Giuliano Compagno
Ricordo del grande critico scomparso

Zio Gillo Dorfles

Chiesa di San Leonardo a Lajatico, l'ultimo saluto a Gillo Dorfles: in memoria di un uomo prismatico da tutti amato e che tutto amava con grande curiosità. Come la storia che rappresentava

Ricordi bene quelle ore trascorse a sbianchettare la stanghetta della n, così che nessuno si accorgesse del refuso tipografico, mutando quel Gino in Gillo. Gillo Dorfles. Faticaccia dovuta al rispetto che il settantacinquenne cattedratico meritava appieno nell’imminenza del suo intervento su Moda e mondanità. Era quello un titolo che egli vestiva come un guanto. Angelo Eugenio Dorfles, in arte Gillo, era da tempo, infatti, un moderno, raffinato interprete del sistema della moda simmeliano, se non il suo più autorevole innovatore.

Sicché ieri mattina, mentre da tutti i canali radio va elevandosi il coro dei «non mi sorprende questo risultato…», sei diretto a Lajatico, rifugio della vita di Gillo, ma anche nascondiglio di un tempo buio, dice Fernando Signorini, un signore cortese che ti siede accanto nella chiesa di San Leonardo e che ti racconta di quando, durante la guerra, il su’ nonnino portava a Gillo, di padre ebreo goriziano, un pasto caldo e tanta protezione. È semplice raccontare quanto conforto ti dia l’essere in quel luogo antico, tra pochi amici di borgo, qualche estimatore e un gran Silenzio intorno, quasi a coincidere col nome del locale teatro (“Del Silenzio”, una rappresentazione l’anno e il suo direttore artistico, Alberto Bartalini, presente anch’egli). Nell’onorare un grande Defunto, letto e stimato, ti riconosci assai di più che nell’ignorare un vivente piccino piccino, ascoltato per caso o per disdetta. Stai a metà tra Flaiano e Kraus, che perfidi non erano, e comunque sapevano come tacere, come sottrarsi, come sfuggire a un’epoca che li respingeva.

Gillo Dorfles era della stessa pasta, ormai leggenda di una gerontologia di giorno in giorno seguita ed esaltata, perché ci era diventato una sorta di parente preferito, di quelli che in una casa di campagna sanno dimorare, svernare, vivere; lui e le sue birrette gelate, i suoi sommessi saluti, la sua innata capacità di restare al mondo. Eppure alla trattoria da Nello, sopra il tavolo dove Paola gli serviva i pasti, campeggia una frase che non gli si addice affatto. «Gillo sta più in alto di tutti, e Dio non lo aspetta». L’immagine è profondamente distorta. Rimanda per contrasto a una sentenza di Ananda Coomaraswami: «Coloro che sono amati dagli dèi, muoiono giovani». Questo perché troppi dèi in Olimpo fanno una gran confusione… Invece Dio e Gillo si volevano bene, e lui ne dava testimonianza per ogni domenica mattina d’estate che trascorreva a Lajatico, seduto in disparte nella navata sinistra a rivolgere un cenno di saluto a don Michele, parroco di poche parole, tale e quale era il settimanale convitato.

Per sua parte, Dio gli avrebbe restituito il raro dono della patriarchìa, della virtù di rimanere se stesso fino all’età ultima, fino al giorno estremo, quando lo abbiamo perso. E nessuno di noi, in quella chiesetta, che si stesse consolando della perdita in ragione della sua longevità. Non si è mai troppo in là con gli anni quando lo stile e la grazia umani coincidono. Pochi intellettuali erano passati con tanto acume e tanta leggerezza attraverso idee, nozioni e un senso critico che certo non si era limitato alla rappresentazione del kitsch ma aveva spaziato tra il disegno industriale e il costume, il conformismo e l’artificio, il rito e il mito. Gillo Dorfles aveva di che gloriarsi ma non ne era capace. Una distanza che mai coincideva con l’alterigia, un pudore che si confondeva con la riservatezza. Chissà quale metodo aveva scelto per selezionare nel miglior modo la gigantesca memoria accumulata in quasi 108 anni compiuti. Vai a sapere cosa cestinasse e cosa archiviasse. E quante emozioni, persone, conflitti, amici, passi indietro, voli di fantasia… Quante vite, Gillo, sino a questa nuova a cui approdi dopo tante onde di ritorno.

E nessuno che ti abbia applaudito, per via della sobrietà che ci hai dedicato, sebbene tanti pensieri bellissimi ti dessero luce in un pomeriggio piovoso, e solitario, e senza di te.

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