Pier Mario Fasanotti
“Il mondo inquieto di Shakespeare”

Tempo di Shakespeare

Lo studioso Neil MacGregor racconta la vita e il teatro a Londra a cavallo tra il Cinquecento e il Seicento. Con l'obiettivo di sfatare qualche leggenda e recuperare la vera storia del genio di Shakespeare

Accantoniamo per favore la suggestiva ipotesi secondo cui William Shakespeare sarebbe stato un italiano, e precisamente nato a Messina. Un conduttore televisivo, peraltro noto nel dare risposte a misteri di tutti i tipi, ha insistito, anche in questi giorni, sull’italianità del Bardo. L’identità peninsulare del grande drammaturgo dipenderebbe, lui sostiene, dalla formidabile conoscenza del nostro ambiente, dai nostri costumi e della nostra cultura. Certezze non ce ne sono, salvo che Shakespeare ha ambientato alcune sue opere da noi. Eppure si continua a fare il nome di tale Florio (cognome molto diffuso in Sicilia, e John Florio fu autore di un dizionario), la cui casa londinese era colma di libri mentre quella dell’uomo geniale nato a Stratford on Avon (150 km da Londra) ne era priva. Ma che significa? Le biblioteche inglesi erano fornite di molte opere italiane. E così anche di resoconti di navigazioni lontane: forse perché affascinato dal mondo nuovo, Shakespeare e il suo staff intitolarono “Globe” il teatro sulla riva sud del Tamigi.

Meglio concentrarsi sulle notizie – queste sì che sono attendibili – sulla Londra teatrale. E ne fornisce molte lo storico anglosassone Neil MacGregor in un libro documentatissimo e ricco di curiosità (Il mondo inquieto di Shakespeare, Adelphi, 304 pag., 22 euro). È meglio procedere per capitoletti.

Sopravvissuto. Nella chiesa della SS.Trinità a Stratford (3000 abitanti) la nascita del drammaturgo venne registrata il 26 aprile 1564. In realtà quello fu il giorno del battesimo, quindi nacque al massimo due o tre giorni prima. Una nota parrocchiale dichiarava: «Qui comincia la peste». Si sa che in luglio ci furono tre decessi. William, il maggiore di otto figli, se la cavò. La sua fede ufficiale era il protestantesimo, ma attorno a lui bambino c’erano non poche tracce di cattolicesimo, considerato pericoloso dalla corte della regina Elisabetta. John, padre del Bardo, era un guantaio benestante, proprietario di casa e decano dei consiglieri comunali. Uno dei suoi compiti fu l’eliminazione di oggetti e simboli della religione “romana“. Nelle opere del figlio i richiami al cattolicesimo sono sempre riferiti al passato, ovviamente. Un esempio: il fantasma di Amleto vaga nel Purgatorio, concetto che i luterani avevano negato con forza.

Mondo diverso. Quando William era bambino gli spettacoli teatrali svolgevano nei palazzi nobiliari o a corte, oppure in certi edifici pubblici come la Gildhall di Stradford. Il primo vero teatro fu costruito quando William aveva dodici anni. E questo fu l’effetto di una nuova imprenditoria basata su un diverso modello finanziario. Nacque il teatro commerciale in spazi abbastanza piccoli, con posti in piedi (molti) e a sedere (pochi). Una sorta di rivoluzione sociale che ricorda la nascita della televisione. I teatri attiravano i maggiori talenti letterari del momento, che, per guadagnare, dovevano assecondare i gusti del pubblico. E non lo potevano certo fare ricorrendo alle opere classiche francesi. Lo spettatore voleva che si parlasse di sé. In scena misero gente comune, dal portiere al becchino, dal poliziotto di ronda all’avventore di taverne. Le stesse persone che stavano sotto il palco. Un equivalente di questo teatro non esisteva in altra parte d’Europa. Londra in un certo senso ricreava all’antica Roma. La struttura architettonica dei teatri francesi o italiani era millenaria, mentre a Londra i materiali usati erano il legno e l’intonaco (di qui il rischio di incendi).

Appetito. Che cosa avveniva nei teatri londinesi? Un po’ di tutto, compreso il magiare e bere. Certi recenti scavi archeologici hanno rinvenuto moltissimi frammenti di vetro e terracotta, semi di frutta, gusci di noci e molluschi (le ostriche erano economiche, a quei tempi). E anche qualche forchetta appuntita ed elegante (al Rose Theatre), adatta per degustare dolci come marzapane, panpepato, pan di zenzero, equivalente dei nostri cioccolatini. Si faceva anche sesso? Non è da escludere, ma non ci possono essere prove. Si bevevano birra e bevande fermentate. Quando il “Globe“ bruciò, nel 1613, si tentò di spegnere il fuoco con queste bevande. E la necessità di urinare? Uno studioso scrive: «Abbiamo il fondato sospetto che gli uomini approfittassero degli angoli bui, mentre è quasi certo che le donne portassero con sé una bottiglia. Per altri bisogni gli spettatori erano costretti a uscire e forse raggiungere il fiume». Oppure le taverne più vicine. Insomma, i bagni non esistevano nei teatri.

Armi. Capitava sovente che i londinesi incontrassero uomini armati di spade e pugnali poco prima di entrare nei teatri, e poi rivederli sul palcoscenico. Capitava, del resto, anche nella Verona di Romeo e Giulietta. «Caro Mercuzio, giù la spada…». «Para questa, a te!». Ricordate? Nell’Inghilterra elisabettiana le armi più diffuse erano pugnali e spadini (esemplari del genere si trovano nelle Armerie di Leeds). Il pugnale raffinato e grosso usato contro Macbeth fu costruito attorno al 1600. Simile allo stocco, dalla lama sottile, capace di perforare armature e abiti. Poco adatto quindi nelle battaglie, più adatto a chi andava a zonzo per le strade malfamate della City. La lama del sovrano cattivo è stata trovata vicino al Tamigi, precisamente a Southwark. Per raggiungere il fiume si andava a piedi oppure con un traghetto. Erano zone dove i giovanotti si recavano per divertirsi. Oltre ai teatri, c’erano anche arene per il combattimento degli orsi (Shakespeare ne fa cenno ne Le allegre comari di Windsor) e dei galli. Oltre a lupanari e locande, ovviamente. A quei tempi era normale uscire di casa armati. Anche il Bardo lo era. Le risse erano frequenti. La parola “blade” (lama) la si trova spesso nel dramma amoroso veronese.

Magia. Nelle opere di Shakespeare abbondano le presenze ultraterrene (da La Tempesta al Macbeth). In questi casi si dà per scontata la vicinanza degli spiriti, così come non si metteva in discussione l’influenza di questi esseri sui protagonisti e non. Uno dei più grandi occultisti dell’epoca di William era il dottor John Dee, pare il proprietario del prezioso specchio di ossidiana, accuratamente lucidato. Oggi lo si può ammirare al British Museum. Oggetto che conferiva strani poteri a chi l’avesse tra le mani. John Dee era un matematico, esperto di Euclide. Una celebrità. Gli fu offerto l’insegnamento a Oxford e a Parigi. Il suo comportamento era spesso definito “da prestigiatore“. Termine che oggi ha una accezione negativa, ma allora significava soltanto “evocatore di spiriti“.

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