Alla Birmingham Opera Company
Battistelli e Lazzaro
La nuova opera di Giorgio Battistelli, "Wake", è una splendida riflessione sulla vita e sulla morte. Ma soprattutto sul bisogno di ridare dignità alla vita: questo significa risuscitare. Uno spettacolo itinerante diretto da Graham Vick
Uno dei suoi saggi brevi più significativi, Georges Bataille lo intitola “Lo stupore dell’uomo dinanzi alla morte”, traccia che, come era uso fare il filosofo francese, lasciava intatta al lettore la curiosità di avventurarvisi; per poi, di nuovo, rimanere senza fiato in ragione della coincidenza tra quel pretesto e quel suo svolgimento che, come al solito, nel pensare batailleano, procedevano sempre per mano. È stato questo il mio primo riferimento nell’assistere a Wake di Giorgio Battistelli, opera ispirata alla risurrezione di Lazzaro che la Birmingham Opera Company ha ospitato ieri in Prima mondiale. Il motivo era conseguente: a parere di Bataille, la questione della morte dell’altro sarebbe uno dei fondamenti più vertiginosi della storia umana. E infatti si pone nel momento in cui, per la prima volta, un essere decede dinanzi al suo simile. Ebbene cosa prova e cosa pensa quest’Ultimo allorquando colui che poco prima gli camminava accanto, d’improvviso cade, gli occhi sbarrati, il respiro mozzato, il corpo freddo? E come appare a chi resta, da quell’istante in poi, l’universo? Abitato da chi? Da quale Potenza immanente e a tal punto a lui superiore da sottrarre ogni efficacia ai suoi stessi sensi? «La morte in un certo senso – dubitava Bataille – è un’impostura». È sonno e sordità, è divenire insensibili e inintelligibili, è l’essere muti e ciechi. È andarsene?
È tornare?
Racconta Giovanni che a Betania vi fosse un ammalato, Lazzaro, che laggiù viveva insieme a Marta e Maria, sue sorelle. Maria era colei che aveva cosparso di olio profumato Gesù e poi gli aveva asciugato i piedi con i suoi capelli; Maria e Marta gli fecero sapere dell’infermità del loro amato fratello. Gesù era molto legato a quella famiglia e commentò che non si trattava di una malattia mortale ma di un annuncio glorioso per il Figlio di Dio. E decise di fermarsi. Oggi Betania è sotto il controllo palestinese, separata da Gerusalemme per via di un muro, eretto dal governo israeliano. E da tempo questo paesino ha cambiato nome; si chiama el-‛Āzariyye, che in arabo significa “luogo di Lazzaro”.
In ebraico Betania stava a significare “casa dei poveri”. Dopo due giorni trascorsi lì, Gesù disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!» Loro cercarono di dissuaderlo. Trascorso qualche tempo, egli disse: «Il nostro amico Lazzaro s’è addormentato; ma io vado a svegliarlo». E trovò Lazzaro che era già da quattro giorni nel sepolcro. Marta accolse Gesù con rabbia: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche so che qualunque cosa chiederai a Dio, egli te la concederà». Gesù rispose: «Tuo fratello risusciterà.» poi vide Maria piangere e chiese: «Dove l’avete posto?». Gli risposero: «Signore, vieni a vedere!» Commosso, Gesù, si recò al sepolcro, che era una grotta chiusa da una pietra. Gesù disse di toglierla; Maria lo sconsigliò invano… : «Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio?». Fecero come chiedeva. «Lazzaro, vieni fuori!» Il morto uscì, con i piedi e le mani avvolti in bende, e il volto coperto da un sudario.
Questo narra Giovanni: di un fatto di tale potenza da persuadere il Potere circa la necessità di eliminare il Figlio di Dio; ma non è tutto, poiché a questa parabola Wake sovrappone una riflessione importante, e cioè che l’evento sconvolgerà gli equilibri dei sofferenti stessi, perché ritornare dalla Morte alla Vita è un passo molto più definitivo del suo opposto. Lo stupore dell’uomo dinanzi alla Risurrezione, dunque… Ecco perché il rimando a Bataille era parso coerente.
