nostra storia ha i caratteri di una tragica farsa: tali sono, per esempio, i penosi proclami del nostro nuovo uomo forte che tuona contro i giganti Tunisia e Malta; tali le autistiche (in quanto malauguratamente irrealizzabili) dichiarazioni di intenti messe in fila dall’azzimato vicepremier grillino. Ben altro spessore, per dire, ha il piglio alla Disney ostentato dall’attuale presidente degli Stati Uniti il quale finanche nelle espressioni facciali pare più un supereroe a fumetti che quella macchina complessa in carne, sangue e cervello che è l’uomo.

Pace. Questo sta succedendo. Dove, come e quando finirà questo processo di ritorno alla storia pre-moderna non si sa. Solo possiamo chiederci: perché è successo questo? Perché l’Occidente, un certo giorno, ha deciso di fare marcia indietro e legittimare l’odio e il privilegio? Solo una questione di potere? (Il potere, tout court, hanno inseguito per oltre ottanta giorni i grillini cercando di allearsi con chiunque, purché fosse, al di là del merito degli obiettivi sociali e politici da raggiungere). Solo una questione di denaro? (Il denaro, banalmente, ha inseguito per tre decenni Silvio Berlusconi, smontando passo dopo passo tutte le barricate che i padri costituenti avevano edificato a difesa dei tre principi di libertà, uguaglianza e fratellanza). E, soprattutto, perché tutti gli altri se ne sono stati fermi a guardare, a seguire l’onda o, peggio, ad assentire con la testa?

Ecco che si può finalmente parlare del libro di Anna Foa. Si tratta di un’autobiografia di famiglia, evidentemente, che va ad arricchire una biblioteca di autobiografie piuttosto nutrita, dal momento che, per esempio, entrambi i genitori dell’autrice (Vittorio Foa, nella foto e Lisa Giua) avevano già scritto la propria autobiografia. Come pure ricche pagine della vita pubblica e privata della famiglia Foa (con addentellati che vanno dai Luzzati ai Giua, passando per Primo Levi o Natalia Ginzburg) già popolavano numerose altre autobiografie. Dunque, in questo libro prende il sopravvento una sorta di autoritratto di una élite. Ossia quella che dal trapasso tra Ottocento e Novecento in avanti, fino alla ricostruzione dopo la Seconda Guerra e oltre alla vigilia della caduta del comunismo ha tenuto in mano le redini morali del nostro Paese. Essendo qui intesa la parola morale non nel senso del “pubblico senso del pudore” come ormai viene erroneamente considerata, ma nel senso di etica, ragione di vita all’indirizzo di un miglioramento globale di se stessi e della società contemporaneamente. Insomma, parlo della morale di Vittorio Alfieri, per tornare alla matrice illuminista (e piemontese, nel caso dei Foa) del ragionamento. E, dunque, completata la lettura del libro (per altro avvincente e consigliabile in sé) la domanda che sorge spontanea è: quando è stato che questa élite morale ha smesso di influenzare la società italiana? E perché?

