All'Accademia di Santa Cecilia di Roma
Wagner visionario
“L’olandese volante” di Wagner in forma di concerto all’Auditorium Parco della Musica di Roma: una riflessione sulle umane sorti come solo la forza immaginifica della grande musica consente
Un marinaio maledetto, una donna disposta a sacrificarsi per lui, un padre avido, un fidanzato geloso. È una storia di amore, morte e spiriti come tante dell’immaginario fantastico europeo. Gli elementi della tradizione del vecchio continente ci sono tutti: dall’italica nave dantesca, dall’Alcesti di Euripide alla donna-angelo guinizelliana, non è la prima volta che una nave è simbolo di sconvolgimenti politici, o la donna portatrice di salvezza. Nel 1840, però, l’antica leggenda attira l’attenzione di Richard Wagner, nella duplice veste di compositore e librettista. Crea così la prima delle sue opere romantiche: Der fliegende Holländer (L’Olandese volante). Tra le pieghe del pentagramma plasma una figura di eroe malinconico e romantico per il quale la vita è una notte perenne e sola redenzione immaginabile è la morte: «Annientamento eterno, afferrami» canta nell’atto I l’Olandese, virando in una luminosa tonalità maggiore.
La drammaturgia, costruita da Wagner esplorando le potenzialità dell’orchestra e del coro, è magistrale, capace di restituire tanto gli effetti atmosferici (il vento e il mare in tempesta), quanto la temperatura emotiva (afflizione e scoramento, disperata speranza, fiducioso amore giovanile, ossessionata gelosia). C’è già molto del Wagner austero e mitico della tetralogia dei Nibelunghi, a cominciare da quell’ingresso dell’Olandese che, su una base di archi e ottoni, non può non ricordare la cavalcata delle Valchirie. Si percepisce una tensione insoluta lungo tutta l’opera: in quell’oscillare tra i motivi popolareschi del coro di marinai e quelli spensierati e primaverili delle filatrici, si innesta il cromatismo atonale e sovrannaturale dell’Olandese. Il tema sarà poi rievocato nella ballata di Senta nell’atto II, in un germinale utilizzo del Leitmotiv.
Wagner concepisce e forgia un flusso continuo in cui si alternano, fino a rincorrersi e a sovrapporsi (atto III), ondate di cupa densità e squarci di gaia luce. Come in una tela del connazionale Caspar David Friedrich. Nella versione concertistica di Santa Cecilia (in scena 26, 28, 30 marzo), la musica regna indiscussa sovrana ed è possibile apprezzarne tutto il potere visionario e immaginifico, che qui crea tante scenografie quanti sono gli spettatori-ascoltatori in sala.
L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia vanta una lunga consuetudine con le rappresentazioni in forma di concerto dei drammi e delle opere di Richard Wagner. Tutto ebbe inizio con un’idea di Giuseppe Sinopoli, direttore musicale dell’Accademia. Era il 1988. Trent’anni dopo, la Sala Santa Cecilia dell’Auditorium Parco della Musica di Roma ospita L’Olandese volante per la prima volta in cartellone sotto la direzione placidamente giocosa e scientificamente esatta del finlandese Mikko Franck (nella foto accanto al titolo), alla sua prima esecuzione lirica sul podio romano.
L’eccellenza degli interpreti, altra consuetudine dell’Accademia, non delude. Coro e orchestra di Santa Cecilia sono camaleontici e assumono i colori dell’atmosfera, imitano il rumore delle onde e il rocchetto sul telaio, accompagnano i solisti nell’evoluzione della trama e nella risoluzione dei dissidi interni. Degni di particolare nota, le voci del tenore Tuomas Katajala (seppur nel ruolo minore del Timoniere) e della protagonista femminile, il soprano Amber Wagner. Un nome un destino: durante la Ballata di Senta, la Wagner riempie tutta la sala con una potenza di voce titanica e ipnotica, calda e profonda nei suoni gravi e cristallina negli acuti che riverberano, rimbalzano e risplendono nella sala intera. Daland (il basso Matti Salminen) accetta di dare la mano della figlia Senta al misterioso, ma ricchissimo, Olandese: con bonario ottimismo e piglio divertito, ma con un’ironia in fondo tragica, canta quasi a ritmo di operetta «Il miglior gioiello è una donna fedele», senza immaginare che proprio sulla fedeltà della donna si fonda per l’Olandese l’unica via di fuga dalla maledizione che lo porta a vagare in eterno in mare a bordo di un vascello fantasma, salvo scendere ogni sette anni in terra per cercare una donna che lo liberi. Più meccanico appare, nel corso dell’atto I, proprio il protagonista maschile (il baritono Iain Paterson). Una volta sceso in terra (atti II, III), però, assume sembianze e atteggiamenti tipici degli umani con i quali si confronta e alla condizione dei quali desidera ritornare: anche l’interpretazione si fa più morbida e convincente.
Negli stessi anni di composizione dell’Olandese volante sarebbe stata data alle stampe la seconda versione del Mondo come volontà e rappresentazione (1844) di Schopenhauer, mentre Giuseppe Verdi portava sulle scene Nabucco (1842) e Ernani (1844). Presentendo la disfatta degli ideali di progresso che avrebbero rappresentato le rivoluzioni del 1848, Wagner è tra gli intellettuali illuminati che comprendono che l’uomo fatto non fu a viver felice, ma per aspirare eternamente inappagato alla felicità. La conclusione è l’unica immaginabile: non il classico vissero per sempre felici e contenti, e neppure la morte indiscriminata e inarrestabile, una trasfigurazione spirituale piuttosto. E così Senta si getta in mare, ma il suo sacrificio permette all’anima dell’Olandese di trovare pace e ricongiungersi a lei in cielo. E così, anche nell’universo lontano e ancestrale delle fredde coste norvegesi dove si consuma la storia di Senta e dell’Olandese, arrivano i triboli malinconici dell’Europa alle porte del 1848, ma anche uno spiraglio di speranza. Ultima spiaggia di salvezza: amore, fede, immaginazione, arte.
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Le fotografie sono di Musacchio & Ianniello