Un libro destinato ai ragazzi
Da Napoleone a lezione di pace
Luigi Garlando ricostruisce, tra storia e invenzione, l’ultima parte della vita dell’ex Imperatore dei Francesi in esilio. Protagonista del racconto, un quindicenne che affida a un diario l’ammirazione per il suo eroe Bonaparte raccogliendone una forma di testamento spirituale
La verità storica ridimensiona quasi sempre l’alone mitico nato intorno ad alcuni grandi personaggi del passato. Nel caso di Napoleone Bonaparte non è così. Il Napoleone che Luigi Garlando ricostruisce e descrive nell’ultima drammatica parte della sua vita in Mister Napoleone (Piemme, 326 pagine, 16,50 euro) in equilibrio tra il rigore dei fatti storici e delle persone realmente esistite e il ritmo avvincente dell’invenzione e del romanzo, è più grande della sua leggenda. Ma come è nata all’autore l’idea di Mister Napoleone? Da un episodio raccontato da Alexandre Dumas. Quando Napoleone era ancora un giovane generale ebbe l’idea di organizzare lo spettacolo di una piccola battaglia, una specie di gioco. In quella rappresentazione di guerra morirono dodici soldati. Dumas scrive che nelle interminabili giornate trascorse a Sant’ Elena, Napoleone ebbe motivo di riflettere e pentirsi di «quei dodici uomini uccisi senza reale motivo».
Garlando spiega che ha ricalcato quel rimorso trasformandolo «nel desiderio di lasciare ai ragazzi un gioco di pace, una simulazione bellica, con tanto di retroguardia e artiglieria, in cui nessuno però rischia la vita. Una sorta di testamento spirituale». La voce parlante è quella di un ragazzo di quindici anni, Emanuele, figlio appunto del conte de Las Cases, «uomo di studi e di politica», che insieme a tre generali accompagnò il grande corso in esilio nella minuscola isola di Sant’Elena, in mezzo all’oceano, governata da sir Hudson Lowe. Lì sbarcarono dopo una avventurosa traversata il 15 ottobre 1815. Con la sconfitta di Waterloo e la rinuncia al trono, Napoleone si era consegnato agli inglesi che gli avevano promesso un salvacondotto per l’America, invece lo condussero in quell’isola sperduta, un pezzo di terra vulcanica infestata dai topi, che era «l’ultimo posto del mondo da cui poter fuggire». E così fu nella realtà, ma nell’immaginazione dello scrittore, «il più grande della Storia» non poteva soccombere.
Attraverso il diario del protagonista nel quale si confondono gli accadimenti giornalieri e le emozioni che fanno da sfondo e da motore, si evidenziano progetti, sogni, paure e rabbia, tanta rabbia contro quegli inglesi ipocriti e prepotenti che tengono prigioniero il suo eroe. È come se Emanuele compisse un viaggio dentro, ma anche fuori di sé ogni qualvolta accade qualcosa che indirettamente colpisce il famoso prigioniero. La vita di ogni giorno nell’isola è faticosissima, anche per gli improvvisi e temibili mutamenti climatici come l’incalzare dei venti, che è continuo e si traduce in un fischio prolungato che entra nelle orecchie facendo impazzire i più deboli. Incisivi disegni in bianco e nero che sembrano vecchie fotografie scandiscono i capitoli in cui il protagonista, che sogna di fare parte della Grande Armata, racconta le innumerevoli battaglie vinte da Napoleone anche attraverso un gioco in cui entrano a far parte rilevante i granchi guidatati da Amani, un ragazzino africano che diventa ben presto suo amico. In questo contesto tra rischiose cavalcate su sentieri impervii, balli e pranzi, gli inglesi restano in ogni occasione i nemici per eccellenza, i traditori, pronti a giocare brutti tiri ai francesi e alla popolazione locale.
Nel suo avvincente diario, Emanuele riesce a isolare dal passato di Napoleone, senza nessun intento agiografico, i momenti autentici, quelli che mantengono intatto un loro inusitato fulgore, attualizzandoli con la presenza fatale di un personaggio che non poteva essere sconfitto neppure nella sconfitta. Così la storia avanza con la vittoria sugli austriaci nella battaglia di Marengo, l’invasione fulminea in Germania, la Grande Armata che entra in Polonia, dove Napoleone viene accolto con tutti gli onori. La figura del grande Imperatore dei francesi emerge in tutta la sua energia vitale senza perdere mai il senso della realtà, né lasciarsi travolgere dallo sfacelo della solitudine. Nessun crollo interiore anche se tutto in quel momento era perduto, nessuna fuga a testa bassa, e per finire nello stile di Garlando, una bella partita di pallone.