Every beat of my heart
Il filo dell’amore
Arianna, Teseo, il Labirinto… Roberto Mussapi ricrea in versi la vicenda della giovane donna che salvò il suo amato e ne immagina la delusione dopo l’abbandono. In un monologo a cui darà voce, al Teatro Parenti di Milano martedì prossimo, Laura Marinoni
Nel volume Voci prima della scena, raccolgo monologhi in versi a volte commissionati da attori o registi, a volte per nulla, scritti senza richiesta. Non è affatto una pura raccolta, ma un libro: molti testi richiesti funzionarono nell’occasione, ma, a mio parere, non reggevano la memoria della pagina.
Da tempo, nella mia opera poetica e teorica, ho riportato la poesia nel teatro e il teatro nella poesia, attingendo alle loro origini, tragedia greca e dramma elisabettiano, dove, a partire dai massimi Eschilo e Shakespeare, poesia e teatro sono inscindibili.
Questa fusione si è dissolta con la nascita del teatro borghese e l’isolarsi della poesia nell’esclusiva dimensione lirica, peraltro spesso splendida.
Tentativi di Gothe e Byron, poi un lavoro più deciso di Eliot e Luzi tracciano le basi del mio ritorno a un teatro di poesia e una poesia radicalmente teatrale, che significa poi l’esasperazione del dramma, senza il quale la poesia può mancare di movimento e azione.
Martedì sera una delle più grandi attrici del teatro italiano, la magica Laura Marinoni, interpreta miei monologhi dal libro. Non una lettura didattica, uno spettacolo. Poesia che si fa voce.
Abbiamo scelto tre personaggi del mito, Penelope, Antigone, Arianna, forse il modo più diretto per rappresentare l’opera. Che ne contempla altri: nel libro troviamo anche personaggi di Shakespeare. Ma Laura Marinoni sarà loro, quella della tela tramata e distramata, e quella del filo nel Labirinto…
Il filo di Arianna
Poi fu buio, un buio che ora conosco,
azzurro come il mare nel profondo
abisso dove l’ombra si addensa,
e notte e un vento che mi carezzava la pelle,
mi addormentai, tra le sue braccia
mentre la nave salpava verso Nasso.
Tutto sparì, nel sonno, Teseo,
la clava, l’ingresso nel buio, il Labirinto.
E solo tra le dita la percezione del filo
con lui all’altro capo, addormentato,
in contatto con me nella distanza
quando anche l’eco della sua voce era dissolta,
e il rimbombo dei passi e l’ingresso
nel buio che inghiottiva lentamente
e i pianti delle vittime e tutto
fuso nel sonno in desiderio di memoria
e nostalgia del tempo e del risveglio,
ma nulla, filo, soltanto filo tra le mie dita.
E come se il cullante moto ipnotico
del mare mi allontanasse per sempre
lo sentii scorrere tra dito e dito,
tendersi all’infinito finché sentii soltanto
il tatto dell’uno e dell’altro polpastrello,
e il filo era scomparso come trainato
da un pesce invulnerabile in un mare straniero.
La luce mi risvegliò che ero già sola,
deserta la riva, nessuna voce
turbava lo sciacquio della risacca.
La nave era lontana, volta a occidente,
inutile ogni grido si strozzò in un pianto
povero, senza lacrime e voce,
mentre la vela nera si allontanava per sempre.
Teseo mi abbandonava nel sonno,
facendo scivolare il filo dalle mie dita,
il filo che lo aveva guidato nel lungo viaggio
nel buio, dove la mente si perde,
e dove il centro si moltiplica come nei sogni
di chi beve con Dioniso e stordisce
l’anima stanca della veglia e del giorno.
E io che lo avevo salvato dal Labirinto
quando abbattuto il mostro si era perso
nel buio senza ritorno dei cunicoli,
io che lo avevo riportato dal buio alla luce
come fa ogni donna che ama un uomo,
sentii che mi rubava il filo mentre dormivo
come se fosse stato quello a salvarlo, e non l’amore.
L’amore è qui, tra dito e dito, è il vuoto
pensai, l’amore è l’eco
dei passi e del respiro tesi da un filo.
(…)
Questo è il segreto della mia magia,
questa la mia conoscenza, per amore,
quello che lui scambiò per la magia di un filo.
Ho conosciuto per lui l’anfratto e il buio,
le ombre delle grotte, il labirinto,
e ne ho invisibilmente guidato l’uscita.
Per questa ragione non potevo morire,
come fece Didone, tornare al buio,
perdermi tra le ombre vaghe e addolorate.
E quando venne su quella riva il dio
del vento e dell’ebbrezza, il dio orientale,
proveniente dal luogo dove sorge la luce,
dall’oro dell’India, dall’aurora,
io lo accettai, non dissi no alla vita.
Ciò che vedete in me è una Fata Morgana,
un inganno dell’occhio per l’alone
che circonfonde le immagini e crea i sogni.
Mi fece dea Dioniso, per lui ascesi
all’incorporeo paese dei celesti e dei numi,
e tutto questo perché sapevo che il buio
non ha ritorno, non il nostro, almeno.
Ma ora che mi vedi tremare, ora che piango,
sappi, fratello, sappi, spettatore,
non tremo fisicamente, una stella non trema,
e io sono stella per dono di Dioniso.
È l’aria attorno a me che mi fa tremare,
per compassione del mio cuore umano
imprigionato in stella fissa e pieno
di nostalgia per la terra dei vivi:
la tua, fratello, con il tuo dolore,
e il labirinto, e la disperazione,
piango l’età felice della mia vita mortale,
i baci, il sudore, l’abbandono,
piango solo l’amore, piango quel vuoto
tra dito e dito, dove passava un filo.
Roberto Mussapi
(Da Voci prima della scena – Monologhi in versi, Stampa 2009, La collana 2017)
***
Non ci potrebbe essere miglior voce di quella di Laura Marinoni per far rivivere sulla scena le figure femminili disegnate in versi da Roberto Mussapi nel volume da cui è tratto il brano che pubblichiamo, e per rendere evidente la forza espressiva dell’autore. Da non mancare perciò l’appuntamento con Laura Marinoni Da Penelope ad Antigone, martedì prossimo 27 marzo alle 18, al Teatro Franco Parenti di Milano. (Nella foto, Laura Marinoni – © Fabio Lovino).
(Info: biglietteria – tel. 0259995206, biglietteria@teatrofrancoparenti.com – Biglietteria on line – www.teatrofrancoparenti.it – App Teatro Franco Parenti)