Pier Mario Fasanotti
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Camilleri in scena

Tre gialli per l'estate: un'inchiesta "teatrale" per il commissario Montalbano invecchiato ad arte da Andrea Camilleri; un giallo portoghese per Giovanni Valentini e un furto sul treno Alta Velocità per Antonio Manzini

Teatro. Gliel’ha suggerito la moglie, ma era inevitabile che Andrea Camilleri prima o poi inserisse l’ambiente teatrale in un suo romanzo. L’ha fatto con Il metodo Catalanotti (Sellerio, 291 pag., 14 euro). Del resto per una vita intera si è occupato di regia, copioni e attori. Il racconto s’inizia con due cadaveri. Uno dei due è Carmelo Catalanotti, usuraio e anche semi-impresario e semi-regista. Una schizofrenia di vita. L’autore indaga ed è curioso nel delineare una figura complessa. Gli indiziati sono tanti.

Il commissario Montalbano è invecchiato, la noiosa fidanzata Livia gli impone da lontano una dieta, spesso disattesa da un uomo che, pur consapevole di alcuni acciacchi, non rinuncia alla libertà di scelta. L’avanzare degli anni lo induce a comportarsi da adolescente con un “amorazzo“ (bellissima, e capo della Scientifica). Lo stesso vale per l’abbigliamento, tanto è vero che si veste da figurino. Lo sfondo narrativo riguarda il sociale. L’autore commenta le novità politiche italiane: «Avrebbiro continuato a diri di NO a ogni cosa, nella speranza di arrinesciri accussì il potiri per po’ finiri come a tutti l’autri». Insiste sulla disoccupazione e altri temi scottanti del nostro paese. Un romanzo aggrovigliato e affascinante, forse con troppi personaggi e scenari.

Nobiltà. Caso intricato con un morto. E c’entra il sesso. La vicenda si svolge in Portogallo. Se ne occupa, a parte la polizia, il giornalista in pensione Alfonso Delgado, romano ma con antenati lusitani. Il personaggio, molto narciso, è stato creato da Giovanni Valentini, già firma di La Repubblica, in La donna nella valigia (edizioni Sem, 158 pag., 15 euro). Delgado, su una spiaggia dell’Algarve con la moglie, è incuriosito da un trolley. Lo apre e vi trova un cadavere femminile. Il poliziotto di turno gli chiede un aiuto visto che la nave, da cui la valigia è stata buttata, è italiana. Un po’ inconsueto che un giornalista abbia così tanta fiducia da parte delle autorità di Lisbona. Ma tant’è. Il giornalista torna in Italia e intervista il marito della vittima, un conte. Si dipana così la trama, che richiama a casi analoghi (per esempio il nazista Kappler fuggito da un ospedale del Celio). Un’intervista fa da apripista.

Il treno. Come sanno i lettori (e coloro che hanno seguito il serial tv) di Antonio Manzini, il vice-questore Rocco Schiavone, romano, lavora da “esiliato“ alla Questura di Aosta. Linguaggio scurrile, pessimo carattere ma ottimo investigatore, ha in odio il clima alpino e detesta la neve. Ecco perché quando ha un’occasione per tornare nella sua amata città, non foss’altro che per una riunione condominiale a Monteverde Vecchio, coglie la palla al balzo. Non passano molte ore e sul Frecciarossa muore d’infarto una donna anziana dopo aver scoperto che qualcuno le ha rubato gioielli preziosissimi. Inizia la caccia al colpevole. Al suo fianco il personale del treno che spulcia l’elenco viaggiatori e due agenti della Polfer saliti, per emergenza, a Bologna. Un lavoro certosino in uno dei cinque racconti intitolato Senza fermate intermedie nella raccolta L’anello mancante (Sellerio, 244 pag., 14 euro). L’indagine è complicata visto che i viaggiatori sono ben 300. Controlli incrociati, raffiche di domande e alcune venature comiche. Lo Schiavone televisivo ha subito una marea di critiche e pure un’interrogazione parlamentare. Quello cartaceo diverte, anche perché siamo noi a immaginarlo.

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