Ora, immaginiamo un artista la cui impresa lo ponga dinanzi a temi di immensa portata; egli sa che non si tratta di una sfida ma di un impegno a essa addirittura superiore. Giorgio Battistelli sente che, rimanendo entro i limiti più che umani della sua creatività, si concederebbe una comprensione assai più vasta. Vi è una saggezza, dell’arte che, pure arrivando all’estremo di sé, lo tocca e lì rimane, non va a perdersi. Sicché il compositore sceglie di percorrere un sentiero di umiltà, di non tradire la propria comprensione dello spirito, di seguirla, di pensare alla Morte e alla Risurrezione come a un Sublime dei falsi opposti che, come tale, non ci è dato dominare in alcun modo. Perché Gesù e Lazzaro sono uniti da un segno, e perché in quel “Miracolo” sta l’eterno passare dalla vita alla morte e viceversa, e ancora stanno un’umanità smarrita, quelle genti che il Figlio di Dio è disceso per conciliare tra loro, per ridare un ordine e un senso a tutti i loro differenti linguaggi, per superare l’egoismo miserrimo e la finitezza di ciascuno e, infine, per ricomporre il male e il bene, continuamente incompresi e invitti. Insomma quel Caos a cui Gesù Cristo mette Ordine l’artista lo percepisce; e nell’impossibilità di racchiudere l’opera in una sola musica, foss’anche la propria, o in una voce unica, egli moltiplica la sonorità del mondo in più di 32 espressioni diverse, talvolta volutamente dissonanti (più quella di Gesù, si arriverebbe a 33, quanti erano i “nomi di Dio” di Marguerite Yourcenar).
Ed è questo, per Battistelli, il solo modo di rappresentare quella che sarebbe stata una Comprensione universale, la sola maniera per descrivere quei villaggi senza centro che Gesù sarebbe riuscito ad aprire grazie al suo Amore, quei luoghi da cui escono le sorgenti della musica (della Vita). A ciò si è aggiunto uno spazio post-moderno che un regista di grande spessore come Graham Vick ha “ristrutturato” con realistica immaginazione, con successo riempiendo di significati e di simboli un’area perduta, tanto da rappresentare con sorprendente concretezza le materie della parola, del male, del Miracolo. L’effetto sarà quello di un coinvolgimento impressionante del pubblico, non solo perché esso sarà libero di muoversi e di seguire o meno le emozioni degli interpreti ma soprattutto perché in quella folla ciascuno di noi ritroverà la sua dimensione più autentica. La nostra piccola verità. Di un migrare senza soluzione e senza senso, del concitato alternarsi di conflitti e di riappacificazioni, del disintegrarsi delle attitudini e dei comportamenti… del nostro comune stare al mondo… Eppure proprio qui, nel teatro totale del Capannone B12 Warehouse di Birmingham, la sensazione era di transitare nel luogo di un’Umanità ricomposta, non già tra le sue macerie, e che il respiro tornasse regolare; a questo aveva contribuito il magistrale libretto di Sarah Woods, che aveva dato voce alla “morte” e alla “risurrezione” di 150 “volontari” tra attori, mimi, performer, coristi, e con essi alla forza di Elliot Carlton Hines nella figura di Gesù, di Joshua Stewart nei panni di Lazzaro, di Nardus Williams e Mimi Doulton nei ruoli sororali di Marta e di Maria, tanto lontane nell’esprimere lo stesso dolore.
Quando Jonathon Heyward ha chiuso la sua lieve, intensa direzione, il pubblico (questa folla che eravamo tutti) ha continuato a muoversi e ad ascoltare come se il tempo della rappresentazione non fosse mai terminato. E un giudizio finale, ben adatto a un’impresa collettiva di tale qualità, sembrava dettato da un preambolo di Ignacio de Loyola: “In ogni buona scelta, per quanto dipenda da noi, l’occhio della nostra intenzione deve essere puro.” Come anche pensare oltre ogni personale ambizione, unire i talenti, dare con ricchezza, guardare con l’occhio degli altri. Questo è accaduto ieri sera a Birmingham. Come se tra gli spettatori vi fosse Teilhard de Chardin con la sua “potenza spirituale della materia”, oppure Nikos Kazantzakis e con lui tutti i dubbi e le paure di Gesù. O ancor meglio, come se fossimo davvero insieme, tra sconosciuti che tutto sentivano alla loro maniera e che però, sarà stato un miracolo, potevano comprendersi con uno sguardo.