È una domanda che l’autrice – di professione storica, con un passato politicamente multiforme, ma tutto a sinistra del Pci e succedanei – non si pone. Tuttavia è impossibile che non si sia consapevolmente adoperata per suscitarla. Per cui occorre dire qualcosa di più sulla storia dei Foa prima di tentare una risposta. Al centro della narrazione ci sono Vittorio Foa e sua moglie Lisa Giua. Il primo è stato tra i fondatori di Giustizia e libertà: è stato cioè fierissimo antifascista (nove anni in carcere) prima di passare alla lotta armata; quindi è stato il tempo dell’Assemblea Costituente e del successivo impegno nel mondo sindacale come leader della componente non comunista della Cgil. Dopo di che, la sua attività politica si è riverberata nella creazione di una serie di partiti sempre più piccoli (e sempre meno in contatto con complessità della realtà sociale italiana, dal Psiup al Pdup) a sinistra del Pci. Finché è commovente, nel ricordo della figlia Anna, la risoluzione di Vittorio Foa, a sessant’anni, di lasciare il sindacato e di «mettersi a studiare, ossia a insegnare». Perché in questa equazione (insegnare=studiare) c’è tutto il senso della lezione etica del personaggio. La madre dell’autrice, invece, è stata giornalista, esperta di temi internazionali, di Urss, poi di dissidenza e infine di lotta al colonialismo in Africa: la sua storia politica è sempre stata fuori dai partiti “istituzionali” con una prevalenza per Lotta Continua. Insomma, siamo nel cuore del Novecento rosso italiano, quello degli intellettuali capaci di predicare la complessità delle cose. E perciò la domanda dalla quale siamo partiti è ancora più bruciante: perché? Perché questa élite ha perso la bussola, consegnando il paese ai pupazzi eterodiretti di oggi?

Personalmente, mi ha colpito un passaggio del libro, quando Anna Foa annuncia con evidente soddisfazione che negli anni Settanta (chiusa la parentesi del Sessantotto, si direbbe senza farci fino in fondo i conti), nella famiglia Foa si aprì la stagione terzomondista. Forse è proprio in questa tenace, lodevole ricerca di nuove frontiere, nuovi interessi, nuovi mondi da conoscere e interpretare la ragione della sconfitta: fu così che questa élite perse il contatto con la realtà; proprio dando per scontata la conquista della libertà, dell’uguaglianza e della fratellanza in casa (ossia andando a predicarla altrove), costoro hanno abbassato le difese e hanno lasciato passare il germe dell’odio e dell’egoismo. Il risultato non è solo – oggi – che il “capitalismo” ha vinto: il risultato è che ha vinto il valore della supremazia di uno sull’altro. Questo è il palese “valore” propugnato dai sostenitori di Salvini e questo è il supposto primato dei grillini (loro puri, loro onesti, loro felicemente ignoranti della realtà complessa) rispetto a tutti gli altri. Quelle ormai vecchie élite hanno guardato altrove con un atteggiamento che da molti è stato interpretato di supponenza. E la realtà ha finito per allontanarsi da loro in modo inesorabile. Salvo che a pagarne le conseguenze non sono solo loro, le ex élite.

PS. Devo fare una coda personale a queste considerazioni. Tra i Foa raccontati in questo libro c’è anche Renzo Foa, morto ora son quasi dieci anni: è stato un grande giornalista, direttore de l’Unità finché non fu silurato dai post comunisti che pure egli considerava la sua famiglia naturale. E, da quel momento in poi, ha vissuto una seconda vita, travagliata, nel campo opposto, tentando drammaticamente di mantenere comunque fede ai propri principi. Sono stato allievo e amico di Renzo per tanti anni, fino a sentirlo e viverlo un po’ come un fratello maggiore. Ho visto da vicino il suo dolore quando gli venne tolta l’Unità e ho ammirato la fierezza con la quale – senza mai rinunciare alle sue idee – ha affrontato il pericolo di militare tra gli ex avversari. Ricordo le invidie e le ingiurie volgari che l’hanno accompagnato. E ricordo anche che fu proprio lui ad attribuire con lucidità ai suoi compagni di strada di un tempo – l’élite della sinistra – la responsabilità di non aver più saputo cogliere la complessità della realtà. Della realtà italiana, voglio dire. Fatta, sì, di Bossi e Berlusconi, ma anche di D’Alema e Veltroni che di Berlusconi sono stati una pallida, penosa macchiettistica imitazione. E ricordo come si ritrovò solo quando tentò di arginare questa deriva della nostra società politica. Ecco, ho letto con avidità il libro di Anna Foa anche per ritrovare l’eresia di Renzo, ma vi ho trovato solo molto, profondo affetto: il pensiero e il personaggio politico restano ancora da ristudiare.

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