«La sera, dopo aver osservato con tutto agio quelle belle cose, andammo nei giardini del Palatino, ameni spazi verdeggianti che riempiono gl’intervalli tra le rovine dei Palazzi dei Cesari. Là, su una grande terrazza aperta al pubblico, cinta di stupendi alberi sotto cui erano disseminati frammenti di capitelli scolpiti, di colonne lisce e scanalate, di bassorilievi e altre cose del genere – come in un altro luogo si sarebbero posti tavoli, sedie e panche per allegre riunioni all’aperto – lassù godemmo a nostro piacimento del fascino dell’ora; e quando al tramonto contemplammo con occhi purificati e consapevoli quel panorama di inaudita ricchezza, dovemmo riconoscere che un tal quadro si lasciava ammirare anche dopo tutti gli altri che avevamo visto quel giorno…».
Scrive così Goethe nel settembre 1787. E la pagina del Viaggio in Italia si invera adesso, alla conclusione del primo step di restituzione a Roma – ai cittadini, ai turisti – di un lembo di Palatino chiuso al pubblico da trent’anni. Sono i cosiddetti Horti Farnesiani, che ora accolgono al profumo delle viole di Pasqua appena piantate in larghe fioriere. Bianche, lilla, gialle, pervinca, occhieggiano sullo sfondo del giardino di delizie realizzato alla metà del ‘500 da Alessandro Farnese, in contemporanea con l’elezione al soglio pontificio dello zio omonimo, papa Paolo III. Un itinerario inedito che arricchisce l’offerta del Parco Archeologico del Colosseo diretto da Alfonsina Russo. La quale lo descrive come «un percorso alternativo al consueto circuito turistico che porta i visitatori dall’Anfiteatro Flavio al Foro Romano da effettuare a passo lento, in un giardino inaspettato, contemporaneamente reale e immaginario, fino al Belvedere già amato dai Farnese».
L’acme del nuovo tour comprende infatti, in cima al colle, le Uccelliere farnesiane, entrate nel piano di restauro avviato nel 2013 e in parte finanziato dal World Monuments Fund di New York con un contributo di 483.000 euro su un totale di 1.554.000 euro. Una spesa che ha permesso tra l’altro di allestire la mostra – fino al 28 ottobre – curata da Giuseppe Morganti con catalogo Electa e costituita da pannelli esplicativi che accompagnano il visitatore dalla Via Nova alla rampa diretta alla residenza farnesiana di ozio e svago. Eccole allora le Uccelliere finalmente praticabili: hanno ritrovato il color dell’aria, quel grigio cilestrino che affascinava i viaggiatori del Grand Tour, e i decori in tinta più scura; ed è stato messo in sicurezza il Ninfeo della Pioggia, un ampio ambiente nel quale i Farnese tenevano i banchetti estivi e sul quale ora vengono proiettate con tecnologie immersive le immagini degli Horti com’erano: in un ascendere di giardini all’italiana, scalee, logge, statue, fino appunto alle Uccelliere coronate dal giglio dei Farnese, che custodivano volatili esotici – pappagalli e altre specie coloratissime – portati dalle Americhe appena scoperte.
Dalla terrazza si squaderna un panorama unico: la Basilica di Massenzio, il Foro Romano, il campanile di Santa Francesca Romana, la torre delle Milizie, più lontani il Campidoglio, l’Esquilino, l’Oppio. Intorno – in attesa della riapertura entro la primavera del Teatro del Fontanone e della Casina Farnese – un piccolo parco ripopolato di allori, cipressi, tassi, alberi di agrumi, rampicanti e rose damascene. Qui si celebra insomma il matrimonio tra Natura e Architettura, antico romana e rinascimentale. Un connubio arduo, che ha finora privilegiato i resti archeologici e che invece adesso, grazie all’intervento dei privati, allarga le braccia alle invenzioni del Rinascimento e del Barocco. Non a caso la nobile famiglia gigliata, al culmine del proprio carisma, scelse il Palatino per questo che è da considerarsi il primo giardino botanico. Il colle era infatti stato il nucleo della potente Roma, qui Romolo ebbe scettro e casa, qui dimorarono gli imperatori. I Farnese impiegarono più di mezzo secolo per mettere insieme la proprietà. Comincia Alessandro nel 1537, l’anno seguente al soggiorno romano di Carlo V, acquistando piccole vigne. Dopo un’altalena di cessioni ai familiari, commissiona al Vignola il portale di via san Gregorio e perfeziona il giardino. Tocca al nipote Odoardo realizzare nel Seicento il triclinio estivo, il fontanone, la terrazza, le voliere che omaggiano la sposa Margherita de’ Medici. Alla metà del secolo, già è declino: i Farnese trasferiscono la corte a Parma, il parco troppo costoso viene dato in affitto ai giardinieri che ne faranno terreno agricolo, deprederanno le voliere delle strutture in metallo, le trasformeranno in pollaio.
