A proposito di “Cercando bambina”
Dramma bambini
Anna Santoro racconta la storia di una maternità difficile (dal punto di vista dei grandi e dei bambini) che solo a contatto con gli ultimi della società trova la sua pacificazione
Il nuovo romanzo di Anna Santoro Cercando bambina (ali&no editrice) riassume in sé dolorose situazioni che appartengono al mondo in cui viviamo, innestando nella trama alcune fondamentali tematiche che riguardano, in special modo, le donne e i bambini. L’immigrazione, l’infanzia negata, l’emarginazione, il dramma di una maternità generata dalla prostituzione: argomenti spinosi da trattare, ma attuali nella loro essenza, descritti in modo veritiero e, al contempo, intimista. Questa nuova prova letteraria della scrittrice, possiamo definirla come romanzo a sfondo “sociale” quasi una cronaca. Ma Anna Santoro nella sua lunga militanza nella letteratura, ha sempre dimostrato di attuare scelte coraggiose, importanti.
Poeta e scrittrice, presente in varie antologie, ha lavorato sul suono della parola e sull’oralità e ho portato in giro performances, partecipando e organizzando manifestazioni di poesia, lettura e musica. Studiosa di letteratura italiana, dagli anni ’80 si è occupata soprattutto delle scritture delle donne in Italia; ha pubblicato saggi su riviste specializzate e romanzi. È stata Presidente dell’associazione culturale L’Araba Felice, fondata a Napoli, che ha realizzato, a livello regionale e nazionale, svariati progetti sulla promozione della lettura, sulla ricerca delle scrittrici. Socia fondatrice della “Società delle Letterate”, il suo impegno civile e politico in favore delle donne (in particolare nel movimento femminista) ha sempre contraddistinto il suo modo di porsi nei confronti della collettività.
La Santoro afferma che, in questo romanzo: «Ho cercato di rappresentare una parte della nostra realtà contemporanea. Nella storia raccontata, centrali sono i bambini, la loro sensibilità, la tenerezza di cui hanno bisogno e le violenze, più o meno evidenti, cui sono sottoposti. Altrettanto centrali le donne, di varie estrazioni, paesi, culture ed esperienze, con destini spesso durissimi, fatti di sopraffazioni e crudeltà cui non possono non ribellarsi». Francesca sfigurata in viso, ha perso la memoria, e vive reclusa ma accudita da un “Lui” che non le fa mancare nulla, in un condominio dove intorno a lei che è immemore di tutto, scorre la vita altrui. Francesca piano, piano, semi nascosta dietro la finestra, spia i vicini di casa, il loro quotidiano, forse per cercare un senso a tanta inspiegabile solitudine e malessere che cova dentro di lei giorno dopo giorno. Così incontra lo sguardo di un bambino che lei ribattezza con il nome di “Primo” e, per questo personaggio così tenero, ci viene in mente “Pricò” lo struggente personaggio del film neorealista I bambini ci guardano di Vittorio De Sica, tratto dal romanzo Pricò di Cesare Giulio Viola. Primo, che volentieri rimane affacciato alla finestra iniziando un dialogo con Francesca, però, ha uno sguardo sempre triste che denuncia una sofferenza interiore, già così piccolo. Primo vive in una famiglia difficile. Poi c’è una signora anziana, che vive una solitudine forse non cercata, delle ragazze, che abitano nella stessa casa, con una vita non facile alle spalle, ed altri personaggi.
Il romanzo gioca su due registri, da un lato Francesca (con voce narrante) che riferisce quello che vede e rielabora nella sua mente, dall’altro i capitoli narranti le storie degli abitanti del condominio: una costruzione polifonica a più voci, appunto.
Conosciamo così storie tristi, problematiche, come quella della famiglia di Primo, dove il padre che ha perso il lavoro si lascia andare ad una crisi senza ritorno, e la madre del bambino che quasi impazzisce e tenta di suicidarsi con tutta la famiglia con il gas. Ma Francesca ha come un presentimento di tragedia e sventa l’orribile tentativo. Nel frattempo s’innesta la storia di alcune donne, che avranno un ruolo fondamentale nella vita di Francesca, immigrate, provenienti da altri paesi, ognuna di loro con un mondo di sofferenze alle spalle.
Nella seconda parte, Francesca inizia a ricordare e ci racconta una storia ai margini, la storia di una ragazza che aveva sete di letture e di conoscere, ma che è sempre stata cresciuta nella durezza e nel rapporto difficile con la madre, che si è dovuta adattare a fare lavori umili, fino ad arrivare alla prostituzione. Da qui nasce la tormentata storia di Francesca, che ha una bambina di cui non conosce il padre ma che, per una bieca vendetta, le viene sottratta, e in uno scontro tra Francesca e i suoi oppressori muore.
Una trama articolata, un romanzo costruito accedendo a registri narrativi e piani di lettura diversi, con una scrittura che mantiene sempre toni realistici, quasi di cronaca e di denuncia, come si diceva, che però si apre a toni intimistici (la vena poetica della scrittrice si palesa) quando racconta la disperazione di Francesca e gli accadimenti terribili che punteggiano la sua vita. Come se la Santoro avesse voluto denunciare e nello stesso tempo ammantare la storia, le storie, di una profonda e umana piétas. Un romanzo di approccio particolare, che interessa e avvince per le vicende che s’intersecano tra loro e l’evidente ricerca stilistica, di tempi e ritmi, dei quali la scrittrice si è fatta carico e a cui va un plauso.
Il finale, in qualche modo inaspettato, apre, forse, alla speranza di un mondo diverso.
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Accanto al titolo, “Madre e figlio”, 1902, di Pablo Picasso