Roberto Mussapi
Every beat of my heart

Il dono dell’infanzia

Chi parla è il puer, oltre e prima dell’Io, che come il passerotto di Catullo o il piccolo nascente Pinocchio pigola appena. Il puer di ognuno di noi a cui con magia William Blake, splendidamente, dà voce…

William Blake, poeta, veggente, scrive tra le sue opere importanti un canzoniere diviso in due parti, i Canti dell’innocenza e i Canti dell’esperienza. È un poeta sicuramente inconfondibile per visione sapienziale e capacità di espressione diretta, quasi arcaicamente infantile. È modello di William Butler Yeats, poeta di due secoli successivo, che lo supera abbondantemente.
Non ho mai capito davvero l’importanza di Blake, considerato da molti al pari di poeti come Coleridge o Keats, e non comprendevo, quando ai miei esordi alcuni critici rigorosi attribuirono alla sua poesia forte influenza sulla mia. Non lo compresi e non lo comprendo, ma mi guardo bene dall’irrigidirmi: come diceva Peppo Pontiggia, uno scrittore sa quel che scrive, ma il suo libro ne sa più di lui.
Insomma, può darsi che Blake, che avevo letto e stralettto, agisse in me più di quanto io mi rendessi conto. E ancora oggi, affrontandolo, da un lato mi sfugge la sua importanza, dall’altro mi cattura in lui qualcosa di magico. Forse quel dono dell’infanzia che in questa poesia splende.
Ho passato quatto ore al giorno per due giorni a decidere se iniziare con il pronome “Io”, obbligatorio in inglese, superfluo in italiano: chi parla è infanzia nascente, oltre e prima dell’io. Secondo logica avrei dovuto iniziare con il verso: “Non ho nome”: infatti è un “non io” che parla. Ma ho scelto di fare il contrario: colui che, appena, nato, piccolissimo, non ha ancora e forse non avrà mai nome –essendo una parte, il puer, di ognuno di noi –, come il passerotto di Catullo o il piccolo nascente Pinocchio pigola, dice non il suo ma il mio e il vostro nome, dice: “Io”. Se ho sbagliato la colpa è mia. Se ho trionfato (in poesia non esistono vie di mezzo, “la vita o è stile o errore”, come scrive Arpino), il merito è di Walt Whitman, voce insufflante nell’anima mia.

 

Gioia d’infanzia

“Io non ho nome,

ho appena giorni di vita”.

Come devo chiamarti?

“Sono felice:

il mio nome è Gioia.”

La dolce gioia sia con te!

 

Gioia cara gioia,

dolce gioia nata da due giorni,

dolce gioia ti chiamo:

e tu sorridi,

per te canto,

la dolce gioia sia con te!

William Blake

(Traduzione di Roberto Mussapi)

Facebooktwitterlinkedin