A Roma, a "The Church Palace”
Arte in Hotel
Settanta artisti da tutto il mondo: per ognuno una stanza d'hotel da occupare con le proprie opere, le proprie idee, le proprie ossessioni. È la fiera organizzata da Artrooms a Roma
«Una lingua diversa è una diversa visione della vita» ha detto Federico Fellini, poiché una lingua straniera permettere di accedere ad un percezione della realtà differente, donando un punto di vista non conosciuto e spingendoci così ad uscire dalla nostra comfort zone e a vedere oltre. Volendo riferire questo discorso al mondo dell’arte visiva si potrebbe erroneamente pensare che l’arte sia un linguaggio universale, invece i suoi codici, le sue visioni del mondo e della realtà interiore differiscono per paese, tradizioni, cultura e last but not least per artista, il quale apre le porte del suo immaginario al suo spettatore. La galleria Artrooms di Londra propone a Roma (da oggi, 4 marzo), con il supporto comunicativo della Strategic Partners, una mostra di tre giorni volta alla promozione di artisti indipendenti ai quali viene offerta la possibilità di avere visibilità senza dovere pagare per lo spazio espositivo. Sono stati selezionati 70 artisti provenienti da tutto il mondo, in più presenti sono anche altri 30 artisti ospiti, in totale una full immersion nel mondo dell’arte composta da dipinti, schizzi, sculture, fotografie, installazioni e video installazioni.
La fiera artistica non ha una tematica preimpostata, il fil rouge della mostra è creare un luogo espositivo per artisti indipendenti e quindi non rappresentati d’agenti o da gallerie. Per riunire una comunità proveniente da tutto il mondo, la location più adatta non poteva essere che un hotel, in particolare il The Church Palace. Ogni stanza d’albergo diventa così l’accesso al mondo intimo di ogni artista, proprio in un hotel, luogo di passaggio, posto di incontri fortuiti e dove persone di tutto il mondo passano inosservate e inoltre centro nevralgico di uno scambio silenzioso di culture. Lo stesso avviene per questo evento, in cui lo spettatore ha la possibilità di viaggiare intorno al mondo e di entrare nella sfera intima di ogni artista valicando una stanza, la quale si trasforma ogni volta in un racconto differente, in una visione del mondo dissimile.
Il giovane artista tedesco Wassily Kazimirski espone per Artrooms ad esempio una serie di foto appese in quella stanza d’hotel, le quali mostrano scatti di dettagli della strada: un albero in primo piano, una porta, scorci di viottoli, scale e così via. Alla domanda perché la scelta di concentrarsi su degli elementi che apparentemente passano inosservati, il fotografo risponde: «Io vedo il mondo così. Le foto non sono state rielaborate o modificate. Il mio è stato un lavoro molto personale, quando vado in giro, per le strade, io vedo questo, questa è la mia realtà e questa volevo mostrare al mio spettatore: la mia visione».
Un lavoro completamente differente è quello offerto invece dall’inglese Kevin Stamper, il quale lavora con listelli di legno impiallacciati. L’artista cerca di modellare il materiale per dargli una direzione, ma alla fine il legno prende la forma che desidera, dando vita così a creazioni inaspettate, con alle volte crepe che però non tolgono nulla all’opera, anzi, l’arricchiscono di personalità. L’artista infatti dichiara: «Ogni mio pezzo diventa, grazie alla reazione stessa del materiale, unico. Ricoloro il listello e poi creo immagini che si rifanno ai disegni pixellati sul tema della foresta e della natura. Alla fine però è l’opera a decidere cosa diventare».
Questi sono stati solo due esempi, molto diversi tra di loro, di come si può percepire e vivere l’arte. In questa cornice il luogo dell’hotel è una eterotopia come la definiva Foucault, un luogo che inverte la sua funzione e la dinamica della sua esistenza. Di fatti un posto che normalmente permette di soggiornare quando si viaggia, diventa così la meta stessa del viaggio, un percorso artistico nel quale entrando in ogni stanza, si entra in un mondo variegato e guadagnando così un punto di vista nuovo sul reale, perché come diceva Albert Camus, «se il mondo fosse chiaro, l’arte non esisterebbe».