Alla Cometa di Roma
Quando il re è cieco
Torna in scena "Profumo di donna", dal romanzo di Giovanni Arpino, interpretato e diretto da Massimo Venturiello: la storia di un uomo che non riesce a rinunciare alla vita
Cieco, di Edipo condivide la rassegnazione disperata; privo di una mano, del Riccardo III shakespeariano il cinismo aggressivo. È il capitano Fausto Consolo, nato dalla penna di Giovanni Arpino (Il buio e il miele, 1969), emblema di isolamento e solitudine moderni, eroe romantico solo contro tutti ed eroe tragico vittima di un destino avverso. La forza universale del suo logorio mentale e morale lo rende presto un soggetto interessante per la cinepresa (nel 1974 Vittorio Gassman, nel 1992 Al Pacino). Con un curioso ritardo, a teatro approda solo grazie all’operazione condotta da Massimo Venturiello che lo incarna come attore e ne cura la messa in scena come regista. A più di due anni dalla prima nazionale a Fermo, fino al 25 marzo è al Teatro della Cometa di Roma.
Fausto (Massimo Venturiello) pianifica il suo ultimo viaggio tra “vizi e sfizi” della vita – come ama definirne i piaceri – da Torino a Bologna, fino a Roma e a Napoli. Il viaggio, nato come congedo al mondo, termina con la scoperta del calore dei legami umani. Amor vincit omnia, e infatti Fausto, personaggio goethiano alla rovescia, viene salvato proprio dalla giovane Sara (Sara Scotto di Luzio), che lo accetta seppur ferito, storpio e cieco. Significative ed evocative le scelte iconografiche con le quali viene delineato il profilo del personaggio. Entra in scena come un re, seduto sul trono con in mano il suo scettro del comando (un bastone da passeggio). One man show da copione, l’esuberanza istrionica è verbale e gestuale, ora parlantina affilata, ora movimenti spavaldi pur nella cecità simulata. Alla fine del suo viaggio, però, Fausto è indifeso e sofferente, a terra come il Galata morente dei Musei Capitolini, tra le braccia di Sara come la Pietà del Carracci.
Della commedia all’italiana si imprimono a tutta la pièce l’ironia amara e la verbosità dialettale, dal Po (Camillo Grassi nel ruolo del cameriere) al Vesuvio (la vulcanica Irma Ciaramella). Musica (Germano Mazzocchetti) e scenografia (Alessandro Chiti) accompagnano lo svolgersi della vicenda passando dalla musica da camera al belcanto, dal tango alla tarantella in un avvicendarsi di stilizzate e mobili scatole architettoniche bianche a mimare interni ed esterni grazie al variare dei colori proiettati sullo sfondo stile Bob Wilson.
Spalla perfetta, Andrea Monno è Ciccio, la recluta incaricata di accompagnare il malandato capitano. Le dinamiche della coppia comica capitano-recluta riflettono quelle del classico Don Chisciotte-Sancho Panza, oppure del – citato – Lazarillo de Tormes, vagabondo della Spagna di Carlo V che offre i suoi servigi a un mendicante cieco. O, ancora, del più recente – ma già classico – duo cinematografico François Cluzet-Omar Sy in Quasi amici. Dietro la maschera comica, il viaggio rivela la sua duplice, profonda, essenza: rivincita per Fausto e rito di iniziazione per Ciccio. L’uno abbandona il risentimento, l’altro la spensierata fiducia nel prossimo, imparando a leggere tra le righe di una fidanzata infedele e di un bisbetico incorreggibile. Carpisce segreti e consigli del navigato capitano che lascia un’eredità fatta di aforismi, massime filosofiche, motti di spirito: «Amico è una persona che ti conosce fino in fondo e nonostante questo ti vuole bene», «La realtà è soggettiva, ognuno la vede come vuole e qualcuno non la vede proprio (e anche quella è una scelta)». Si cresce chiamando all’appello sensi, intelletto e humour. Come Ciccio, così il pubblico. Nella vita come a teatro, la regola aurea recita: provare compassione e cambiare punto di vista.