A proposito di "Uomini senza"
Romanzo del dolore
Alda Teodorani racconta tutte le forme di violenza e dipendenza che legano le donne al mondo: la predilezione per le relazioni pericolose diventa quasi un "obbligo"
Uomini senza di Alda Teodorani (Fahrenheit 451, 2018, pp. 84, euro 10) è un romanzo introspettivo, con una voce alla Simone De Beauvoir, su tutte le forme di violenza e dipendenza, dalla violenza di una madre a quella di un vicino di casa che sgozza i maiali e diventa incubo d’infanzia (Zero), dalla violenza del primo sesso fatto in modo forzato, per concedersi a un desiderio non proprio reciproco, a quella dell’uomo senza pietà che vuole solo preservare la propria immagine e usa le donne come oggetti, dalla dipendenza affettiva, in un rapporto di amore e odio, alla dipendenza dall’eroina di un compagno occasionale e da una relazione senza desiderio. I capitoli, come i nomi degli uomini, sono sostituiti dai numeri: da Zero a Cinque. Ciascuna di queste relazioni di dipendenza è anche una violenza autoinflitta, come per ripetere il rito della violenza della madre, manesca e colpevolizzante, per liberarsene. C’è un sottofondo di dolore implacabile nel lanciarsi in relazioni pericolose, capaci di sbranare l’animo in modo più vorace di quanto possa uno stupro.
La voce, strepitosamente introspettiva, mai attaccata al narrare ma sempre rivolta al ricordo e all’evocazione rituale delle immagini vissute, è potente, coraggiosa, specialmente in un momento storico come questo in cui si ha la pretesa che tutto debba essere mostrato senza introspezione, in cui si osanna la narrativa pura, scevra dal commento e dalla possibilità di farne poesia.
Ciò che colpisce e devasta, soprattutto, è la descrizione degli Uomini Senza: esseri che definiremmo narcisisti, esseri che si nutrono delle attenzioni dell’altra fino a dilaniarla. Ma non si tratta di disturbi di personalità, ora il narcisismo è lo staus quo delle relazioni. L’utilizzo del più fragile a scopi egogici è divenuto un dictat per la maggior parte degli esseri umani, non solo uomini, chiaramente, anche se per un uomo è strutturalmente più facile servirsi di un corpo femminile e riporlo. Gli uomini senza sono quelli che ti lasciano dietro la porta del loro mondo affinché tu rimanga lì, sempre pronta a riaccoglierli ogni qual volta decidano di riaprire e quando desidererai entrare loro ti sbatteranno la porta in faccia e poi ti rinfacceranno tutto l’amore che hai provato e ti diranno che tutto ciò che hai fatto l’hai fatto solo affinché ci fosse un ritorno. Gli uomini senza sono quelli che magnificano la famiglia, l’immagine sociale di sé e poi scappano con la donna fragile di turno con cui sentirsi potenti, per riporla appena chiederà di essere amata. Gli uomini senza sono quelli che fuggono di fronte alle responsabilità e che desiderano la fragilità dell’altra solo per dimostrare il loro potere, ma poi non la sopportano, quella fragilità, li invade, li spaventa, li mette di fronte al fatto che dinnanzi hanno un essere umano e loro vorrebbero solo bambole gonfiabili di carne. Gli uomini senza promettono che non possono stare con te ma ci saranno per sempre, e quando senti di morire, ti struggi, non riesci a vivere della loro mancanza, loro non ci sono, non possono aiutarti e di fatto non ti aiutano perché il tuo dolore non è altro che il nutrimento della loro volontà di potenza. Si tratta di natura e la natura è sempre terribile. Esistono predatori e prede. Una preda sbranata non vale più nulla, non soddisfa più, non può essere desiderata. Ma se dovessi ricomporre i resti e tornare in vita, loro tornerebbero, ricordandoti i bei momenti e promettendoti amore, una parola di cui conoscono solo il suono, strumentalizzano il significante ottundendo il significato.
A volte appare una guerra, e lo è. Una guerra sotterranea tra maschi alpha che soccombono dinnanzi a donne libere e femmine omega che si straziano, cedendo la libertà in cambio di un amore di cui quasi nessuno è più capace.
Tutte le lotte degli anni Settanta, spesso evocate nel testo, sono state soggiogate dalla guerra tra i sessi e dai particolarismi e dai settarismi e dalle rivendicazioni tribali che spazzano via ogni possibile volontà di insieme. Un noi non è più possibile, come elettroni impazziti cerchiamo di colmare la mancanza con uno specchio qualunque. Uno specchio che prima o poi s’infrange.
Si può avere il rimorso di aver disperso l’amore in un soffio ma poi si cresce, se non ci si ammazza, si comprende l’importanza della solitudine e soprattutto dell’amor proprio. Se si tocca il fondo non esiste nient’altro che la morte o la possibilità di risalire.
«Ti ritrovi confinata in uno sgabuzzino, la porta è chiusa a chiave. La chiave ce l’ha lui. Ti metti in discussione. Collochi sul piatto della bilancia il tuo tempo e come lo impieghi. Ti accorgi che di fatto sei prigioniera di una sorta di schizofrenia tra il desiderio di stare con lui e il tempo che vorresti passare con i tuoi amici e che invece stai riservando ai vostri attimi rubati».