“La guerra dei like” di Alessia Cruciani
Social network: istruzioni per l’uso
L’autrice racconta come, attraverso una storia esemplare di cyberbullismo destinata ai teenagers, abbia tentato di renderli consapevoli delle loro debolezze spesso pericolosamente mascherate. Così tanto che gli adulti non sanno intercettarle
Un social network può uccidere? La tematica è forte e attuale quanto la risposta, perché se è vero che forme di bullismo più o meno velate ci sono sempre state, mai come ai nostri giorni Facebook e i social network possono trasformarsi in uno strumento di morte. La verità è che non è criminale il social di per sé, ma coloro che lo usano per colpire attraverso foto, bugie, inganni, le persone che hanno preso di mira. Che cosa può scatenare tale gratuita crudeltà? Quasi sempre il rancore e l’invidia. Possiamo aggiungere stupidità, superficialità, arroganza. Non è un caso se nella Divina Commedia Dante ha rappresentato gli invidiosi con gli occhi cuciti da filo di ferro per impedire loro di vedere.
Il romanzo di Alessia Cruciani La guerra dei like (Piemme, Il Battello a Vapore, ill. Giulia Sagramola, 237 pagine, 15 euro) affronta questo scottante argomento con una scansione rapida delle scene di vita quotidiana di un gruppo di ragazzini di terza media che comunicano soprattutto inviandosi in forma quasi maniacale i like attraverso gli smartfone. Usano nomi simbolo che conoscono solo loro e in cui si identificano, per esempio la “bulla” più aggressiva e attraente è chiamata la Divina Faina, poi c’è la Cicala, l’Acidella, Justin Bomber, il più bello della classe; Saittastaizitta è Cristiana che deve scontare la terribile colpa di piacere al Bomber ed è la principale protagonista insieme a Ruggero, il più bravo della classe, ma bassino e magrino e quindi zimbello della gang dei Fulminati Spettinati che gli affibbiano il soprannome di Ruggero Gattonero, accusandolo di essere lo iettatore della scuola media Matteotti. Il risultato è agghiacciante perché il mondo virtuale che si delinea ha effetti sconvolgenti su quello reale. È appunto “la guerra dei like”. Sia per Cristiana, futura promessa della danza classica, che per Ruggero, amici ed entrambi oggetto di invidia da parte degli altri, la vita all’interno delle aule scolastiche si trasformerà in un crescendo di ignobili violenze fisiche e psicologiche, in un vero e proprio incubo.
Ho chiesto all’autrice che cosa l’abbia spinta a scrivere questo libro. «Anzitutto mi ha colpito il termine “like”, mi piace», risponde. «Chi ha più like positivi, faccine sorridenti, diventa più conosciuto, si pone al centro dell’attenzione ed è quello che i ragazzi oggi vogliono, essere notati. Fin dalla prima media cominciano a usare infatti Instagram e whatsApp, si postano e si misurano in base ai like. Chi incamera più faccine sorridenti diventa popolare».
Si è ispirata a personaggi reali?
Cristiana e Ruggero li ho creati io, con l’eccezione di Daniele Doesn’t Matter, ma i fatti narrati nel libro sono realmente accaduti, ripresi dalla nostra realtà.
Quello che colpisce è il tripudio di esibizionismo degli adolescenti per cui spesso avviene che i più sensibili rischiano di perdere fiducia in se stessi, demoralizzarsi. Perché ha scelto la voce narrante in seconda persona?
È una sorta di coscienza sempre presente che chiarisce e indirizza il lettore. Per esempio gli insegnanti sono chiamati lo Sceriffo e la Svampita. Lo Sceriffo è stato scelto come referente scolastico nella lotta al bullismo e al cyberbullismo per le sue qualità di educatore e la sua determinazione a capire questi giovanissimi, così sbandati, soli e spesso crudeli fino alla disumanità. Di chi è la colpa? Dei tempi, dei genitori, della scuola? Vero è che spesso gli adulti non sono in grado di ascoltare e confrontarsi con loro.
Non sarebbe più adatta una persona laureata in psicologia, quindi con competenze specifiche, a ricoprire questo ruolo?
Sicuramente aiuterebbe sia i bulli che le bulle, deboli e insicuri e proprio per questo rancorosi con gli altri e pronti a colpire. Il linguaggio di tanti ragazzi è in codice e spesso sottintende una nascosta violenza. Alla fine del libro ho inserito una specie di decalogo per usare in modo consapevole i social e quando ci si trova in difficoltà chiedere aiuto ai genitori, agli amici, agli insegnanti. Occorre comunicare, non avere paura di parlare.
Forse non è solo un problema di linguaggio ma anche di incapacità di ascoltare da parte degli adulti, troppo presi dalle loro occupazioni, e anche in buona fede per garantire ai loro figli tutto quello che desiderano…
La scuola spesso arriva in ritardo dinanzi a scelte drammatiche perché i professori sono poco interessati alla vita privata degli alunni fuori dagli orari scolastici. I ragazzi, tanto più se giovanissimi, devono avere la sensazione di potersi fidare, di essere sicuri che chi li ascolta non giudica, ma è lì per aiutare e trovare soluzioni alternative e risolutive.