Una decadenza testimoniata da un acquerello del Turner, mentre i grandi Romantici, a partire appunto da Goethe, faranno della terrazza sui Fori luogo d’elezione. Nel Settecento i Farnese si estinguono. Muore senza eredi maschi Antonio, Elisabetta sposa Filippo V di Borbone e trasferisce a Napoli tutta la sua collezione di reperti antichi, comprese le statue degli Horti. Sagome in legno nelle nicchie e sulla terrazza le ricordano. Ma le due Uccelliere già sono utilizzate come spazio espositivo, ospitando il ritorno dal partenopeo Museo Archeologico Nazionale del Barbaro Inginocchiato e di Iside Fortuna, insieme con due giganteschi busti di Daci Prigionieri che nel ‘600 ornavano il criptoportico del Ninfeo. Tocca poi a Napoleone III avviare gli scavi archeologici, affidandoli a Pietro Rosa, che copre con un tetto le voliere e ne fa la propria casa. A differenza dei Farnese, che negli Horti non eressero mai edifici residenziali, pensandoli come luogo di scampagnata per un giorno. Il loro palazzo del resto era vicino e, ipotizza il curatore Morganti, non ritenevano giusto possedere dimore principesche nel luogo dove Romolo aveva abitato una capanna.
Ma tant’è, il nuovo percorso di visita, cui si accede con lo stesso biglietto del Parco Archeologico Colosseo, affascinerà i visitatori. Ecco sintetizzate le tappe, alcune testimoniate solo dai panelli didascalici: il portale cosiddetto del Vignola e alcuni tratti dei muri di fondazione degli Horti, fra la via Sacra, cuore del Foro Romano, e la parallela via a monte, chiamata via Nova Imperiale; dal Teatro d’Ingresso chiamato anche teatro di bossi, si intraprende l’ascesa alle terrazze per tre ordini di scale, di cui la prima, a cordonata, si conserva ancora oggi; il Ninfeo della Pioggia con al centro una fontana incrostata dai tartari sul modello degli antichi Nimphaea è incassato nel fianco della collina e preceduto da un criptoportico; alla stessa quota due viali raggiungevano i padiglioni angolari, con un percorso addossato a un muraglione le cui aperture formavano una passeggiata finestrata su scorci ineguagliabili; altre due rampe conducono al boschetto rettangolare di lecci e, con una rotazione di 180 gradi, al Teatro del Fontanone, terrazza chiusa verso monte da un ampio prospetto monumentale che nasconde i retrostanti ambienti sotterranei del basamento della Domus Tiberiana; la grande fontana al centro e le scale che salgono fiancheggiando le uccelliere, al quarto e ultimo ripiano, erano ornate con soggetti raffiguranti il Tevere e l’Arno, allegoria dell’incontro tra Roma e Toscana, reificato dal matrimonio tra Odoardo Farnese e Margherita de’ Medici.
Nella radura a oriente delle Uccelliere Charles Percier, durante il suo soggiorno romano (1786-1791), immaginò, fissandola nel proprio taccuino con un disegno, una sorta di sala da pranzo en plein air, con un tavolo al centro e una corona di sgabelli. A questo schizzo certo fa riferimento Goethe. Ed è bello pensarla anche oggi come agreste ambiente per un ideale simposio che celebri la Bellezza perduta e, solo in parte, ritrovata.
(Nelle foto: Uccelliere Farnese, foto © B. Angeli;un’immagine dall’Archivio fotografico del parco Archeologio del Colosseo; Charles Percier, © “Vue générale de la Villa Farnesiana, Parigi 1809 © Bibliotheca Hertziana, Max-Planck Institut für Kunstgeschichte, Roma)