Di aria elettorale
Salvini & Signora
La signora che ha impedito a un medico di colore di visitarla, rispondeva a un pregiudizio di vita antico; Salvini che dispensa moderno razzismo crea un pregiudizio moderno. Perché dobbiamo temere di più il leader della Lega
“Peggio”? Già, nel senso delle conseguenze sociali dei gesti, e non in quello di un giudizio antropologico che non dovrebbe spettare a nessuno, perché ciascuno di noi è o dovrebbe essere tanto altro rispetto alle interazioni discorsive cui partecipa e non è o non dovrebbe essere riassumibile dalle proprie preferenze politiche: perciò, limitatamente ai rispettivi comportamenti, il gesto odioso di una signora di una certa età che abbia preferito non sottoporsi alla visita di un medico di colore non è paragonabile al carico di volgarità e di violenza delle esibizioni pubbliche di Matteo Salvini. Innanzitutto, perché quello della signora è stato un atto privatissimo e la pubblicità che ne è derivata non era minimamente prevedibile, dal punto di vista dell’interessata: è molto probabile, tuttavia, che il suo diniego sia stato accompagnato da motivazioni altrettanto insopportabili, che appartengono a un’Italia che avremmo voluto alle nostre spalle.
Ed è esattamente questo il punto: il tempo. Chiunque si sia sentito in dovere di commentare con orrore e riprovazione l’accaduto avrebbe dovuto, prima, non tanto farsi un esame di coscienza, quanto fare un esame ai propri cari, ai familiari coi quali, magari, condivide il tetto di casa: coloro che si sono subito proposti come impeccabili censori sono certi che le proprie mamme o le proprie nonne avrebbero acconsentito con facilità a quella visita? Fortunati loro, se così stanno le cose: oppure no, oppure la fortuna non c’entra niente e si può voler egualmente bene ai propri parenti, anche nel caso in cui in essi permanga qualche sentimento che tendiamo a disprezzare con forza e con ottime ragioni.
Il tempo, quindi: risulta difficile immaginare quella signora un po’ in là con gli anni in testa a un corteo di stampo razzistico. Si può farlo, certo, ma perché escludere che il suo possa essere stato semplicemente un atteggiamento pre-politico e determinato dall’abitudine, dall’essere nata e cresciuta in un mondo del tutto diverso dall’attuale? Il gioco dei parallelismi impone una domanda: come si comporterebbe una signora di colore di un qualche Paese sub-sahariano di fronte a un medico bianco? All’inizio, forse, qualche difficoltà ci sarebbe anche per lei: poi, col tempo, succede che tutto si risolva, nella soddisfazione comune. Isole arcaiche e tradizionali esistono e continueranno a esistere anche in questo mondo, nel mondo dei social in cui sembra che tutti siano in grado di scagliare la prima pietra: non occorre essere Einstein per capire che il tempo è implacabile di per sé, che non è bello farsi forza della sua immane forza e che un po’ di misericordia, in casi del genere, eviterebbe l’utilizzo quotidiano della gogna, strumento non molto progressista. A patto che i gesti cui ci riferiamo, però, non comportino dei danni permanenti, delle conseguenze irreversibili: è tale, per esempio, l’effetto dell’infibulazione, elemento di culture arcaiche che l’Occidente non può non respingere d’imperio, con tutta la potenza e la sacralità dei diritti umani.
È del tutto comprensibile, allora, la reazione del medico, che si è sentito umiliato e respinto a causa del colore della propria pelle, nonché oltraggiato nel proprio ruolo lavorativo: è anche comprensibile, a quel punto, la reazione più stizzita, ma lo è o dovrebbe esserlo meno qualche parola di troppo che è scappata ai suoi sostenitori, oltre che a lui stesso. Prima di augurare alla signora di “crepare”, prima di contare sull’ululato del branco, sarebbe meglio rapportare gli eventi del vasto mondo alle proprie piccole vite e fermarsi a pensare se alcune delle persone che amiamo o stimiamo non possano essersi macchiate degli stessi peccati che siamo così abili a condannare negli altri, nei nostri prossimi che, alla fin fine, continuano a esserci piuttosto lontani. Insomma, tra un demagogo che voglia fare leva sui sentimenti più atavici, tra un imprenditore politico della paura e chi quella paura può subirla o non averla ancora respinta a causa di una sua oggettiva distanza temporale ed esistenziale dalla contemporaneità, bisogna tracciare una bella (o brutta) differenza. Poi, se la signora rispunterà accanto a qualche ducetto neo-fascista, ciò vorrà dire che essa avrà ceduto e sarà diventata un’utente, una cliente di quegli imprenditori, e vorrà dire che avrò sbagliato io: ma, più che altro, a sentirci sconfitti dovremmo essere tutti.