Alessandro Boschi
Fuori dal Palais des Festivals

La serenità di Olmi

Visto da Cannes, il grande talento di Ermanno Olmi appare non solo come un esempio (cinematografico) da inseguire, ma anche come una magnifica lezione di stile di vita

Ma davvero the show must go on? Davvero dobbiamo andare avanti, qui a Cannes, vetrina e salotto del cinema internazionale? Certo che sì, questa è una di quelle domande che di più stupido hanno solo la risposta. Però che fatica, forse perché la pattuglia, la pattuglia che a noi sentiamo più vicina, si assottiglia, sempre di più. Ed è così retorica questa considerazione che il bergamasco Ermanno Olmi, lavoratore della Edison-Volta, non ce la perdonerebbe. Ma cosa ci mancherà di lui? Non certo i suoi film, che grazie al cielo potremo rivedere quando e quante volte vogliamo. No, ci mancherà qualcosa di più profondo.

È una sensazione strana, già verificatasi con Carlo Lizzani, del quale rimpiangevamo il carattere gentile e soprattutto la voce profonda. Ecco, certi personaggi, che così bene hanno applicato come in questo caso il proprio talento all’attività cinematografica trasferendo il loro essere e il loro sentire a qualcosa che è altro da loro, finiscono con il lasciarci un vuoto che non è artistico ma fisico. Che non è nella sopraggiunta impossibilità di avere altri loro manufatti, altri prodotti del già citato talento. Che magari potevano anche non entusiasmarci. Ma d’altra parte il cinema è anche pancia, non solo testa, non solo cuore.

Quello che ci mancherà è quell’ineffabile serenità, che qualcuno ha definito contagiosa, che sapeva diffondere intorno a sé. Olmi era davvero andato più oltre, come diceva il personaggio del film di Scola. La sua voce era oltre la sua stessa parola, il significante superava il significato. Che bello, sapere che una cosa ci mancherà e non sapere nemmeno il perché. Comunque, se volete conoscerlo, cercate e guardate Il tempo si è fermato. Oggi è una piccola fine, ma quello è il più grande degli inizi.

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