Pasquale Di Palmo
La voce del poeta: Gianfranco Lauretano

Sorpresa dell’inizio

Scrivere poesia è creare incessantemente, nello stesso modo in cui procede la vita. Perché la realtà è sempre in movimento e quando ci soffermiamo su qualcosa, quella stessa cosa è diversa da istante a istante. Poesia è stupore al cospetto del nuovo che sta nascendo…

Gianfranco Lauretano, nato e operante a Cesena, saggista e traduttore, ha pubblicato varie raccolte, tra cui Preghiera nel corpo (1997), Occorreva che nascessi (2004) e Di una notte morente (2016). Nel 2017 è uscito a suo nome il titolo inaugurale della collana “Ancilia” diretta da Giancarlo Pontiggia per Puntoacapo: Rinascere da vecchi (86 pagine, 15 euro). Il libro, pervaso da un profondo senso di religiosità, è dominato, come si legge in quarta di copertina, «dal motivo della rinascita e della resurrezione».

Può parlarci della sua ultima raccolta?
La mia ultima raccolta si intitola Rinascere da vecchi ed è stata pubblicata nel 2017. È composta di poesie narrative che trattano di viaggi e di incontri; in questo si distingue dalle precedenti che contenevano poesie più brevi, liriche, spesso in forma di diario. Pur rimanendo poesia dalla forma libera, in quest’ultimo libro ho riscoperto, con grande piacere, il canto, l’elegia, o la ballata, se vogliamo. E l’eloquenza. In definitiva ho riscoperto la nostra tradizione, ma anche la novità nascosta nella parola che, oltre al significato, utilizza la forma, per moltiplicare il senso ovviamente. È il libro dei miei cinquant’anni, da qui il titolo.

Quali sono le tematiche che contraddistinguono la sua poetica?
La poesia è per me una branca dell’antropologia. La cosa più interessante nell’uomo è per me l’inizio, la sorpresa di qualcosa di nuovo, che sta nascendo, anche dopo molti anni. Questo vale sia per la storia personale che per quella sociale e politica. Conoscere cosa sta iniziando significa vivere, perché la realtà non sta mai ferma e non appena ci posiamo in qualcosa – una fede, un rapporto, una notizia – quella stessa cosa è diversa dall’istante precedente. Lo spirito crea incessantemente. Scrivere poesia è stare al passo con questo.

Ci può descrivere l’esperienza della rivista “ClanDestino”?
Nel 1988 un gruppo di giovani che stava uscendo dall’università, unito dalla passione per la scrittura poetica, ha fondato la rivista di poesia “ClanDestino”, come strumento per tenere desta l’attenzione su ciò che stava accadendo nella poesia contemporanea e pian piano contribuire a essa, anche con i propri testi. In questo senso la rivista non ha mai avuto una poetica codificata: è, appunto, uno strumento di apertura, proposta e giudizio critico. Ora che qualcuno comincia a studiarla, proponendosi ad esempio per tesi di lauree, a riprenderlo in mano per cercarci linee seguite, interventi, incontri succedutisi in questi trent’anni, il lavoro fatto è impressionante: abbiamo dialogato con i grandi maestri della poesia italiana, tradotto mezzo mondo, ospitato premi Nobel. Una cosa semplice, in un’epoca in cui dire “mi interessa”, “sto attento”, “sono aperto” non era affatto scontato, per colpa delle ideologie. E ora che le ideologie sono cambiate, il problema resta.

Quali sono i suoi autori di riferimento?
Innanzitutto la straordinaria stagione poetica del Novecento italiano: Betocchi, Caproni, Luzi, Sereni, Rebora e, prima, Montale, Ungaretti e Gozzano. Sono i poeti a cui non smetterò mai di tornare, quasi quotidianamente. Poi, per la mia storia personale e i miei studi, i poeti del dialetto romagnolo (Baldini, Pedretti, Baldassari, Galli, Fucci) e i poeti russi del Novecento. Tutti questi autori mi hanno insegnato non solo i temi ma hanno anche affinato incessantemente il mio orecchio poetico.

Cosa pensa della diffusione della poesia in rete?
È una buona cosa, ha aumentato di molto la fruizione della poesia, soprattutto tra i giovani. Il rischio dello strumento elettronico e virtuale, della fruizione attraverso uno schermo, è la superficialità della lettura, che non riguarda solo la poesia, ma anche la prosa, il giornalismo e ogni altra forma di scrittura. È un rischio insito nello strumento stesso, che non permette una lettura più profonda, meditata, con i tempi adeguati, cosa che la poesia richiede.

Cosa sta preparando attualmente?
Sto scrivendo a quattro mani con il poeta e critico Marco Marangoni un libro di interventi saggistici sui poeti della nostra generazione. Sto rileggendo Jacopone da Todi perché vorrei scrivere un romanzo sulla sua vita. Sto iniziando a tradurre Anna Achmatova.

Può commentare la poesia inedita presentata?
La poesia è un po’ lunga e non vorrei abusare del vostro spazio, inoltre è chiara. Posso dire che fa parte di una nuova raccolta in cui i valori formali, perfino fonetici, un po’ sulla scorta di Caproni, tornano a essere importanti.

 

 ***

Dare del tu

Una voce trema nel vento

al muoversi delle foglie

il loro incantevole fruscio

e scongiura un ascolto

anche qui, tra condominî

e quartieri disattenti

 

voce già sentita

dimenticata e riascoltata

involontariamente viva

indipendente nonostante

i dinieghi indirizzati

e le rivolte, le posticce

rivoluzioni, le uniche

di cui siamo capaci.

È una voce con pazienza

non di questo mondo.

 

Come i sempre giovani

a essa do del tu, senza

boria né buone maniere

– e senza vanagloria.

Do del tu a muri e corpo

tu, casa magnifica, tu

corpo dove sta di casa

l’anima, organo di senso

prodigio capace di sentire

che ogni cosa è pronta

al tu che le rivolgo

 

tu agli oggetti accoltellati

dal tempo, tu alla storia

ai cimeli di un evento

straordinario, la nostra

apparizione sul pianeta.

 

E ritorno a dar del tu

all’amore che non ci

lascia, anche quando

smetto di chiamarlo

col solo nome dell’amore:

  1. Così Amore torna

a rivestirsi dell’imago

a cui non ci abituiamo

 

donna, tu carne e ossa

tu collo e fianchi, occhi

chiari tu sorriso scardinante

tu assenso squadernante

tu che mi fai ridendomi

e vedendomi tu che mi

plasmi, accorgendoti.

 

E torno a dar del tu

all’assoluto perché noi,

da Abramo nell’ombrosa

tenda, ai porti ai deserti,

agli alloggi degli schermi,

in ogni migrazione

e abitazione siamo quelli

che l’eterno ha concepito

per l’unica risposta

che gli importi, dirgli tu.

Gianfranco Lauretano

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