Cristina La Bella
A proposito di "Sull'orlo del cratere”

L’Italia di Malerba

A dieci anni dalla scomparsa, Mondadori ripubblica i racconti sparsi di Luigi Malerba. Tra fantascienza e riflessione storica, il grande scrittore ci consegna uno spaccato italiano di grande attualità

L’otto maggio del 2008 muore nel sonno nella sua casa romana in via della Domus Aurea Luigi Malerba, scrittore vicino alla neoavanguardia, sceneggiatore e soggettista, giornalista, autore di raccolte di racconti come La scoperta dell’alfabeto, il libro con cui ha esordito nel 1963, e romanzi sperimentali quali Il serpente (1966), Salto mortale (1968) e Il protagonista (1973). A dieci anni dalla scomparsa, Mondadori pubblica Sull’orlo del cratere, un volume al quale Malerba stava lavorando negli ultimi mesi di vita. Il libro mette insieme una serie di racconti già apparsi su quotidiani e riviste che mettono in luce alcuni temi ricorrenti della narrativa malerbiana: la passione per il cinema, l’inclinazione al paradosso, l’interesse per l’ambiente, il sogno e il legame viscerale con il mondo contadino.

Come si legge nella quarta di copertina: «Sono storie grottesche, stranianti, nelle quali il comico del singolo individuo riesce a far esplodere un’intera società disumanizzata fatta di burocrazia e tecnologia. L’immagine che ne risulta è quella di un Malerba autore di imprevedibili varchi, insieme sferzante e delicato, pronto allo sdegno e all’invettiva come all’ironia più discreta e sorridente».

Costituito da trentaquattro testi, il volume si apre con il racconto eponimo Sull’orlo del cratere, uscito il 10 dicembre 1983 su “La Repubblica”, nell’inserto culturale dedicato al fatidico anno del capolavoro di George Orwell 1984, col titolo di 4891, che si noterà sono i numeri capovolti sia del titolo (1984) sia dell’anno di composizione (1948) del romanzo di Orwell, come osserva nell’introduzione alla raccolta il curatore Gino Ruozzi, professore di Letteratura italiana all’Università di Bologna. Sulla scia di quella società totalitaria immaginata dallo scrittore britannico, Malerba confeziona un racconto – per certi versi leopardiano, che ricorda vagamente le più sarcastiche delle Operette morali – ambientato in un futuro 4891, che ha per protagonista un professore di «passatoremotologia» (uno dei tanti neologismi di Malerba, che amava giocare con le parole della lingua italiana e del dialetto!), il quale è impegnato nello studio di società antiche e primitive. Naturalmente, l’età da osservare è la nostra ed è curioso vedere come persino gli studiosi più accreditati prendano degli strafalcioni: così Addis Abeba è scambiata per un filosofo greco, Cicerone per la capitale della Finlandia.

Poche righe che lasciano intravedere da un lato l’interesse di Malerba per la storia, dall’altro la critica verso tutta quella schiera di pseudo intellettuali che credono di essere detentori di verità assolute. E se avessimo anche noi una visione distorta del passato? Lo scrittore insinua il dubbio. Del resto non sarebbe la prima volta: Malerba si divertiva continuamente a stuzzicare il lettore con i suoi libri proprio perché questi dubitasse di tutto.

Così ne La coda, pubblicato sul settimanale “Il Mondo” nel ’74, ma che sembra perfetto per i giorni nostri, lo scrittore di Berceto narra di un diverso, la storia di un impiegato che possiede una coda ed è stanco di nasconderla agli altri. Purtroppo il protagonista, Barberis, scoprirà a sue spese che «avere la coda è come avere la lebbra, anche peggio». Altrettanto attuali sono La rosa romana, uscito su “Il Giornale di Italia” l’8 novembre 1964, che racconta di un fiore particolare che «ha bisogno di raccomandazioni per crescere, per diventare grande (…) e più queste sono importanti e più cresce, ma esse devono essere sincere, calorose»; e Lo scrittore teleguidato, pubblicato sempre su “Il Giornale di Italia”, ma l’anno successivo, che narra di uno scrittore appunto, originario di Guastalla, che pur di vendere si lascia guidare al telefono dal suo editore milanese. Ma Malerba non attacca ironicamente soltanto il mondo dell’editoria, il bersaglio suo prediletto resta il cinema, che è una sorta di microcosmo, in cui più chiaramente vengono a galla vizi e virtù degli uomini. Non dimentichiamoci, infatti, che Malerba lascia Parma e parte alla volta di Roma proprio perché affascinato dalle luci di Cinecittà, che per molti nel dopoguerra rappresentava un’occasione di riscatto, fama, soldi facili, auto di lusso, feste. Sono gli anni di Bellissima di Luchino Visconti, film rappresentativo di un’Italia che sogna, dopo essersi buttata alle spalle gli orrori dei bombardamenti, la miseria e le donne pronte a prostituirsi per sfamare i figli, ma anche gli anni de La dolce vita di Federico Fellini, delle serate lungo il Tevere a far baldoria, dei lunghi pomeriggi a casa di Cesare Zavattini, punto di riferimento per chiunque volesse iniziare a muovere i primi passi nel cinema, e delle ore trascorse tra un teatro di posa e l’altro.

È una realtà che il Malerba sceneggiatore conosce bene e che il Malerba scrittore sa raccontare come nessuno. Da questo clima nascono i racconti: Il Palinsesto, Quelli del cinema, Cinecittà e dintorni e Viva Stanislawskij, riuniti proprio nel libro, e il romanzo epistolare Le lettere di Ottavia, uscito a puntate su “Cinema nuovo” nel ’56, pubblicato in volume nel 2004 da Archinto editore e ristampato proprio quest’anno.

Nonsense, humor e paradosso sono le armi che hanno reso Malerba una delle penne più felici del Novecento, uno scrittore straordinario, al quale va riconosciuto un grande merito: aver saputo rappresentare con ironia le inquietudini dell’uomo contemporaneo.

Sull’orlo del cratere sarà presentato il 25 maggio a Trani e il 26 giugno a Milano.

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